A cura di Lorenzo Santamaria
Dopo la fiammeggiante data italiana, ecco l’armata rinnovata dei ‘Knot fare la sua apparizione nell’antico regno di Danimarca. Siamo curiosi di vedere se i Nostri riusciranno a bissare il devastante show di Milano e se i tanto chiacchierati opener King 810 riusciranno questa volta ad essere all’altezza di una band così blasonata del panorama contemporaneo, dopo il mediocre risultato conseguito in Italia. I ‘Nine’ sono quasi degli affezionati da queste parti e fanno contenti i presenti divulgando uno dei segreti peggio celati di questo metal-anno 2015: la loro presenza come headliner al Copenhell di questa estate. Carichi come non mai, in un Forum che quasi raggiunge la sua capienza massima, ci buttiamo nella mischia per raccontare a tutti voi lettori come è andata.
KING 810
La band del Michigan, uno dei nuovi act più amati/odiati del 2014 appena trascorso, fa il proprio ingresso in orario sul palco e ci accoglie con un sound pesante e cadenzato. Complice un’acustica dell’arena decisamente migliorabile, non restiamo particolarmente colpiti dalle prime tre canzoni suonate dai Nostri, le quali ci sono sembrate prive di mordente e semplicemente non musicalmente interessanti per uno show di questo livello. Verso metà spettacolo, con pezzi quali “Desperate Lovers” e “Write About Us”, cominciamo a sentire qualcosa alle nostre estremità e finalmente iniziamo a ondeggiare il capo. Il singer David Gunn è una delle note dolenti di questa performance dei ragazzi del Michigan, poiché non riesce mai a risultare né cattivo, né convincente, ma anzi ci regala un growl strozzato che ci fa più temere per le sorti delle sue corde vocali domani mattina che altro. Anche i pezzi che su cd sembravano più cool, dal vivo non riescono assolutamente a tenere il confronto. Il combo di “Murder Town” propone per la maggior parte midtempo cadenzati, ma senza il groove necessario per interessare la nutrita platea presente, a parte qualche sporadico kid che si abbandona ad un circle pit ogni tanto. Le nostre perplessità sulle scelte della Roadrunner di affidarsi a questa band rimangono, data la mediocrità (l’ennesima) dello show al quale abbiamo assistito questa sera. Una vera delusione. Cala il sipario e noi andiamo a prenderci una birra in attesa del piatto forte della serata.
SLIPKNOT
Gli Slipknot sono una di quelle rarissime band che sa sempre come cadere in piedi. Nessuno avrebbe scommesso molto sul futuro della band dell’Iowa, dopo la scomparsa di Paul Gray, l’abbandono del mastermind Joey Jordison e la costante attitudine da primadonna di Corey Taylor. Eppure i ragazzotti hanno tirato fuori un album ottimo, rispolverando quel sound acido e nervoso che è stata la loro fortuna agli esordi, e hanno assoldato due ottimi musicisti per dare nuova linfa al progetto (specialmente Weinberg, che ha fatto dimenticare quasi completamente il vecchio Joey). Va da sé che questa sera siamo eccitatissimi nel vedere finalmente gli Slipknot 2.0 all’opera. Dopo l’intro di rito, affidata questa volta a “XIX” , i Nostri partono subito in quarta con la gustosissima “Sarcastrophe” dall’ultimo “Vol. 5”, ed il pubblico si scatena immediatamente in un pogo scatenato. Corey, ergendosi sullo stage gigante e pacchiano allestito per l’occasione, con una testa caprina sputafuoco di 3 metri ed altre amenità pirotecniche, prende possesso della scena, salutandoci e dandoci finamente conferma della loro presenza al Copenhell di quest’anno, mentre un incontenibile Sid Wilson saltella come un invasato per il palco sventolando la bandiera di Christiania (per chi non lo sapesse, il quartiere hippie di Copenhagen famoso per la compravendita di droghe leggere). Dopo questa breve parentesi, la compagine di Des Moines ci attacca frontalmente con alcune delle super hit della propria storia: abbiamo “The Heretic Anthem”, “My Plague”, “Psychosocial”, intervallate dai singoli dell’ultimo lavoro, ovvero “The Devil In I” e “The Negative One”, entrambe dotate di un inaspettato tiro live. Continuiamo poi con una serie di intramontabili song del self-titled album: in ordine, “Eeyore”, “Liberate” e “Purity”, per non lasciare scontento nessuno dei fan old school presenti in sala. Tra un pogo ed un rovesciamento di birra e l’altro, giungiamo ai pezzi provenienti da “Vol.3”, ed il pubblico scatta in un boato clamoroso, soprattutto sulle note di “Before I Forget”, hit che trascina i presenti in un singalong molto sentito. Al turno di “Left Behind”, le fiamme si alzano pericolosamente, facendoci sentire davvero molto caldo, ma possiamo dirvi che il tutto aiuta significativamente l’economia dello show, poiché la gente attorno a noi comincia a saltare come se non ci fosse un domani, galvanizzata dall’energia di questo pezzo e dalla costante ottima resa live. Seguono poi “Spit It Out”, dove la band trascina il pubblico nell’ormai consueta coreografia sul bridge centrale, che porta gli spettatori ad accovacciarsi per poi saltare tutti insieme sull’inizio del ritornello finale, e la terremotante “Custer”, pezzo che sembra fatto apposta per aizzare il pubblico in un mosh senza quartiere. L’encore di rito è caratterizzato da una scelta dei pezzi magistrale: abbiamo infatti “(sic)”, “People = Shit” e “Surfacing”, per la gioia di tutti quelli (pochi) che non ne hanno ancora avuto abbastanza di dimenare i propri arti e le proprie teste. In conclusione, ennesimo grandissimo show per la band di Des Moines, la quale dimostra ancora una volta di essere probabilmente una delle più influenti e imprescindibili band della scena metal contemporanea. Ci si rivede a giugno, cari ‘Knot. Intanto complimenti.
Setlist:
XIX
Sarcastrophe
The Heretic Anthem
My Plague
The Devil in I
Psychosocial
The Negative One
Eeyore
Liberate
Purity
Before I Forget
Duality
Left Behind
Spit It Out
Custer
—–
(sic)
People = Shit
Surfacing