A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
Foto di Francesco Castaldo
E’ dall’annuncio del Prepare For Hell tour che i maggots si fregano le mani nell’attesa di godersi di nuovo gli Slipknot dal vivo: comprimari come gli amatissimi Korn e gli odiatissimi King 810 hanno reso l’evento un successo assicurato, di fatti l’unica data italiana, anche se privata di Davis e soci, è andata sparatissima verso il tutto esaurito (solo sfiorato alla fine). Oltre alla curiosità verso i brani di “.5: The Gray Chapter”, gli occhi sono puntati principalmente dietro il drumkit dove sedeva Joey Jordison, batterista da molti ritenuto insostituibile nell’economia dei mascherati. Quanto i tempi siano cambiati dai primi anni 2000 si capisce dal pomeriggio, quando davanti agli addetti ai lavori sfilano Jim Root e Sid Wilson a bordo di una Ferrari con il nome del gruppo sulla portiera. A corredo, una fila nutrita per i meet & greet a pagamento, oltre a personaggi televisivi come il simpatico Gabriele “Chef Rubio” Rubini che bazzicano le entrate secondarie. Potremmo definirlo un evento “mondano” per i canoni della nostra musica, tanto che durante la serata avvisteremo anche il rapper Salmo, perfettamente a suo agio nell’ambiente, e i Tenacious D, che assisteranno a qualche pezzo dal mixer. Brutta sorpresa per tutti coloro che hanno deciso di arrivare presto per la corsa alle prime file: l’apertura delle porte verrà ritardata moltissimo causando il semi-congelamento di molti possessori di biglietto.
KING 810
Una vetrina incredibile per i “gang-related” di Flint, che nel bene e nel male hanno attirato moltissime attenzioni nella comunità heavy. Dal mirino del ‘ferro’ a quello mediatico, i quattro non mostrano alcun timore reverenziale e sfoggiano una sicurezza rara per una formazione alle prese con il tour più importante della loro vita: introdotti da un’intro gangsta rap e dalle voci dei TG che descrivono la natale Murder Town, contesto di tutto l’immaginario lirico e visivo della band, i King iniziano a muso duro con “Killem All”. Zero stage show (il ritardo ha impedito anche l’uso del backdrop) e luci accese nel Forum, per una performance che non ha ricevuto particolare entusiasmo da parte del pubblico. Di sicuro migliorabile la prova vocale di David Gunn: il suo stile sgolato è particolare ed è un segno distintivo, ma è innegabile che ha iniziato malino, anche se migliorerà nel giro di un paio di pezzi. La performance del granitico frontman è comunque intensa, vissuta e movimentata come ci si aspettava, amplificata da una buona prova del gruppo e da suoni accettabili. Per gli amanti di “Memoirs Of A Murderer” (come chi scrive), lo show è in crescendo e sul finale è davvero buona. Grazie all’assenza dei Korn, il minutaggio a disposizione è maggiore e la band si trova una manciata di minuti extra, utilizzati per la vecchia hit “Dragging Knives” dal famigerato “Midwest Monsters EP”. Non vediamo l’ora di vederli headliner in un club.
SLIPKNOT
Quando parte “XIX”, intro dell’ultimo apprezzato “.5: The Gray Chapter”, un Forum al limite della capienza esplode di tutta la carica che il pubblico ha in corpo. Un boato secondo solamente all’apertura del telone, che svela la scenografia più imponente che il gruppo abbia mai avuto: un luna park impressionante con moltissime luci, un testone demoniaco, due piani con altrettante rampe, l’intrigante artwork di “.5” e, scopriremo a breve, anche un discreto numero di pyros. Un Corey Taylor in grandissimo spolvero, su una piccola pedana dedicata, guida lo show sin dai primi minuti, con l’occhio di bue sempre puntato addosso. Un’impalcatura del genere, assolutamente spettacolare dal punto di vista visivo, rende molto più calcolata e coreografata la presenza scenica dei nove, già troppo statica e professionale nel passato recente per chi ha testimoniato il caos totale dei primi tour dei ‘Knot. Questi pensieri ovviamente restano nella testa dei ‘vecchi’ che si stanno guardando il concerto dagli spalti: il pit è oggettivamente molto movimentato, tanto che nel corso di “The Heretic Anthem” la situazione si fa pericolosa. Le transenne stanno per cedere, i fotografi vengono fatti evacuare e la sicurezza è costretta a tenere la barriera con la forza. Il concerto viene quindi interrotto, con il #8 che comincia a richiedere ‘one step back’ alla folla esagitata. La pausa che segue è decisamente troppo lunga, tra un pubblico non anglofono che forse non comprende la richiesta e chi non vuol perdere il posto nelle prime file, fino all’incredulità verso una situazione francamente inedita, con sullo sfondo la mancata percezione del reale problema. Solo quando dagli spalti si alza il coro ‘indietro, indietro!’, la folla indietreggia in maniera effettiva e si può continuare il concerto, con la bestemmia di rito che alleggerisce la tensione. Il repertorio extra-musicale di Taylor rischia quasi di diventare troppo ripetitivo, ma la presa sul pubblico dei vari siparietti conferma l’efficacia di qualsiasi mossa. Chi forse sta per scivolare nel ridicolo è Sid Wilson, che carica la sua macchietta in maniera eccessiva girando tra i compagni immobili e dimenandosi in maniera troppo enfatica. L’unica volta che il Clown scende dalle sue percussioni rotanti per ‘esibirsi’ sotto il caprone, purtroppo riesce a far di peggio, facendo aggrottare parecchie sopracciglia. Solo applausi per Root e “Mister Seven”, ma i nuovi entrati come se la cavano? Alessandro Venturella fa da tappezzeria, suonando al buio per l’intera scaletta nascosto dal cantante sulla pedana. Se dal punto di vista visivo il palco la fa da padrone, musicalmente la vera sorpresa è il ventiquattrenne (!!!) Jay Weinberg, che non solo padroneggia in scioltezza il repertorio di Jordison, ma che per molti riesce addirittura a fare di meglio per quanto riguarda l’esecuzione tecnica. Un giovane mostro a cui la band farebbe bene ad offrire un contratto a tempo indeterminato, con tanto di nome nei booklet e numero sulla tuta! Tirando le somme, nonostante i potenziali difetti elencati, il bilancio è del tutto positivo, soprattutto andando a ripercorrere una scaletta strepitosa, che riesce ad esaltare sia le parti più heavy della discografia del gruppo, sia le sfaccettature più coinvolgenti in sede live. Tra le nuove canzoni, dobbiamo sprecare due parole per l’impatto di “Custer”, una legnata costruita a tavolino per demolire gli spettatori che convince del tutto e termina la sequenza regolare dei brani. Il trittico in encore rappresenta invece il vero e proprio colpo di grazia, una terna che – azzardiamo – dovrebbe rimanere costante ed immutata per gli anni a venire. Dopo aver applaudito un ritorno discografico esaltante, non possiamo che decretare il successo di questi Slipknot 2.0, che nonostante le perdite significative si confermano il miglior gruppo di metal moderno della propria generazione.
Setlist:
XIX
Sarcastrophe
The Heretic Anthem
My Plague
The Devil in I
Psychosocial
The Negative One
Eeyore
Liberate
Purity
Before I Forget
Duality
Left Behind
Spit It Out
Custer
—–
742617000027
(sic)
People = Shit
Surfacing