Report a cura di Lorenzo Ottolenghi
Dopo l’annullamento della data del 2 marzo scorso, a causa della fortissima nevicata che si era abbattuta sull’Irlanda, e su Dublino in particolare, semi-paralizzando la capitale dell’Eire, gli Skid Row tornano all’Academy per riproporre la data dello United World Rebellion Tour. La venue di Dublino è piuttosto piccola e dimostra come la verde isola, nonostante parecchie band affermate, non possa contare su una gran scena metal, tanto che i fan irlandesi non badano troppo a generi, tra maglie che spaziano dai Maiden ai Primordial, dai Gorgoroth ai Saxon, dai Metallica ai Morbid Angel, dai Misfits ai Suicidal Tendencies, T-shirt che lo stesso Rachel Bolan citerà indicandole una per una, per sottolineare l’unione di una musica che unisce all’interno delle sue differenze. Il set degli Skid Row è montato fin dall’inizio, sacrificando un po’ la band di supporto (i bluesmen irlandesi Wolff), che si trova con la batteria a lato palco. Nonostante tutto, però, l’acustica è ottima e l’atmosfera elettrizzante, secondo l’adagio ‘pochi ma buoni’. Già, perché la band che a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta riempiva stadi, grazie anche ad un frontman (Sebastian Bach) idolo di molte ragazzine – oltre che, naturalmente, cantante strepitoso – oggi in Irlanda racimola poche centinaia di persone. Orfani proprio di Bach e del batterista Rob Affuso, gli Skid Row del 2018 hanno ancora senso dal vivo? Con questa domanda ci siamo recati alla venue nel centro di Dublino e questo é il nostro resoconto.
WOLFF
Il compito di aprire la serata spetta agli Wolff, band irlandese (di Wexford, per essere precisi) che unisce a un blues sporco, con qualche influenza southern, un pizzico di hard rock. Dai primissimi minuti, il trio sembra un po’ bloccato e fatica a ingranare la marcia giusta; poi, complice il supporto del pubblico casalingo, scioglie le briglie e si lascia trasportare, fornendo una performance in crescendo che si fa sempre più coinvolgente. Non sappiamo un granché del gruppo, ma capiamo che si tratta in realtà di una band incentrata su Johnny Stewart, cantante e chitarrista, mentre la sezione ritmica è formata da membri non ufficialmente parte dei Wolff. Ciononostante, l’interazione tra i tre è ottima ed anche alcuni momenti di intrattenimento tra Stewart e il batterista, con continuo lancio di bacchette verso il pubblico, dimostrano un’ottima capacità di tenere il palco e scaldare l’audience per il main act, richiamato dagli stessi Wolff un paio di volte. “You Can Sleep When You’re Dead & Done” è più di una canzone, una vera e propria introduzione e acclamazione per chi seguirà sul palco. Nonostante sia ovvio che il pubblico, dapprima sparuto poi sempre più numeroso, sia giunto all’Academy per Rachel Bolan e soci, la blues band di casa incalza, si aggiusta ad un pubblico di rocker e trascina in modo convincente, con pezzi che hanno il sapore più del blues della tradizione di Chicago che della vicina scuola inglese, con fortissimi richiami a Johnny Winter, ‘sporcato’ di hard rock novantiano. Alla fine i Wolff lasciano il palco con una prova convincente ed un pubblico ben pronto ad accogliere i protagonisti della serata.
SKID ROW
Un soundcheck piuttosto lungo fa crescere l’attesa per gli Skid Row, ma quando le luci si spengono parte la magia sulle note di “Blitzkrieg Bop” dei Ramones, diffusa a tutto volume. Rob Hammersmith si siede dietro la batteria e finalmente salgono sul palco i tre membri che non hanno mai lasciato la band: Scotti Hill, Dave ‘The Snake’ Sabo e Rachel Bolan, che attaccano con “Slave To The Grind”, dall’omonimo secondo album; poi ZP Theart arriva sul palco e, subito, sfodera la sua voce potente. Ovviamente non si può non sentire la mancanza di Rob Affuso e, soprattutto, di Sebastian Bach, ma non si ha per nulla la percezione di una band a mezzo servizio, anzi. Laddove ZP non arriva (e probabilmente oggi non arriverebbe neanche Seb), sopperisce con una gran presenza scenica, maturata anche durante la lunga permanenza nei Dragonforce, e parecchio carisma. Senza troppi fronzoli si passa a “Sweet Little Sister” e “Piece Of Me”, del primo, omonimo e memorabile album (riprodotto, durante la serata, nella quasi interezza, visto che vengono proposti ben otto brani su undici!). Breve ritorno al secondo disco con “Living On A Chain Gang”, per poi rituffarsi nelle hit “Big Guns” e l’immortale “18 And Life”. Il concerto sarà interamente dedicato ai primi due dischi degli Skid Row, con ‘The Snake’ Sabo e Rachel Bolan che prendono la parola due volte, scusandosi più del dovuto per il concerto annullato in precedenza e spendendosi in ringraziamenti alla fedeltà dei fan. Si prosegue coi classici del gruppo, fino a “Psycho Therapy”, cover dei Ramones cantata da Rachel Bolan che scatena un moshpit sfrenato nella piccola venue di Dublino. Con la romantica “Quicksand Jesus” e una “Monkey Business” in cui ‘The Snake’ e Scotti Hill si alternano in assoli, improvvisazioni e ‘sfide’, si conclude il concerto. Naturalmente mancano almeno due pezzi imperdibili ed è così che il gruppo del New Jersey torna sul palco con ZP che scherza col pubblico, chiedendo cosa facciano ancora lì e invitando le persone ad andare a casa; un po’ a sorpresa arriva “Get The Fuck Out”, su cui si crea il secondo moshpit della serata, seguita da una “I Remember You” dal sing along assordante e struggente, in cui il cantante sudafricano riesce a dare una prova vocale ottima. Lo show sembra chiudersi, ma arriva a sorpresa il secondo encore, con l’intramontabile “Youth Gone Wild” accompagnata da un secondo sing along assordante, che pone fine, stavolta veramente, alle danze. Gli Skid Row si dimostrano una band ancora ottimamente in grado di calcare i palchi e far rivivere i fasti di un passato glorioso, seppur breve (almeno come successo planetario); certo, manca la batteria di Affuso e, inutile negarlo, l’assenza di Sebastian Bach pesa non poco, eppure il concerto funziona grazie a canzoni diventate parte fondamentale di un intero genere, quello che allora si chiamava street metal, per differenziarsi dalle patinate star glam e rimarcare una vita più cruda e, appunto, di strada. Sono passati quasi trent’anni ma gli Skid Row, e noi con loro, siamo ancora la loro ‘youth gone wild’.
Setlist:
Slave To The Grind
Sweet Little Sister
Piece Of Me
Livin’ On A Chain Gang
Big Guns
18 And Life
Makin’ A Mess
Rattlesnake Shake
Psycho Therapy
Quicksand Jesus
Monkey Business
Get The Fuck Out
I Remember You
Youth Gone Wild