CHILDREN OF BODOM
I Children Of Bodom non hanno bisogno di presentazioni, ma osservare una band al picco della notorietà affrontare un’audience poco partecipativa e a tratti assente fa specie: ci pensa un Lahio come sempre superlativo, coadiuvato dal solito Janne (con tanto di tastiera adornata di reggiseni), ad attirare l’attenzione del pubblico, in una scaletta furbescamente orientata sul nuovo materiale, con un’esecuzione impeccabile come ci si poteva aspettare. Anche i suoni paiono graziare i finlandesi, fatto non scontato quando si è opener, anche in un tour ad alto budget come questo. I pochi rappresentanti della Hate Crew tentano di farsi sentire, ma dato l’orario (la band è salita sul palco intorno alle 19.00) il pubblico sta ancora affluendo nel palazzetto. Come gli Amon Amarth qualche giorno prima: bella figura, ma da headliner è un’altra cosa.
MACHINE HEAD
Setlist:
Imperium
Ten Ton Hammer
Aesthetics Of Hate
Old
Halo
Davidian
SLIPKNOT
L’atmosfera è incandescente quando gli Slipknot devono salire sul palco. I nove hanno raggiunto una notorietà impensabile per la proposta musicale che propongono effettivamente, tanto da arrivare al numero uno delle classifiche italiane e registrare un sold out anticipato nel capiente PalaSharp, impresa possibile solo a pochi gruppi che hanno già segnato la storia del metal. Chi scrive ha seguito l’ascesa della band dall’inizio (presenziando a tutti i concerti sul suolo italico), e ai suoi occhi si è presentata una netta linea di demarcazione rispetto al passato oramai decennale della band: in seguito alla pubblicazione di “All Hope Is Gone” la band riflette sul palco la maturità sonora espressa su disco. Anche se dall’ultimo lavoro sono estratti solo due brani (i singoli “Psychosocial” e “Dead Memories”) appare da subito che gli Slipknot non sono più il branco di esagitati che ha debuttato al Gods Of Metal, ingestibili da security e da ogni tipo di tecnico del suono. Come un wrestler che passa dalla CZW alla WWE bisogna dosare energie per essere performanti nelle frequenti esibizioni sul palco, limitare la spettacolarità delle evoluzioni fisiche per evitare infortuni, frenare pulsioni animalesche per rendersi eleganti e intelligibili a tutti. Ecco quindi aver luogo la performance migliore mai vista a livello acustico, con un Corey Taylor protagonista assoluto, bramoso delle attenzioni del pubblico (“Mia Familia!” oppure “Saltate!”) e incitatore di una massa di fedelissimi, che pare non sentire l’oppressione della sua nuova maschera integrale. A livello scenico ci sono rampe, un impianto luci degno di nota, set di percussioni semovibili (quello del clown monta anche una telecamera con schermo), oltre al drum kit “volante” di Joey Jordison. Certo i “Kiss dell’estremo” possono vantare ancora un impatto fisico e visivo impressionante, ma quest’aria professionale, necessaria per abbracciare un pubblico così ampio, li rende meno minacciosi. Lo show, zeppo di tracce violentissime tratte dal debutto, si spezza verso la fine con l’inusuale “Only One”, riprende con “515” e termina con la distruttiva (sic), non prima del solito giochetto del “tutti giù per terra”. Sicuri delle capacità di un gruppo oramai enorme, e che stasera ha ingoiato le critiche dei detrattori in maniera vorace, aspettiamo solo di ascoltare le tracce di “All Hope Is Gone” dal vivo, come ci ha promesso la stessa band.
Setlist:
01. Surfacing
02. The Blister Exists
03. Get This
04. Before I Forget
05. Liberate
06. Disasterpiece
07. Dead Memories
08. Psychosocial
09. The Heretic Anthem
10. Prosthetics
11. Spit It Out
12. Duality
13. Only One
—-
14. 515
15. People=Shit
16. (sic)