25/06/2014 - SOLOMACELLO FEST 2014 @ Magnolia - Segrate (MI)

Pubblicato il 02/07/2014 da

A cura di Davide Romagnoli
Fotografie di Federico Rucco

La Mecca degli assetati di rumore torna a scuotere le fondamenta della Milano periferica e il Magnolia diventa per la settima volta il raduno dei fedeli al verbo del Caos. Bordate pesanti e riff monolitici scuotono i presenti e la terra sotto i loro piedi. Poche parole. SoloMacello. E ce n’è abbastanza per tutti.

 

solomacello fest 2014

 

TUTTI I COLORI DEL BUIO
L’ouverture dell’evento spetta ai ragazzi hardcore, figli del film horror di Sergio Martino. Scudisciate roboanti condiscono il potente metal-core inflitto come antipasto ai presenti in orario tardo pomeridiano. Precisi. Buon groove e anima punk. In bilico tra Sartre e Allin, come recita il titolo di un loro pezzo. Da tenere in considerazione.

MEXICAN CHILI FUNERAL PARTY
Niente merch per i desert rocker nostrani. “Siamo dei fattoni”, ci comunicano i brianzoli. Un buon sano e vecchio metal sporcato di stoner condisce la proposta del primo gruppo nel main stage del SoloMacello. Già visti in molte occasioni nella Milano patria dei rumorosi, e sempre convincenti. I Mexican Chili Funeral Party, capitanati dal carismatico guerriero rastafaro Alessio Capatti, non si smentiscono nemmeno stavolta e il loro desert rock fa muovere il testone dei presenti, che continuano ad affluire pian piano.

STORM {O}
“Sparsi nel vuoto bruceremo e il cerchio sarà chiuso”. Rabbia e sbraitate. I Converge italiani ‘par excellence’. Complici dei suoni un po’ timidi, non riescono a sfondare le orecchie completamente come avrebbero potuto-dovuto-voluto fare. Il carisma del frontman Luca Rocco è straordinariamente avanti tutti e obbliga le prime file ad un plauso dovuto per ogni goccia di sudore versato. Post-hardcore all’italiana che sa di Stati Uniti. Pregevole. Incazzato. Pesantemente incazzato. Notevoli.

 

SPIRIT CARAVAN
“Prince Of Evil Yeah That’s Right / The Power Is More Than Might”. Wino è tornato coi Caravan. E il main stage regala la prima fetta di storia della musica desertica e impolverata. Una leggenda del Maryland qui solo di passaggio, per un pugno di canzoni che però lasciano a pancia piena gli assetati di doom alla vecchia maniera. “Powertime”, “Dead Love”, “Healing Tongue” regalano soddisfazioni che sanno di deserto. Batteria, basso e chitarra sono in sinergia mistica. America dura qui. Sicurezza assoluta.

 

ORNAMENTS
Il post-metal strumentale degli Ornaments è una delle piccole chicche della serata. Soluzioni non scontate, architetture incastrate a pennello tra le due chitarre, basso e batteria. Suoni ottimi. Brani potenti, altalenanti, visionari. Isis, Neurosis, Pelican echeggiano nella proposta dei padani. Post-core alternato a trame quasi progressive e momenti più vicini al post-rock dei Godspeed You! Black Emperor. Al banchetto del merch le copie del loro “Pneumologic” terminano in men che non si dica.

 

ZU
Flash sonori. Trip di rumore. Il trio romano di musica sperimentale già da antologia della musica del Belpaese. Purtroppo il set non dura come quanto i fedelissimi vorrebbero. Ma la forma strepitosa degli Zu regala un momento di grande musica. I polmoni abissali di Mai sporcano divinamente le trame stellari intessute dal Maestro Pupillo e il tutto rimane supportato dalla (nuova) macchina californiana Serbian. Una di quelle band da tatuare nei libri di musica made in Italy. Un sacco di roba. Totali.

 

DESTRAGE
L’ultimo album recita “Are you kidding me? No”. E non mente. Sicurezza nostrana dell’heavy metal moderno. I Destrage, ormai sdoganati dal mero ambito nazionale, regalano un discreto pugno di canzoni ai presenti più abituati a sonorità dirette e decise. Incalzanti riff si integrano a soli di chitarra al fulmicotone, tra trame prog e thrash di pregevole fattura. “I’ve got a fistful of nothing / And if you ask me what I did it for / I did it for love / I did it for beauty / I did it for pure fun”. Botta finale sul second stage prima del main act. Promossi.

 

UNIDA
Il Re Mida dello stoner riuscirebbe a trasformare in oro impolverato qualunque cosa ne venga a contatto. Una band rocciosa e possente di base ed il risultato è ottimo. Una delle uniche dieci date europee degli Unida fa scalo al Magnolia e conclude propriamente una serata dedita alle bordate. Garcia è di un’eleganza imprescindibile e in una forma strepitosa. Si gode gli applausi, gli abbracci e le foto a fine concerto. Facendo attenzione a come sono venute. Impassibile e maestoso come pochi. Il ritorno del coyote urbano riporta i brani più potenti degli Unida ancora tra i comuni mortali, bramosi di riff impolverati. “Black Woman” e “Wet Pussycat” riportano a sentori di cactus e peyote, che entrano direttamente nei polmoni e nelle orecchie. Palm Desert e Magnolia si fondono e non deludono.

 

3 commenti
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