Certi amori non finiscono, ma fanno giri immensi e poi ritornano. O qualcosa del genere.
Per chi scrive, i Sodom sono ben rappresentati da questo tipo di pensiero, nonostante la provenienza del motto sia ben lontana dal panorama metal e dai suoi ascoltatori. Dopo un lungo periodo in cui abbiamo seguito la band disco dopo disco (fino a “The Final Sign Of Evil”, grosso modo), dopo un po’ di stanchezza dovuta semplicemente al tempo che passa e dopo un paio di esibizioni live che non riteniamo di altissima qualità (l’ultima in occasione del Brutal Assault di alcuni mesi fa) è bastato un incrocio di situazioni (un mini-tour di quattro date dal marcato sapore rètro e di celebrazione per Chris Witchhunter) e di possibilità (un altro concerto in territorio tedesco) a farci organizzare una trasferta in quel di Regensburg, un’ora sopra Monaco di Baviera.
Il malcelato obiettivo era uno soltanto: vedere come Tom Angelripper e gli attuali soci fossero in grado di gestire l’eredità del passato e, non lo neghiamo, verificare anche che tipo di affetto riservasse loro il pubblico tedesco a fine 2023, dopo più di quaranta lunghi anni di carriera.
E si, ammettiamolo: chi scrive ha nel cuore la line-up a tre con Bobby e Bernemann e dopo gli abbandoni (soprattutto del chitarrista) ha sempre temuto una sorta di fase di stanca, nonostante un rientro illustre come quello di Frank Blackfire.
Appena arrivati ci rendiamo conto che il locale scelto è un capannone industriale, per la precisione vicino al piccolo aeroporto di Obertraubling. Ci fidiamo, più che dell’impatto visivo, della qualità media dei live club tedeschi (mentre un setting dello stesso tipo sul territorio italiano ci avrebbe fatto più che tremare, diciamocelo) e aspettiamo le tre band di apertura per un verifica sul campo.
Davanti ad un locale già piuttosto pieno, poco prima delle 18.30 tocca aprire le danze ai SOULBURN di Eric Daniels, storico chitarrista degli Asphyx. Uscito l’altro Asphyx Bob Bagchus (nel 2018), Eric si è circondato di tutta una serie di – torniamo a fare un paragone con un motto preso dalla musica italiana – buoni professionisti che fanno però “una vita da mediani”. In questo momento sono due membri dei deathster Graceless (che hanno più di un punto in comune con il sound degli Asphyx, tra l’altro) e Twan Van Geel, già nei Bunkur e nei Legion Of The Damned.
Con grande sollievo, i suoni sono splendidi fin dall’inizio e la miscela di death, doom e black metal dei Soulburn deflagra nella maniera migliore.
Abbiamo l’impressione che i molti appassionati siano rimasti all’idea che i Soulburn siano ancora una sorta di Asphyx con un nome diverso e questo può anche essere stato vero, ai tempi di “Feeding On Angels”, ma sono passati tantissimi anni da quel debutto e l’identità della band è quella di opere come “Earthless Pagan Spirit” e “Noa’s Dark”, dischi secondo noi passati un po’ in sordina perché non così difficilmente inquadrabili in un unico genere.
“Where Splendid Corpses Are Towering Towards The Sun” e “Tempter Ov The White Light” sono invece i due brani che rappresentano al meglio la dimensione dei Soulburn di oggi: un ibrido di black metal cadenzato ma ruvidissimo (con la voce di Twan Van Geel a farsi ricordare), momenti doom/death (dove il tocco di Daniels si sente lontano miglia) e qualche sfuriata death/thrash d’antan come “Crypts Of The Black”, unico ma dovuto omaggio al debutto “Feeding On Angels”.
La prestazione dei nostri, sostenuta da suoni perfetti, è semplice ma impeccabile ed è estremamente soddisfacente vedere Eric Daniels scapocciare divertito. Eroi minori, forse, ma per quel che ci riguarda sempre eroi.
Dopo di loro tocca agli IMHA TARIKAT e dal numero di maglie che abbiamo visto in giro sin dall’entrata nel locale ci rendiamo conto che probabilmente ci siamo finora persi una band in crescita. Ci vuole molto poco per averne conferma: qualche minuto del black metal feroce ma controllato e pulitissimo di “Sturm Der Erlösung” scalda l’atmosfera al punto giusto e apprezziamo subito l’approccio quasi punk dei nostri, evidentissimo nella voce rabbiosa di Ruhsuz Cellât, leader da sempre e unico membro ufficiale degli Imha Tarikat.
Al suo fianco, ad occuparsi del basso, riconosciamo anche Ricardo Baum, voce dei The Night Eternal, altra piccola realtà in grande spolvero nel 2023.
Le successive canzoni, estratte per la maggior parte dagli ultimi due lavori – entrambi usciti per l’attenta Prophecy – miscelano post-black, black vecchia scuola e black’n’roll che strizza evidentemente l’occhio al periodo mediano dei Darkthrone e all’intransigente menefreghismo musicale dei Nachtmystium.
L’intensità che porta sul palco Ruhsuz è elevatissima, il pubblico risponde altrettanto bene e il set dei tedeschi è sorprendente. Chiude una coinvolgente “The Day I Died” e ci rendiamo conto subito che è il caso di fare un giro al banco del merch per recuperare subito il loro materiale. Davvero sorprendenti.
Dopo due esibizioni così ben fatte, le aspettative per i tedeschi KNIFE forse erano troppo elevate ed infatti personalmente non li abbiamo apprezzati più di tanto. Siamo arrivati al concerto con una buona conoscenza del primo album – uscito per un’altra label underground attenta come la Dying Victims – e con un ascolto sommario dei singoli estratti dal recente “Heaven Into Dust” uscito sorprendentemente, almeno per noi, per Napalm Records. Si fa presto ad inquadrare il suono dei quattro: speed metal che vorremmo ricordasse i grandi classici come Venom, Bathory, Nifelheim ma finisce per essere piuttosto una variazione sul tema di Midnight, Bȕtcher, Urn, Enforcer ed Hellripper (ecco, forse è pensando a questo nome di successo che possiamo magari capire le intenzioni di una label come la Napalm, nel momento in cui hanno messo sotto contratto i nostri, ma rimane ovviamente una personalissima idea).
Quello che vediamo per cinquanta minuti è un onesto show di speed metal a volte un po’ sporcato di black metal a volte di punk vero e proprio: i ritmi sono sempre sostenutissimi, la voce di Vince Nihil sempre rauca, le backing vocals colpiscono per la loro semplicità nel sostenere ritornelli piuttosto efficaci (uno su tutti “Inside The Electric Church”, il pezzo più bello secondo noi), la sezione ritmica è di un lineare quasi esagerato, ma in definitiva il risultato non decolla mai del tutto, se pensiamo proprio alle folgoranti esibizioni live degli stessi Midnight o Hellripper.
Capiamoci: alla professionalità dei Knife non diamo alcuna colpa, ma un posizionamento così alto li ha invece penalizzati a nostro parere, mentre sarebbero stati perfetti e ‘divertenti’ in apertura.
Sono le 22.00 quando è il momento dei protagonisti della serata. I SODOM di Tom Angelripper mettono subito in chiaro come in questo tour “82-92” i punti di riferimento siano due: la band stessa ma soprattutto il compianto Chris Witchhunter, rappresentato sui teloni ai lati del palco e sulla doppia cassa del batterista Toni Merkel.
Si parte con le note di “An Eye For An Eye” da “Better Off Dead”, seguita da “Electrocution” da “Persecution Mania” e da “The Crippler” da “Tapping The Vein”. Il messaggio è chiaro e la risposta dei presenti – ormai il locale è strapieno, probabilmente sette o ottocento paganti, da quel che abbiamo potuto constatare – è gigantesca. Non è solo affetto, però, perché con dei volumi praticamente perfetti sin da subito, i Sodom sembrano ancora avere tanta benzina da consumare: chi ci colpisce di più è Frank Blackfire visto che la sua disinvoltura e la sua presenza sul palco non sono da meno di quella di Tom, e, per quanto riguarda al leader, sarà anche visibilmente invecchiato, ma mantiene un aplomb adeguato e credibile.
D’altronde, il buon Thomas Such rappresenta perfettamente ciò che i Sodom sono da sempre, musicalmente parlando: essenziali, piuttosto ripetitivi, efficaci. Potremmo anche fermarci qui, volendo, visto che è tutto quello a cui abbiamo assistito per quasi due ore e una ventina di pezzi.
Dischi come “Obsessed By Cruelty”, “Persecution Mania” e “Agent Orange” fanno giustamente la parte del leone (altro segno di onestà da parte della band di Gelsenkirchen, che mantiene alla lettera quanto promesso) ma spuntano anche delle chicche come “Deathlike Silence” – mai più eseguita dal 1985 – o “Devil’s Attack” dal primissimo demo, e praticamente tutti i classici che ci potevamo aspettare e volevamo sentire.
Lo ripetiamo ancora una volta: i Sodom sono veramente essenziali e, in questo contesto, l’abbiamo davvero apprezzato. Non ci sono assoli o esercizi di virtuosismo eccessivi; Tom parla poco e si limita a presentare la band e a ricordare un paio di volte Chris Witchhunter; non ci sono gag da palco o chissà quali espedienti ed effetti speciali.
Resta perciò solamente una sequenza indiavolata di pezzi thrash metal spaccaossa tra cui “Nuclear Winter”, “Sepulchral Voice”, “Christ Passion”, “Magic Dragon” (questa personalmente non pensavamo di aver ancora la possibilità di sentirla dal vivo), “Ausgebombt”, “Bombenhagel”, “Proselytism Real” e “Never Healing Wound”.
Se razionalmente molte cose si possono dire del percorso dei Sodom e del loro stato di salute attuale, a partire dalla monoliticità stilistica nel corso del tempo fino alla inevitabile flessione dovuta all’età beh, nessuna di queste è argomento valido per la serata a cui abbiamo assistito. C’è chi invecchia piuttosto bene, dai.