A cura di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Gli Skindred ci avevano promesso una serata all’insegna del ‘raggapunk’ nel febbraio 2019, ma, dopo aver posticipato l’intero tour, abbiamo la possibilità di assistere al loro scoppiettante show solo nella piovosa serata del 12 dicembre. A questo punto, la distanza dalla pubblicazione di “Big Tings” è quasi quella del secondo giro di tour, a chiusura del ciclo dedicato al disco, fatto che andrà in qualche modo ad inficiare sulle presenze al Legend Club di Milano. Ci chiediamo se ‘pochi ma buoni’ possa ancora andar bene a una band come la loro, con una storia di tutto rispetto e arrivata al settimo album in studio…
BLOOD COMMAND
Abbiamo sentito tanto parlare dei Blood Command – quartetto punk norvegese portato sul palmo della mano da parecchi addetti ai lavori – ma la mezz’ora a cui abbiamo assistito non ci ha colpito particolarmente. Non basta la graziosa vocalist Karina Ljone e non bastano gli sforzi di una lineup espansa per la sede live, con un simpatico Yngve Andersen in tenuta ‘tennista anni ’70’: la performance è onesta, ma non troviamo traccia dell’intensità di cui tanto si parla e nemmeno della varietà stilistica di cui i norvegesi dovrebbero essere portabandiera. Il pubblico degli Skindred, verosimilmente alla prima impressione come chi scrive, reagisce a malapena.
SKINDRED
Dopo averli visti coinvolgere il pubblico di Wacken, siamo convinti che gli Skindred siano in grado di suonare anche ad uno qualsiasi dei party aziendali che pullulano nel dicembre milanese: figuriamoci cosa può ottenere Benji davanti a un’audience raccolta e affezionata come quella che riempie il Legend! Felici di avere ‘un album per ogni giorno della settimana’, la banda di Newport prende il totale controllo del pubblico con una scaletta priva di punti deboli. Il merito va a una discografia abbastanza omogenea e quasi sempre ben sopra la sufficienza da cui attingere, a cui si aggiungono poi il carisma e l’innata capacità di intrattenere di quella sagoma di Benji Webbe. Grande frontman, grande cantante ed irresistibile cabarettista (!), Benji è vulcanico, imprevedibile, sincero: mentre la maggior parte dei frontman ha un canovaccio rodatissimo che ripropone con varianti minime ogni sera, si percepisce come il gallese sia un talento naturale pronto a cogliere ogni occasione gli si ponga davanti e che riesce a far girare i numeri in repertorio con una simpatia unica, chiedendo all’inizio i soliti coretti à la Queen per poi coinvolgere completamente il pubblico in una valanga di gag, tra cui una fantastica ‘tramezzino challenge’. Benji è però anche un grande cantante e lo dimostra riuscendo a dare i brividi nella parentesi seria “Saying It Now”, dedicata ad un amico che ha perso la battaglia col cancro. Se le varie “Pressure”, “Ninja” o “Nobody” sono sufficienti a far esplodere la stanza, la band getta benzina sul fuoco con gli intermezzi rap di “California Love” (2 Pac) e “Boom Shake The Room” (Will Smith), per poi arrivare all’attesissimo finale con l’ ‘elicottero’ collettivo durante “Warning”. Completa il quadro una formazione precisissima, dalla sezione ritmica puntuale che si incastra alla perfezione con le parti programmate al lavoro impeccabile dello stilosissimo e sottovalutato Michael Fry, barbuto riffmaker che potrebbe sostituire domani Wes Borland nei Limp Bizkit. Gli Skindred non sono solo opener eccezionali e fenomenale band da festival, sono un gruppo che ha la sua ragione di esistere nella dimensione live e dovrebbe assolutamente raccogliere di più in un tour da headliner. Lo scriveremo sempre, al prossimo giro non mancate.