A cura di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Fotografie di Enrico Dal Boni
Ventotto date nei palazzetti e nelle arene in tutta Europa, di cui venti andate anticipatamente in sold out: il We Are Not Your Kind World Tour sta facendo sfracelli nonostante la stagione dei festival 2019 non sia troppo lontana; e la febbre dei Maggots si testimonia alta anche in quel di Milano, dove lunghe code attendono in maniera paziente ed educata l’ingresso nel Forum, in quello che è il primo dei grandi eventi dell’anno nell’universo heavy. L’apertura porte è stata leggermente ritardata (anche per i possessori di ‘early entry’) e i controlli per i biglietti nominali hanno rallentato l’afflusso, senza però generare mal di pancia, a quanto ci è sembrato di capire. Curiosità anche per i Behemoth in veste di supporter principali: dopo un’affollata sessione di autografi pomeridiana al Lucky Music, saranno in grado di intrattenere a dovere le grandi folle dei Nove?
BEHEMOTH
All’odore di ‘merda di cammello’ si aggiunge quello di zolfo, cortesia dei Behemoth, ovviamente. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile una proposta tanto estrema come opener in un tour come questo, e allo stesso modo troviamo incredibile la sicurezza con la quale i polacchi affrontano la grande platea dei Mascherati: Nergal porta sul palco fuoco, cambi di outfit, schermi LED, cannoni di fumo e pyro, con una maestria e una teatralità che hanno pochi rivali. Se i blastbeat possono confondere quella parte di presenti non avvezza alle sonorità black/death, nelle prime file le ‘legioni’ mostrano attivamente tutto il loro supporto, mentre incalzano “Wolves Of Siberia”, “Daimonos” e “Ora Pro Nobis Lucifer”. Se c’è qualche sbavatura lato mixer, il buio giova indiscutibilmente alle scenografie e lo show prosegue a gonfie vele, mentre spalti e parterre si riempiono costantemente. Ben otto brani per i nemici del Cristianesimo, che dopo il salto nel passato di “Chant For Eschaton 2000”, chiudono il set con la curiosa performance di percussioni per l’outro “Coagvla”. Satana è arrivato a Hollywood, e si ambientato benissimo.
SLIPKNOT
Palazzetto pieno e atmosfera delle grandi occasioni, quando sulle note di “For Those About To Rock (We Salute You)” degli AC/DC si capisce che sta per calare il tendone sul quale campeggia la scritta ‘Slipknot’. Il successo di “We Are Not Your Kind” è fuori discussione, e guardandosi in giro si respira un grande senso di comunità che unisce ormai più di una generazione, unendo i fan più giovani ai neo genitori che rivivono la propria giovinezza tornando piccoli AJ Soprano (ricordate il figlio di Tony Soprano, adolescente e fan del metal anni 2000?). “Insert Coin” alza l’eccitazione alle stelle e le ombre dei Nove fanno il loro ingresso su una struttura a tre livelli che ospiterà le postazioni dei Mascherati. Il palco è formato da tre grandi wall led disposti in orizzontale, uno sulla struttura e altri due superiori, all’inizio piuttosto anonimi perché ‘colorati’ in maniera uniforme, ma che successivamente, grazie alla proiezioni di immagini e filmati ad hoc, garantiranno l’immersione nell’universo malato della band. Ad essi si aggiungono moltissimi pyro e sporadici fuochi d’artificio. Col tempo ci siamo abituati a una performance molto statica e per forza di cose coreografata, e poco cambia in questo 11 febbraio 2020: Root, Thomson e Taylor, pur dimenandosi, non fanno un passo in nessuna direzione. Rompono lo schema, rigorosamente a turno, un Sid Wilson che sembra uscito da Guerre Stellari (nella sua postazione trova spazio anche un tapis roulant!), Tortilla Man, completamente infoiato e che per un breve periodo scende dal trespolo e fa da secondo frontman, V-Man, dotato di basso-lanciafiamme, e ovviamente Clown, per battere contro il mitico fusto di metallo con una mazza infuocata. Lo show, perfettamente rodato, permette a tutti i nove di avere il proprio momento di gloria, ma la parte del leone la fa come sempre Corey Taylor, forte di un’ugola che pare indistruttibile e capace di radunare in pochi istanti le attenzioni di un pubblico fisicamente un po’ troppo calmo, ma molto presente a livello di rumorosità. Le novità sono “Unsainted”, che, come prevedibile, dal vivo è semplicemente incredibile, e viene ripresa a pieni polmoni da tutto il palazzetto; l’altrettanto eccellente “Nero Forte”, “Solway Firth” e poi “Birth Of The Cruel”. Viene pescata anche “All Out Life” prima della fine, col risultato di una setlist ben rinfrescata. A chiudere il set regolare c’è “Duality”, mentre l’encore arriva in breve tempo con la triade devastante formata da “(sic)”, “People = Shit” e “Surfacing”. Breve ripasso mentale e… manca proprio il grande classico, “Spit It Out”! Una scelta azzardata che scopriamo poi essere comune a tutte le date precedenti, ma che in fin dei conti la band dell’Iowa può tranquillamente permettersi, a questo punto. Un altro concerto incredibile per una band che continua, passo dopo passo e contrariamente a parecchi colleghi, a meritare il grande consenso di critica e pubblico.