Report a cura di Claudio Giuliani
Il 19 giugno del 2005 i Sick Of It All suonarono al Forte Prenestino, un centro sociale che per l’occasione si riempì come poche altre volte. Qualche migliaio di persone si radunò nel piazzale del Forte, circondato da alte mura e dall’atmosfera suggestiva del quartiere Prenestino. Fu uno show devastante. Chi c’era racconta di mosh-pit infernali e di condizioni altrettanto dure, per via della sabbia del piazzale che si alzava durante il pogo selvaggio. Tornarono poi nel 2010 assieme ai Madball, e il risultato fu lo stesso, però al chiuso dell’Alpheus. A distanza di cinque anni, più o meno, i Sick Of It All rimettono piede a Roma. Cambia lo scenario, però: è l’Orion, a Ciampino, a due passi dalla Capitale, a ospitarli. Ad aprire per loro ci sono gli Angel Du$t e i Defending Truth, dei quali ci siamo persi lo show. La sala non è piena: è mercoledì sera e c’è la Champions’ League. Saranno in duecento circa per la calata dei newyorkesi, ma faranno rumore per altrettanti.
ANGEL DU$T
Già quando si posizionano sul palco, guardiamo come sono vestiti e il presagio non è dei migliori. Ma noi non ci fermiamo a queste prime impressioni, siamo pur sempre dei recensori obiettivi, seppur con qualche preferenza. E allora la felpa maculata del chitarrista e il pantalone giallo chiaro del cantante, che vuoi che siano? Quando però iniziano a suonare, a strimpellare facendo caciara senza seguire uno schema assimilabile dal pubblico, allora sì che li bocciamo. Il cantante associa “cool” ad ogni qualsiasi parola esca dalla sua bocca, ringrazia l’Italia per il magnifico cibo e poi riparte a urlare e dimenarsi sul palco mentre il pubblico siede ai lati dell’Orion. Qualche matto cerca di supportarli agitando il braccio. L’atmosfera è quella dei gruppi estemporanei che si formavano durante le occupazioni scolastiche degli anni Novanta, quando si arrangiavano jam e ci si drogava tutti assieme. Finisce la mezz’ora e del loro hardcore melodico somministrato attraverso canzoni brevi, sfuriate perlopiù, non rimarrà praticamente nulla.
SICK OF IT ALL
Quando salgono sul palco improvvisamente il pubblico si compatta verso di loro. L’Orion di fatto è una discoteca, una sorta di anfiteatro con delle tribunette gradinate tutto attorno, dove è comodo trovare dei cubi-divano sui quali godersi le esibizioni dei gruppi che annoiano. Per i Sick Of It All questo non avviene, perché appena parte “Good Lookin’ Out” tutti si danno appuntamento sotto al palco, a far sembrare pieno un locale mezzo vuoto. Il tempo di scaldarsi ed è subito “Uprising Nation”, con il “death to tyrants” gridato dalla folla a squarciagola. Lou Koller sembra più giovane di suo fratello Pete, bermuda, canotta nera, cresta bionda e bandana nera a contornare un fisico scultoreo che si muove in lungo e in largo per tutto lo stage. Mentre dopo un paio di canzoni prendiamo inesorabilmente atto che proprio la chitarra del Koller biondo non si sente – un classico all’Orion – la folla non si risparmia. E allora ecco il girotondo sulle note di “My Life”, o il delirio quando arriva “Take The Night Off”. Il frontman è indomito, urla e porge il microfono alle prime file, ma impressiona per l’intensità della sua voce, che non scende mai. Nel pit, i fan si muovono molto, raccolgono i più esagitati che si lanciano dal palco, mentre le t-shirt svolazzano qua e là. Fa caldo, e di certo “Death Or Jail” non aiuta a far scendere la temperatura. Pete Koller si china di fronte al pubblico, si raccoglie mentre macina il riff iniziale di “To Divide”. Il fratello dà il via al ritmo frenetico e guida il pubblico fino all’esplosione del “don’t let it win” del ritornello. Ovviamente non c’è pausa fra una canzone e l’altra, tranne qualche chiacchierata che Lou intrattiene con il pubblico. Il bassista Setari reclama le sue origini salernitane e tutti, in generale, parlano bene della bellissima Roma e della cacio e pepe che avranno mangiato con molta probabilità a pranzo. Arrivano una devastante “World Full of Hate” e poi il momento in cui tutta la sala balla e canta sulle note di “DNC”. Lo show si avvicina alla fine ed ecco alcuni classici: “Built To Last”, ma soprattutto “Scratch The Surface”. All’annuncio di questa canzone, si comincia a urlare e poi, quando uno dei riff più lunghi dell’intero show arriva, si allargano le braccia e ci si contorce mentre si gira in tondo sotto al pit. I Koller sono sempre lì, uno a cantare senza che la sua voce si sia abbassata di un tono e l’altro a saltare a pie’ pari o incrociando le gambe, mentre tiene stretta la sua chitarra al corpo. E vanno per i cinquant’anni, i due. Siamo a un’ora e quindici di concerto e ancora ne hanno. È ora di chiudere, veramente, e quindi cosa c’è di meglio di “noi contro loro”, ovvero “Us vs Them”? Il pubblico canta quando Lou porge il microfono e in generale cantano e ballano un po’ tutti. Finisce lo show, termina l’ennesima grande prova dei Sick Of It All dal vivo. “Sono vecchi ma ancora spaccano, eh”, dice uno dei tanti amanti della scena hardcore commentando la fine dello show, a due passi da chi scrive. “I vecchi sono sempre i migliori nella musica”, gli si risponde. È esattamente così: Hard to the Core.
Setlist:
Good Lookin’ Out
Uprising Nation
Sound the Alarm
Clobberin’ Time
Injustice System
My Life
Just Look Around
Take the Night Off
DNC
Death or Jail
Machete
Get Bronx
Busted
Sanctuary
Step Down
Outgunned
Friends Like You
World Full of Hate
Scratch the Surface
Call to Arms
Road Less Traveled
Built to Last
Us vs. Them