In una umida serata di fine giugno, il Boston Arms di Londra ospita uno degli eventi più attesi dell’anno per gli appassionati di funeral e death-doom: il cosiddetto ‘Triumvirate of Doom’.
L’appuntamento, andato sold-out per la grande soddisfazione di promoter e artisti, vede sul palco tre giganti del genere: Skepticism, Ahab ed Esoteric. A ognuno di essi viene concesso un set completo da headliner, in modo da poter offrire ai presenti una vera e propria maratona all’insegna delle sonorità più pesanti e al contempo evocative dell’universo metal.
Nonostante un leggero ritardo nell’apertura delle porte, l’evento riesce presto a mantenere le promesse, con un’organizzazione impeccabile e una indubbia qualità del suono che vanno subito a contribuire al successo della serata. Si tratta a tutti gli effetti di un’esperienza immersiva, con il lungo minutaggio a disposizione che permette a ogni gruppo di esprimersi al meglio in questa celebrazione del funeral doom e affini – generi che, pur essendo certamente di nicchia, continuano a coltivare una comunità di appassionati attenti e devoti, lontano da quell’approccio usa e getta che ormai sta contaminando altri filoni del nostro panorama.
La serata viene aperta dagli ESOTERIC, alla loro ennesima apparizione nella capitale britannica. Per essere una realtà estremamente di nicchia, la ormai leggendaria band di Birmingham può vantare un’attività live piuttosto solida e regolare, anche in contesti decisamente prestigiosi. Non a caso, è ancora fresco il nostro ricordo del loro set al recente Maryland Deathfest di Baltimore.
Con l’arrivo del quintetto inglese, l’atmosfera del locale si riempie immediatamente di una pesantezza opprimente, tipica del repertorio della formazione. Il suono si espande e toglie il fiato, con le lunghe composizioni – ricche di sovrastrutture, lenti crescendo e melodie discordanti – che a poco a poco sembrano disorientare, in senso positivo, la platea.
Le luci soffuse contribuiscono a creare un’esperienza straniante, con la componente death meta, che pare spesso sul punto di esplodere definitivamente e di concedere un po’ di respiro, ma che poi, in modo quasi beffardo, viene riportata fra le righe, per far spazio a un altro abisso di introspezione.
La performance degli Esoteric è come al solito impeccabile, con una resa sonora che esaltato la complessità dei loro brani, nei quali di nuovo si fa notare la potenza vocale del leader Greg Chandler, capace di passare da growl profondissimi a scream strazianti.
Dopo circa un’ora, è quindi il turno degli AHAB, i paladini del ‘nautik doom’, volendo rifarsi a una vecchia definizione per la loro proposta. Per gruppo e fan, questo è un viaggio tra vari oceani, il quale ha inizio con la maestosa “The Divinity of Oceans” – uno degli episodi più famosi dell’intero repertorio – per poi sconfinare in numerosi altri capitoli e registri musicali, con la base funeral e death-doom che via via si apre per lasciare campo ad altre sfumature, ora più fini e progressive, ora più calde e robuste.
Nella scaletta, si fa segnalare ad esempio la più compatta e ritmata “Red Foam (The Great Storm)”, da “The Boats of the Glen Carrig”, composizione che per un momento porta il suono su lidi maggiormente sludge, prima che tracce come le ormai epocali “Old Thunder” e “The Hunt” ci ritrasportino sul suono funeral dei gloriosi esordi, caratterizzato da riff monumentali e da una sezione ritmica che evoca l’incessante movimento delle onde. Il frontman Daniel Droste non interrompe mai l’atmosfera venutasi a creare, preferendo parlare solo a fine concerto, ma la capacità della band di creare un legame emotivo con il pubblico è comunque fuori discussione, soprattutto quando la musica prende una piega più rude e le prime file incitano tutti a fare headbanging.
La chiusura della serata è come previsto affidata agli SKEPTICISM, pionieri finlandesi del funeral doom, da sempre in grado con le loro esibizioni di incarnare un senso di maestosità e raffinatezza che poche altre band possono eguagliare. L’ingresso sul palco del quartetto viene accompagnato da un senso di reverenza quasi palpabile, con il pubblico ormai preparato a essere sommerso dall’ondata di pathos che sta per arrivare.
Quella sorta di aura aristocratica degli Skepticism è immediatamente evidente: il loro portamento sul palco e la loro inconfondibile flemma sono il marchio di fabbrica di una band che sa di non avere molti rivali nel creare atmosfere solenni e profonde.
Ci vuole poco affinché la lentezza maestosa e l’incedere grave dei brani creino un mood quasi liturgico, amplificato dalle tastiere cerimoniali di Eero Pöyry e dal lugubre growling di Matti Tilaeus. Come sempre, durante l’esecuzione, il frontman mantiene una calma glaciale, scandendo i versi con una compostezza che rende la prova ancora più ipnotica e coinvolgente.
Un elemento distintivo della performance degli Skepticism è ovviamente anche il consueto ‘numero’ floreale, con Tilaeus che nel corso dello spettacolo dona rose bianche a varie ragazze tra le prime file. Questo atto, eseguito con una lentezza e una cura quasi ritualistica, riesce sempre ad aggiungere un tocco di eleganza e mistero alla già intensa atmosfera del concerto, quasi a sottolineare il legame emotivo tra il quartetto e la platea.
La coesione tra i membri della band – la cui line-up è solida da tempo immemore – è palpabile, e anche dal vivo questa unione si sente in ogni nota e in ogni silenzio. Nonostante i finlandesi non siano certo una macchina da tour, la loro presenza sul palco è a suo modo concreta e disinvolta, con poche pause e un’esecuzione che, soprattutto nel finale, fa emergere sempre più trasporto, lasciando il pubblico in uno stato di riflessione se non addirittura di commozione, soprattutto ripensando a episodi come “Sign of a Storm” o “The March and the Stream”. Una chiusura eccellente per un evento tutto da ricordare.