Report a cura di Marco Gallarati
In mezzo alla selva (oscura e non) di importantissimi eventi metallici di questa fine giugno/inizio luglio tremebonda, bisogna per forza estrapolare dal discorso il concerto tenuto sabato 3 luglio ai Magazzini Generali di Milano dai seminali Snapcase, band che negli anni ’90 trovò spazio, tempo e modo per ridefinire in un certo verso l’hardcore (ed il suo allora acerbo copulare con il metal) e ritagliarsi un proprio, personalissimo riquadro fra la bacheca dei gruppi storici del genere. D’accordo, siamo forse di fronte solamente ad un relativo pezzo di Storia, ma la reunion della formazione di Buffalo avvenuta da poco – dopo cinque anni di scioglimento e interruzione di carriera – ha fatto sì che il locale meneghino fosse discretamente pieno, sebbene si trattasse di un torrido sabato estivo e lo show non fosse stato adeguatamente promosso dai media. Ad aprire la serata, e si può ben dire che sia stato un onore, sono stati chiamati i cuneesi If I Die Today…
IF I DIE TODAY
Una mezzora stiracchiata di spettacolo è bastata alla band nostrana per strappare dei convinti e meritati applausi ad un pubblico quasi esclusivamente presente per assistere alla performance degli Snapcase. Sotto contratto per Wynona Records e con all’attivo il full “If I Die Today” e l’EP “You Are Alone”, gli If I Die Today propongono una dinamica ed energica miscela di hardcore, punk e rock’n’roll, portata in scena con buona attitudine e simpatia, fors’anche meglio predisponente della versione in studio. Alternando brani da entrambe le pubblicazioni – citiamo “My Captain”, “New Love New Blow Job”, “My Little Princess”, “Scars”, “Talk Dirty To Me” – il quintetto piemontese ha bene intrattenuto la platea, giusto antipasto alla calata degli headliner…
SNAPCASE
“Breaking my inhibitions / Reaching my destinations”
Molti metal- e hardcorers dei giorni nostri – magari non quelli più scafati cresciuti a pane, SOIA e Agnostic Front – neanche conosceranno di nome gli Snapcase, hardcore-metal band di Buffalo nata nel 1991 e divenuta seminale per la scena grazie a lavori all’avanguardia e ricchi di spunti originali quali soprattutto i primi due, “Lookinglasself” del 1994 e “Progression Through Unlearning” del 1997. Brani contraddistinti dalla potenza e dall’intensità degli urli del piccolo Daryl Taberski e dal groove riconoscibilissimo del rifframa di Jon Salemi e Frank Vicario sono il trade-mark di un gruppo assolutamente da riscoprire, formazione che, nel bel mezzo dell’esplosione del metal-core, ebbe il coraggio di mutare il proprio sound in un hardcore progressivo ed emozionale nel riuscito a metà “End Transmission” (2003). Ed è proprio con “Coagulate”, pezzo trascinante tratto dall’album succitato, che si apre il concerto della reunion: nessuno dei presenti si mette a roteare braccia e scalciare in piena crisi epilettica; non partono circle-pit, né vengono invocati wall of death; si scatena solo un pogo rispettoso ma comunque furioso, che concederà repliche di se stesso nel corso della serata, aggiungendo diversi crowd-surfing e abbondanti e copiose spremiture di sudore dalle T-shirt inzuppate. Che bello, cavolo! Quando i gruppi ancora non avevano bisogno di comandare ai fans quali movimenti dovessero fare durante lo show: la band suona, il pubblico, se si sente coinvolto, poga anche non sollecitato. E lo ripetiamo: che bello! “Zombie Prescription” è il pezzo di sicuro più famoso degli Snapcase, ma non viene eseguito per ultimo; parte invece verso fine setlist e chi scrive, nonostante l’età e le stanche membra, non ricorda in tempi recenti una tale esaltazione interiore: al grido di ‘we are the signs of the changing times!’, i Magazzini Generali esplodono d’euforia e adrenalina! Vi state chiedendo come è stata la prestazione? Bah, da quello che si è potuto capire dal centro del pogo, i soliti problemi di acustica della venue erano presenti ma non in maniera drastica; gli Snapcase, in piena mise da bravi ragazzi quasi nerd, sono sembrati un pochetto arrugginiti ma per niente imbolsiti, ovviamente lontani dalle movenze metal-core d’oggigiorno, ma più che mai compatti e poderosi nell’impatto. “Incarnation”, “Caboose”, “Energy Dome”, “Target”, “She Suffocates” hanno riportato indietro di qualche anno gli astanti, usciti forse un po’ delusi dal rapporto prezzo/durata del concerto (20 euro per soli 55 minuti degli headliner), ma sicuramente testimoni di un piccolo evento storico.