17/11/2008 - Slipknot + Machine Head + Children Of Bodom @ Palasharp - Milano

Pubblicato il 27/11/2008 da
A cura di Maurizio MorrizZBorghi
 
 
 
 
 
In un periodo colmo di appuntamenti e di grandi annunci, che hanno azzerato le riserve monetarie di ogni metallaro del Nord Italia (e non solo!) il vincitori nel breve periodo sono di sicuro gli Slipknot, che collezionano un sold out anticipato di settimane al PalaSharp di Milano. Certo avere spalle come Machine Head e Children Of Bodom aiuta parecchio, ma il risultato è l’ennesima consacrazione dei mascherati dall’Iowa nel Belpaese, riusciti qualche mese prima a scalzare il tormento Giusy Ferreri dalla vetta delle classifiche di vendita. Mania? Fenomeno? Niente di tutto questo: i maggots, fedelissimi, sono cresciuti pian piano di numero ed attendono i loro idoli bramosamente…

CHILDREN OF BODOM

I Children Of Bodom non hanno bisogno di presentazioni, ma osservare una band al picco della notorietà affrontare un’audience poco partecipativa e a tratti assente fa specie: ci pensa un Lahio come sempre superlativo, coadiuvato dal solito Janne (con tanto di tastiera adornata di reggiseni), ad attirare l’attenzione del pubblico, in una scaletta furbescamente orientata sul nuovo materiale, con un’esecuzione impeccabile come ci si poteva aspettare. Anche i suoni paiono graziare i finlandesi, fatto non scontato quando si è opener, anche in un tour ad alto budget come questo. I pochi rappresentanti della Hate Crew tentano di farsi sentire, ma dato l’orario (la band è salita sul palco intorno alle 19.00) il pubblico sta ancora affluendo nel palazzetto. Come gli Amon Amarth qualche giorno prima: bella figura, ma da headliner è un’altra cosa.

MACHINE HEAD

Al turno dei Machine Head il palazzetto è oramai quasi colmo, e il trattamento riservato alla formazione è degno della performance dei thrasher di Oakland – sempre che sia possibile ricambiare adeguatamente un gruppo che riesce a dare così tanto, in termini di performance, coinvolgimento ed emozione. Non abbiamo paura di ripeterci nel lodare lo stato di grazia assoluto di Flynn e soci: la paura di un’esibizione sottotono (Robb ha dovuto annullare la data di Copenhagen a causa di una bronchite) svanisce sulle note dell’opener “Clenchin The Fists Of Dissent”, che dissipa con un groove micidiale ogni dubbio riguardo alla supremazia sonora e al picco di forma del quartetto. Sovrastati dal logo del gruppo, i Machine Head dimostrano come si possa annientare l’audience senza effetti speciali, ricorrendo al sudore della fronte, qualche luce e un volume impressionante. Certo, direte voi, è facile con il meglio del meglio della loro produzione: “Imperium”, “Ten Tone Hammer”, “Aestetics Of Hate” fino al finale con “Davidian” sono pescate nei punti più alti della parabola raffigurante la carriera del gruppo, che nella remota ipotesi che riuscisse a migliorarsi nuovamente sovrasterebbe l’esordio leggendario di “Burn My Eyes” (eguagliato da “The Blackening”). Particolarmente loquace, forse per prender fiato tra i lunghi pezzi proposti, Flynn non perde occasione per ringraziare il pubblico, e non manca di dedicare un pezzo al padre di Phil Demmel, deceduto proprio durante l’ultima apparizione italiana del tour (curiosamente, quel giorno il chitarrista svenne durante l’esibizione, che fu troncata dopo pochi pezzi). Lo stesso Demmel, che sfoggia una chioma mai così lunga, appare in una forma smagliante, e non manca di interagire con Flynn in più di un’occasione. Ci piacerebbe sentire qualche altro pezzo di “Burn My Eyes”, ma è tempo di lasciare il palco agli attesi protagonisti. A parere di chi scrive lo show migliore della serata.

Setlist:

Clenching the Fists of Dissent
Imperium
Ten Ton Hammer
Aesthetics Of Hate
Old
Halo
Davidian

SLIPKNOT

L’atmosfera è incandescente quando gli Slipknot devono salire sul palco. I nove hanno raggiunto una notorietà impensabile per la proposta musicale che propongono effettivamente, tanto da arrivare al numero uno delle classifiche italiane e registrare un sold out anticipato nel capiente PalaSharp, impresa possibile solo a pochi gruppi che hanno già segnato la storia del metal. Chi scrive ha seguito l’ascesa della band dall’inizio (presenziando a tutti i concerti sul suolo italico), e ai suoi occhi si è presentata una netta linea di demarcazione rispetto al passato oramai decennale della band: in seguito alla pubblicazione di “All Hope Is Gone” la band riflette sul palco la maturità sonora espressa su disco. Anche se dall’ultimo lavoro sono estratti solo due brani (i singoli “Psychosocial” e “Dead Memories”) appare da subito che gli Slipknot non sono più il branco di esagitati che ha debuttato al Gods Of Metal, ingestibili da security e da ogni tipo di tecnico del suono. Come un wrestler che passa dalla CZW alla WWE bisogna dosare energie per essere performanti nelle frequenti esibizioni sul palco, limitare la spettacolarità delle evoluzioni fisiche per evitare infortuni, frenare pulsioni animalesche per rendersi eleganti e intelligibili a tutti. Ecco quindi aver luogo la performance migliore mai vista a livello acustico, con un Corey Taylor protagonista assoluto, bramoso delle attenzioni del pubblico (“Mia Familia!” oppure “Saltate!”) e incitatore di una massa di fedelissimi, che pare non sentire l’oppressione della sua nuova maschera integrale. A livello scenico ci sono rampe, un impianto luci degno di nota, set di percussioni semovibili (quello del clown monta anche una telecamera con schermo), oltre al drum kit “volante” di Joey Jordison. Certo i “Kiss dell’estremo” possono vantare ancora un impatto fisico e visivo impressionante, ma quest’aria professionale, necessaria per abbracciare un pubblico così ampio, li rende meno minacciosi. Lo show, zeppo di tracce violentissime tratte dal debutto, si spezza verso la fine con l’inusuale “Only One”, riprende con “515” e termina con la distruttiva (sic), non prima del solito giochetto del “tutti giù per terra”. Sicuri delle capacità di un gruppo oramai enorme, e che stasera ha ingoiato le critiche dei detrattori in maniera vorace, aspettiamo solo di ascoltare le tracce di “All Hope Is Gone” dal vivo, come ci ha promesso la stessa band.

Setlist:
01. Surfacing
02. The Blister Exists
03. Get This
04. Before I Forget
05. Liberate
06. Disasterpiece
07. Dead Memories
08. Psychosocial
09. The Heretic Anthem
10. Prosthetics
11. Spit It Out
12. Duality
13. Only One
—-
14. 515
15. People=Shit
16. (sic)

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