Introduzione a cura di Roberto Guerra
Report a cura di Roberto Guerra, Davide Romagnoli e Giacomo Slongo
Fotografie a cura di Enrico Dal Boni
Giunge finalmente il momento di parlare della giornata più metallara dell’edizione 2019 del Bologna Sonic Park, in programma nell’ormai storica location dell’Arena Parco Nord del capoluogo emiliano, che in passato ha avuto modo di deliziare molti di noi grazie ad eventi quali il Gods Of Metal. Quest’oggi sono i sempre più imponenti statunitensi Slipknot a rappresentare il nome principale, ma volendo osservare chi è stato posto sotto di loro non c’è davvero niente per cui lamentarsi: dai vichinghi per antonomasia Amon Amarth, passando per la leggenda del thrash metal Testament e per gli italianissimi Lacuna Coil, fino a giungere ai vari Corrosion Of Conformity, Eluveitie e, in veste di opening act, Black Peaks, che purtroppo non siamo riusciti a vedere per motivi di orario. Inutile dire che l’elemento predominante di questa giornata saranno i 40°C abbondanti, che renderanno relativamente faticosa la permanenza, soprattutto a buona parte di chi ha deciso di prendere parte all’evento sin dalle prime ore del pomeriggio. La scelta di erigere uno stand presso cui ottenere della Coca-Cola in maniera del tutto gratuita, accanto a un punto in cui usufruire di una fonte d’acqua illimitata, mitigherà in parte la sensazione di cottura a puntino, nonostante il crearsi di qualche coda che riteniamo fosse, tutto sommato, inevitabile. Anche a livello culinario la location offre numerose opzioni, in modo da fornire così un’esperienza completa e godibile da tutti; e a parer nostro l’operazione può dirsi più che riuscita. In ogni caso, bando alle ciance, poiché è il momento di analizzare, una per una, sei delle sette esibizioni previste. Buona lettura!
ELUVEITIE
Partiamo con la folk metal band svizzera più famosa del mondo, ultimamente al centro di svariati elogi da parte di molti estimatori, che hanno visto nel recente “Ategnatos” un discreto ritorno ai livelli qualitativi delle prime, apprezzate produzioni ad opera del buon Chrigel Glanzmann, unico membro originale ancora attivo in formazione. E’ proprio la title-track dell’opera sopracitata a fungere da apertura per il loro breve show, seguita dalla versione italiana del brano “The Call Of The Mountains”, che ancora oggi riesce a risultare al limite del cringe nonostante gli anni trascorsi, pur senza voler nulla togliere alle capacità della bella Fabienne Erni. In generale la band appare a proprio agio, seppur visivamente accaldata, e ogni singolo membro fornisce una prova tutto sommato di buon livello, anche se è sempre il poliedrico frontman a rappresentare la vera stella del palco, grazie a un carisma ancora ben riconoscibile e a una timbrica distorta e furente che raggiunge il suo apice negli attimi finali, in concomitanza dell’ormai inflazionata “Inis Mona”, che rappresenta anche una delle poche deviazioni in scaletta dall’ultimo album, dal quale è stata prelevata più di metà della setlist scelta. Di certo questo non è il contesto migliore per assistere a un concerto degli Eluveitie, ma possiamo dire che, considerato anche il poco tempo a disposizione, un applauso glielo si possa concedere senza particolari ripensamenti.
(Roberto Guerra)
CORROSION OF CONFORMITY
Per molti la presenza di Pepper Keenan potrebbe valere molto più che un orario pomeridiano impervio, brutti suoni e una arsura spacca-pietre. I Corrosion Of Conformity e il loro tassello discografico principale “Deliverance” (qui celebrato per l’anniversario dei 25 anni) sono infatti una piccola grande chicca all’interno del festival. Lo stoner paludoso del sud statunitense riesce a regalare più di qualche reminiscenza del periodo d’oro del genere e con alcuni pezzi storici, quali “Albatross” (uno dei riff più emblematici dello stoner tutto), pianta il suo stendardo su un pomeriggio assolato da godersi con birra e buona compagnia. Chiude “Clean My Wounds”, altro inno ad un modo di fare musica veritiero e senza grandi orpelli, due chitarre, un basso e una batteria. Efficaci e diretti. Più che sufficienti per farci ricordare una delle formazioni di culto di quel lato d’America. Veri broken men in a broken lands, come recita uno dei loro pezzi principali. And don’t they wish they were blessed like you.
(Davide Romagnoli)
LACUNA COIL
Dopo un buon inizio, con il sole sparato dritto in faccia, sulle note della nota “Our Truth”, una delle metalband italiane più popolari deve purtroppo vedersela con un invasivo problema tecnico, che la costringerà ad interrompere il concerto per i successivi minuti. Fortunatamente Cristina e Andrea gestiscono la cosa con tutta l’ironia e la professionalità del caso, facendo intonare al pubblico, rigorosamente a cappella, un paio di brani degli Ac/Dc, prima di tornare a dire la propria con “Die & Rise” e “Trip The Darkness”. Non ci è dato sapere se sia stato necessario tagliare un brano dalla scaletta a causa del sopracitato imprevisto, ma una cosa sicura è che, nonostante le condizioni non proprio ottimali, i Lacuna Coil portano a casa la propria esibizione con classe e grinta, sebbene i suoni restino lontani dalla perfezione, e concludono lo show con un trittico composto dalla immancabile cover dei Depeche Mode, “Enjoy The Silence”, seguita a ruota dalle attese “Heaven’s A Lie” e “Nothing Stands In Our Way”. Nonostante molti siano in attesa di un eventuale piccolo encore, magari con una delle numerose tracce assenti, Cristina e compagni si congedano, mettendosi al riparo dal sole che li ha colpiti per tutto il concerto. Ora è bene fare una pausa per rifocillarsi, poiché con gli ultimi tre nomi non potrà che essere un massacro unico, tra fiumi di sudore e nuvole di polvere.
(Roberto Guerra)
TESTAMENT
Gli estimatori delle sonorità più old-school scuola possono trovare di che godere dal momento in cui il Serpente decide di risvegliarsi, in concomitanza dell’ingresso on stage dei Testament, sulle note della recente “Brotherhood Of The Snake”, cui seguono altri rintocchi di violenza grazie a “The Pale King” e alla ormai classica “More Than Meets The Eye”. L’energia trasmessa da Chuck Billy & Co., in particolar modo da quell’infallibile trittico di asce (Skolnick-Peterson-DiGiorgio), è qualcosa che ancora non era stato possibile percepire al Bologna Sonic Park, incentivata anche dal fatto che il sole sta piano piano iniziando a dirigersi verso l’orizzonte, permettendo ai presenti di lasciarsi andare a un po’ di sano moshpit, obbligatorio mentre risuonano inni come “Into The Pit” e “Over The Wall”. Notiamo inoltre con piacere che la band, rispetto ad esempio all’esibizione in quel dell’Hellfest, di cui avrete modo di leggere a breve, ha ben pensato di variare la setlist, introducendo anche delle mazzate nucleari come “D.N.R.” e “Low”, così come degli attimi tendenzialmente cantabili, in concomitanza di “Electric Crown”. C’è poco da dire, i Testament non sbagliano mai un colpo, ed è quasi un peccato assistere per la seconda volta di fila a uno show tagliato a causa della posizione all’interno del programma; anche per questo, una volta terminato il set con l’immancabile “The Formation Of Damnation”, non possiamo che rimanere in attesa di una nuova discesa, in veste da headliner, dalle nostre parti, per quella che continua a confermarsi come una delle migliori live band in assoluto.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Brotherhood Of The Snake
The Pale King
More Than Meets The Eye
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
Eyes Of Wrath
Legions Of The Dead
Low
Into The Pit
Electric Crown
Over The Wall
The Formation Of Damnation
AMON AMARTH
A tal proposito, nel momento in cui ci accingiamo a scrivere queste parole, molti tra voi avranno già iniziato a pregustare la data da headliner degli Amon Amarth appena annunciata, in programma per novembre in quel dell’Alcatraz di Milano. Nel frattempo, dopo averli visti sempre in compagnia degli Slipknot in occasione della prima edizione europea del Knotfest, siamo comunque più che entusiasti di poter accogliere una volta in più la piccola orda di vichinghi guidata dal simpatico vocalist Johan Hegg. E’ quasi uno show da headliner quello messo in piedi dalla formazione svedese, composto da ben quattordici estratti provenienti da diversi momenti della loro lunga carriera: dalle immancabili parentesi dedicate al recente “Berserker”, passando per inni immortali come la iniziale “Pursuit Of Vikings”, “Death In Fire”, “Deceiver Of The Gods”, fino a una piccola deriva retrò in compagnia di “Legend Of A Banished Man”, purtroppo riconosciuta da relativamente pochi presenti. I giochi pirotecnici, i guerrieri armati di scudo e le colorate scenografie alle spalle della band rendono lo spettacolo ancora più suggestivo e fomentante, così come l’interazione col pubblico, sempre ben gestita dal mastodontico frontman, che non manca di accompagnare gli scoppi sul palco con qualche colpo di martello gigante. Dopo aver invitato tutti a bere a ritmo di “Raise Your Horns”, gli Amon Amarth lasciano il posto agli americani Slipknot, ma non prima di averci travolto in pieno con la devastante “Twilight Of The Thunder God”, accompagnata anch’essa da una discreta quantità di moshpit e crowd surfing, per quanto quest’ultimo sia contemplato in Italia. Piacciano o non piacciano, degli Amon Amarth non ci si stanca mai, e siamo davvero curiosi al pensiero di poter ammirare le nuove soluzioni adottate per il nuovo tour che partirà a settembre. Ci si vede a Milano, ragazzoni!
(Roberto Guerra)
Setlist:
Pursuit Of Vikings
Deceiver Of The Gods
First Kill
The Way Of Vikings
Asator
Crack The Sky
As Loke Falls
Legend Of A Banished Man
Death In Fire
Shield Wall
Raven’s Flight
Guardians Of Asgaard
Raise Your Horns
Twilight Of The Thunder God
SLIPKNOT
29 giugno 1999. Nove freak in tute da lavoro e maschere grottesche emergono dal cuore rurale e retrogrado degli Stati Uniti per imporsi agli occhi della scena metal mondiale come la cosiddetta ‘next big thing’ su cui puntare tutto. 27 giugno 2019. Vent’anni più tardi, parte di quel folle circo di musicisti è ancora qui a ribadire il proprio strapotere nei confronti di una certa frangia del music business, toccando – a ridosso della pubblicazione di quello che si preannuncia come uno degli album più chiacchierati della sua carriera – un’Arena Parco Nord gremita e già messa a dura prova dalle performance susseguitesi nel corso della giornata. Apparentemente imperturbabile ai cambiamenti di line-up (Chris Fehn, allontanato e sostituito in tempo record) e ai lutti familiari (Shawn Crahan, la figlia del Clown scomparsa lo scorso 18 maggio), il colosso che risponde al nome di Slipknot paga l’ennesimo pegno di energia e sudore ai propri fedelissimi maggots, lanciandosi in una setlist che – a prescindere dalle mille dissertazioni del caso, più o meno soggette a gusti e antipatie personali – risulta inattaccabile dal punto di vista dei contenuti e dell’intensità. Circa novanta minuti di concerto in cui l’imponente scenografia di schermi allestita per l’occasione risulta persino superflua, messa in ombra dalla perizia esibita da (quasi) tutti i Nove sul palco. Detto infatti che Wilson è ormai confinato al ruolo di macchietta e che l’operato dei percussionisti poco toglie e poco aggiunge al valore complessivo dello show – sebbene il nuovo arrivato provi a metterci del suo con un po’ di mobilità – i restanti membri si confermano un team nato per vincere facile, con una menzione speciale per l’ugola carismatica di Taylor, per la coppia d’asce formata da Root e Thomson e per il tentacolare Wenberg al drumkit, entrato definitivamente nei meccanismi della band di Des Moines con il suo tocco da fenomeno. E i brani? Come scritto poc’anzi, pur con qualche defezione (“Wait and Bleed” su tutte), ottimamente bilanciati tra la produzione di fine anni Novanta/inizio anni Duemila e quella più recente e melodica, con la brutale frenesia di “Get This” e la nenia psicotica di “Prosthetic” a fungere da chicche in mezzo a tanti cavalli di battaglia noti e stranoti. Un’aggressione perfettamente orchestrata, quindi, ora accessibile e alla portata di tutti, ora ai limiti dell’extreme metal tout court, da parte di una band amata e odiata in egual misura. Come solo ai grandi della musica spetta.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
(515)
People = Shit
(sic)
Get This
Unsainted
Disasterpiece
Before I Forget
The Heretic Anthem
Psychosocial
The Devil in I
Prosthetics
Vermilion
Custer
Sulfur
All Out Life
Duality
Spit It Out
Surfacing