Dopo lo strabiliante successo di critica e pubblico dello scorso anno, per lo Slash solista è tempo di ritornare in sella ad affrontare l’ennesimo tour di carriera prima di rinchiudersi nuovamente in studio alla mercè del secondo disco solista che vedrà con ogni probabilità la luce nel corso del prossimo 2012. Ammirare uno dei più carismatici chitarristi rock di sempre, valutare l’ascesa di uno dei singer più in forma del momento quale è Myles Kennedy, ascoltare alcuni classici dei Guns N’ Roses fatti come si deve o semplicemente passare una bella serata all’insegna del rock; questi sono gli spunti principali che offre la data milanese di Slash nella suggestiva cornice dell’Arena Civica.
JAPANESE VOYEURS
Il compito d aprire le danze spetta ai giovanissimi Japanese Voyeurs, band nuova di zecca pronta al debutto con il disco “Yolk” che vedrà la luce nel prossimo autunno. Il quintetto statunitense propone un sound abbastanza personale che intreccia sonorità stoner rock e sludge metal con le linee vocali visionarie della cantante Annie Hardy, non troppo distante nella timbrica da una certa Courtney Love. L’impasto sonoro sembra essere convincente peccato che una resa sonora non ottimale e il timore riverenziale mostrato dalla band frenino gli entusiasmi, inoltre le sonorità tutto sommato ricercate dei Japanese Voyeurs vanno a sbattere contro una platea parsa poco incline ad accogliere la proposta musicale del gruppo. Da rivedere in altro contesto e magari con qualche anno di esperienza in più.
SLASH
Nonostante minacciose nuvole da scenario apocalittico imperversano sopra l’arena civica di Milano alle nove e mezza in punto accompagnati da una breve introduzione salgono sul palco Slash e la sua band irrompendo con l’ormai nota “Ghost” opener del suo sin qui unico e omonimo disco solista. Dalle prime battute comprendiamo subito che sarà un concerto anomalo dal punto di vista sonoro almeno per noi metallari abituati a volumi di ben altro spessore, invece complice la posizione centrale, a ridosso delle abitazioni, della location, l’intera performance sarà giocata su basse intensità di decibel, tanto che risulterà naturale comunicare col proprio vicino anche durante l’esecuzione dei vari brani. La sorpresa di trovarsi al cospetto di una resa sonora distante dalle nostre aspettative e forse un Myles Kennedy ancora in fase di riscaldamento rendono l’inizio del concerto un po’ soporifero a dispetto del grande entusiasmo e del bellissimo colpo d’occhio che offre la platea, tuttavia la band statunitense ci mette veramente un attimo a carburare e già con le successive “Mean Bone” e “Sucker Train Blues”, rispettivamente dal repertorio Snakepit e Velvet Revolver si cambia marcia. La vera esplosione della serata però si registrerà nei minuti successivi allorchè Slash e compagni danno il via ad un trittico da brividi firmato Guns N’ Roses che comprende “Nightrain”, “Rocket Queen” e “Civil War”, quest’ultima avvalorata da un interpretazione strepitosa di un Myles Kennedy in gran serata. Proprio il singer degli Alter Bridge stupisce per la naturalezza con la quale personalizza le linee vocali di Axel Rose e allo stesso tempo tiene testa a Chris Cornell nell’ottima “Promise”, per non parlare di quando si cimenta in pezzi da lui stesso cantati anche nella versione originale come accade con la splendida “Starlight”, da annoverare tra le canzoni più riuscite della serata. Il talentuoso singer americano in questi anni ha acquisito una certa esperienza e dunque non ci stupiamo né scandalizziamo nel sentire qualche abbassamento per tirare il fiato o nell’apprezzare il grande apporto ai cori del bassista Todd Kerns, cui vengono date le chiavi della simpatica e irruenta “Doctor Alibi”. Nonostante la crescente popolarità di Kennedy il palcoscenico principale è sempre per il mitico Slash, apparso in grande spolvero non solo dal punto di vista esecutivo, ma anche nel modo in cui il celebre chitarrista ha tenuto il palco con pose plastiche e scorribande da una parte all’altra. Con l’immancabile cilindro in testa Slash ha saputo trasmettere attraverso le sue canzoni, ma anche durante gli assoli in solitario il proprio carisma e la propria personalità meritandosi i numerosissimi applausi di un pubblico visibilmente divertito e soddisfatto della serata. Rispetto alla precedente calata itallica il quintetto statunitense regala qualche pezzo in più dal debutto omonimo, ma anche una chicca a titolo “Patience” dedicata alle vittime norvegesi. Il finale è roboante con l’acclamatissima “Sweet Child O’ Mine” che questa volta fila via liscia senza invasioni di palco e “Slither” tratta ancora una volta dal repertorio dei Velvet Revolver. Prima del congedo finale e dopo la breve pausa di rito c’è ancora spazio per un paio di perle quali “By The Sword” sul quale il buon Kennedy se la cava usando un po’ di mestiere e l’immancabile “Paradise City” che scatena il delirio finale a coronamento di una serata di grande rock n’ roll, appannata soltanto dal volume maledettamente basso dell’impianto!