A cura di Fabio “Ray” Angeleri
Erano quasi due anni che non ci degnavano della loro visita, e l’ultima apparizione fu una capatina in sordina nientemeno che al Leoncavallo… D’altronde gli anni passati dall’uscita dell’ultimo disco “Yours Truly”, prima del recente “Life On The Ropes” erano ben tre… ma ora, scolaretti hardcore, tremate… i Maestri dell’Old School son tornati! Sick Of It All finalmente di nuovo in Italia, il 18 febbraio 2004 al Transilvania Live di Milano!
SICK OF IT ALL
L’effimera emozione del mio primo “accredito stampa” è già sfumata quando entro nel familiare stanzone che costituisce il Transilvania. Il consueto armamentario da film spaghetti-horror anni settanta fa questa volta da cornice ad un pubblico soprattutto molto più gggiovane di come mi sarei aspettato: pensavo infatti che un gruppo veramente storico (e con la S maiuscola) come i Sick Of It All, che mancavano dai palchi nostrani da ormai almeno un paio d’anni, avrebbero attirato una folla più da zoccolo duro che da fan dell’ultim’ora quali mi sembrano questi “ragazzetti” inguainati in bermuda oversize decisamente premature per il clima nevoso-siberiano che stringe d’assedio le esili (troppo, a giudicare dalla temperatura interna del locale) pareti del Transilvania. Sono appena le 21.10 (10 minuti dopo l’orario ufficiale di inizio concerto), e il locale è ancora semivuoto, ma sul palco si muovono, poco, per dirla tutta, già alcuni lugubri ragazzoni in nero e con gli occhi leggermente pittati: il flyer mi dice che sono i Bleeding Through. Il sestetto californiano è un po’ statico sul palco (ma questo fa abbastanza dark), e i sui brani si trovano su di un’incerta mezza via fra l’hardcore classico ed un metal “nerastro”. La prestazione live non è disprezzabile ma la varietà latita, nonostante l’idea furbina di inserire delle tastiere goticheggianti manovrate da una novella Morticia Addams; e, considerato che i Bleeding Through suonano per soli venti minuti, questa non è una pecca da poco. Una rapida calata del rosso sipario del Transilvania, un sound check fortunatamente velocissimo ed il palco è già affollato di nuovo, mentre anche il locale inizia a riempirsi e la temperatura, fortunatamente a salire. Ecco apparire i Most Precious Blood (SANGUE in abbondanza, come da tradizione, nei nomi delle band hardcore): anche loro in sei: un vocalist piccolo e tracagnotto ricoperto di tatuaggi “old school” d’ordinanza, due chitarristi corpulenti e rasati che paiono gemelli, un batterista furioso e…toh…unA bassistA/chitarrista! (ma non è che ultimamente vanno un po’ troppo di moda?…). Tuttavia coi Most Precious il discorso, per fortuna, cambia: energia ed arrabbiatura da vendere, mobilità sul palco ed un frontman veramente simpatico, carismatico e coinvolgente: si è persino preso la briga di imparare un repertorio di frasi in italiano decisamente più cospicuo della classica media dei cantanti stranieri in concerto. Il loro hardcore è in puro stile New York Old School, e coi suoi suoni arrabbiati ed energici traghetta per una mezz’oretta la folla, che nel frattempo si è fatta corposa, verso l’arrivo dei veri Maestri di Scuola… E finalmente eccoli! Dopo tre anni dall’uscita dell’ultimo disco all’inconfondibile la band newyorkese che, insieme a Cro Mags ed Agnostic Front ha praticamente inventato il genere è tornata tra noi italiani! E nel giro di pochi secondi mi ritrovo auto-fiondato in mezzo alla massa ribollente di quei precedentemente da me snobbati “ragazzini in bermuda” che poche, semplici note dei Sick hanno fatto subito diventare vecchi compagni di pogo… Oltre ad alcuni brani tratti dall’ultimo cd, molti sono i pezzi ripresi dai primissimi dischi, come Bullshit Justice, o Scratch the Surface all’inizio della quale la folla non ha saputo resistere, esplodendo in un boato. Per non parlare di pezzi come Potential for a Fall o Sanctuary, quest’ultima cantata proprio come se stesse recitando un’ode alla propria amata, classico del cantante Lou Koller, signore del palco, intrattenitore di razza. Ha saputo darci un’altra prova della sua abilità, della sua mimica e del suo indiscutibile carisma, degni di un consumato attore da Actor’s Studio, coinvolgendo i fan in un “gioco di tifoseria”, sfociato in un superpogo devastante che ha allegramente e cameratescamente sbriciolato le ossa dell’ormai accaldato e stremato pubblico del Transilvania Live. Le consuete ed abbondanti dosi di ironia e di stile del gruppo devono essere piaciuti molto ai fan presenti, che con urli e cori degni di un derby hanno chiesto ed ottenuto, senza troppa difficoltà, per dirla tutta, ben due “rientri” con bis un po’ da popstar dalla band. La tenuta della voce di Lou è portentosa, la sua gola strepita e romba trasmettendo energia pura per tutta l’ora e un quarto del concerto; il fratello Pete (a parte il discutibile look da Gemelli Diversi) non sbaglia un giro di chitarra pur saltabeccando in giro per il palco (e SOPRA al pubblico!), il bassista Craig si dimostra maniacalmente preciso anche quando è chiamato a cantare, ed il batterista è una specie di incrocio vivente fra un martello pneumatico ed un metronomo. La resa sonora, Transilvania permettendo, non è affatto male e nel complesso alla fine del delirio musicale scatenato dai SOIA mi ritrovo a pensare “ma è già finito?!”, mentre a cantare vittoria per l’inaspettata sopravvivenza sono solo i miei muscoli dolenti. Insomma, proprio nulla da rimproverare a questo gruppo che, nonostante i quasi 20 anni suonati, continua a non deludere mai, né a sbagliare di una virgola, mantenendo nel contempo una coerenza ed una freschezza che centinaia di band molto più giovani, e di qualunque genere musicale, possono solo sognarsi, invidiare, ed imitare.