A cura di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Foto di Enrico Dal Boni
Originariamente prevista per il 27 luglio 2021, la data degli Slipknot al castello Scaligero di Villafranca di Verona si concretizza l’anno successivo, in un’atmosfera post-pandemica che ha intasato i calendari dei concerti di ogni appassionato. I Maggots non si sono fatti pregare nonostante l’abbuffata di giugno, a testimonianza di una grande fame di eventi e di una passione mai sopita verso i nove dell’Iowa. Il piccolo centro di Villafranca viene quindi invaso da più di seimila persone provenienti da ogni parte d’Italia che animano ogni punto ristoro della zona, gelatai compresi, e – ahinoi – si dispongono (in maniera diligente) in due interminabili code che andranno ad abbracciare tutto il perimetro del castello: tragicamente, infatti, i punti di accesso all’arena sono soltanto due, scelta incomprensibile che ha causato incredibili ritardi anche ai possessori di esperienza VIP e ‘Inner Circle’, in fila assieme ai possessori di biglietto normale. Anche se gli spettacoli verranno poi spostati di mezz’ora avanti, i Vended si esibiranno di conseguenza davanti ad un’arena semivuota, tanto che anche chi scrive perderà la loro esibizione; stessa storia per i Jinjer, cui toccherà la sorte di un pubblico in lentissima processione (oltre all’assenza di fotografi, fatti entrare solo per gli Slipknot). Per chi ha sorpassato l’ingresso, le code non finiranno, visto che le file per i bagni chimici e per la birra resteranno lunghissime per l’intera durata dell’evento, e anche l’unico banchetto merch, dalla visibilità molto limitata, resterà parecchio difficile da raggiungere. Passando alle note positive, la location in generale e il verde presente sono semplicemente spettacolari, i suoni saranno eccellenti – con volumi e mixing più che discreti per tutta la durata degli show, e l’atmosfera di festa sarà garantita da un pubblico molto energico, motivato e semplicemente contento di essere lì.
JINJER
Fortemente voluti dagli stessi Slipknot, che secondo le parole di Corey Taylor hanno provato per ben tre anni ad averli come opening act, i Jinjer continuano la propria ascesa verticale nonostante pandemia e conflitto russo-ucraino. Il quartetto si esibisce alla luce del giorno, col solo backdrop gialloceleste (a testimonianza della propria nazionalità, appunto, ucraina) alle proprie spalle e un look coordinato e ben definito. Colpisce gli spettatori, senz’ombra di dubbio, la frontwoman Tatiana, molto abile e a suo agio nel tenere il palco e unico punto mobile nell’esibizione – chitarra e basso infatti resteranno praticamente immobili per tutto il set, nota decisamente negativa su un palco di grandi dimensioni. In tutta onestà chi scrive non è mai stato travolto dall’entusiasmo che circonda la band sin dagli esordi, inoltre la proposta tra djent, progressive e groove non è tra le più digeribili per i molti che li stanno ascoltando per la prima volta: nonostante tutto, in ogni caso, i Jinjer appaiono molto consapevoli dei loro mezzi e la risposta del pubblico è sinceramente positiva, testimonianza che la formula del gruppo funziona anche nel breve periodo. Evitando la propaganda politica e lasciando spazio alla musica i Jinjer arrivano agilmente alla fine del proprio set portandosi a casa una bella fetta di pubblico. L’ascesa continua.
SLIPKNOT
Siamo rimasti a testa insù per parecchio tempo visto che le previsioni del tempo davano pioggia dalle 21:00, dal momento in cui il telone si è alzato a coprire il palco però gli occhi sono sempre rimasti ben direzionati verso gli headliner della serata. L’atmosfera elettrica dell’intro è squarciata da “Disasterpiece”, e sparito il telone l’attacco è davvero d’impatto sia per i suoni, per lungo tempo tallone d’achille dei nove, spesso impastati e dai volumi inadeguati, sia per la carica che il collettivo riesce a trasmettere e scambiare con l’arena, che esplode urla e salta con grandissimo trasporto ed energia. Poche novità lato palco, con i due set dei percussionisti in sopraelevata ai lati, le posizioni di dj e samples accanto alla batteria e il primo livello a disposizione di basso, chitarre e frontman. Oltre alle ventole industriali ci sono due grandi led display sul retro e sopra il palco, che uniti a quelli sulle percussioni e coadiuvati da luci e pyros garantiscono un grande risultato scenico. Terminate “Wait And Bleed” e “All Out Life” c’è un piccolo break che anticipa lo scorrimento della scaletta, organizzata a gruppi di tre canzoni, pausa, discorso e ripartenza. Uno stacchetto sarà ovviamente riservato alla calorosa bestemmia di Corey Taylor, siparietto immancabile quanto il ‘tutti giù per terra’ che accontenta i presenti (soprattutto i veneti!) e che verrà ripresa e ripostata sui social da tantissimi. Nonostante il nuovo album in arrivo questo tour è praticamente un comeback post-covid, quindi nessuna succulenta anticipazione di “The End So Far” (verrà eseguita solo “The Chapeltown Rag” a metà show) ma un’accorata rassicurazione per il pubblico sul fatto che il titolo non è in alcun modo un annuncio di separazione. Parlando di comunicazione, quella che a nostro parere è l’unica nota negativa della serata in generale è il silenzio assordante nei confronti di Joey Jordison, scomparso a un anno esatto del concerto di stasera. Comportamento inspiegabile in tutta sincerità, sarebbe bastata un’immagine sugli schermi o una breve dedica per celebrare l’artista, l’essere umano parte delle fondamenta della band, ma niente di tutto ciò, e gli spettatori lo notano amaramente. A parte questo neo, la setlist di classici è davvero succulenta, e dobbiamo ammettere che a livello di performance ed energia si assiste ad una delle migliori esibizioni del gruppo da anni: Taylor potentissimo e perfetto, il resto della band a ruota. Grande coinvolgimento ovviamente con “The Heretic Anthem”, “Psychosocial” e “Spit It Out”, i singalong si sprecano su “Unsainted”, “Dead Memories” e “Sulfur”, restano invece grandi assenti “Nero Forte”, “Vermilion” e la nuovissima “The Dying Song (Time To Sing)”, di cui molti speravano di assistere alla prima esecuzione live della storia.
Lato costumi la maschera ‘da murena’ del numero 8 è spettacolare e terrificante, ma debutta in questo tour anche un nuovo look dell’alieno Sid Wilson, che presenta un volto robotico e che tiene in mano il viso del precedente travestimento in grado di muovere occhi e bocca! Rivisitato leggermente anche il costume di Tortilla Man, uomo che si merita due righe: nonostante l’infortunio alla caviglia mostrato sul web Michael Pfaff è completamente impazzito e per tutta la durata dello show sarà l’elemento folle ed imprevedibile dei nove che assicura mobilità ed episodi fuori di testa, prendendo un po’ il posto di Wilson in questo frangente e diventando uno degli elementi più indicati col dito durante l’esibizione. Intatto il carisma di Clown, che colpisce il fusto di birra durante “Before I Forget” con una mazza infuocata, come quello della grandissima coppia d’asce dei giganti Root/Thomson, trio che non ha bisogno di rivisitazioni. Si arriva in fretta a “Spit It Out” ma tutti sanno che arriverà l’encore con “People = Shit” e “Surfacing”, con la quale la band saluta il pubblico italiano portando sul palco anche i figli di Shawn Crahan e Corey Taylor (entrambi nei Vended), quadretto che ci fa sperare che gli Slipknot possano andare avanti per sempre, con sostituzioni opportune ed eredi già pronti e solo da allenare. Un successo.
Setlist:
Disasterpiece
Wait And Bleed
All Out Life
Sulfur
Before I Forget
The Chapeltown Rag
Dead Memories
Unsainted
The Heretic Anthem
Psychosocial
Duality
Custer
Spit It Out
People = Shit
Surfacing