28/07/2016 - SOLOMACELLO FEST 2016 – EPISODIO 2 @ Magnolia - Segrate (MI)

Pubblicato il 09/08/2016 da

Report a cura di Giovanni Mascherpa
Foto a cura di Federico Rucco

Già dal 2015 il SoloMacello Fest si è ‘spaccato’ in diversi episodi, da festival di una sola serata su più palchi com’era in origine. Il primo appuntamento andato in scena a giugno era dedicato a suoni sludge-noise, con diverse propaggini sperimentali a intorbidare le acque. Il secondo di fine luglio va invece dritto al punto sulle ali del death e del grind, assestando prima di tutto colpi durissimi al fisico e quindi anche alla mente, grazie a sonorità destabilizzanti e dal range stilistico piuttosto ampio. Quando gli headliner sono i Napalm Death nulla è banale, il resto non può che seguire un rigoroso filone di abluzioni nel cinismo, nella follia, nel panico più totale. La serata ha previsto allora un menù variegato, accolto con una partecipazione abbastanza massiccia, dovuta sia al peso specifico dei precursori del grindcore, sia dalla qualità media dei gruppi-spalla. A dire il vero, i Cattle Decapitation si guadagnano uno slot da co-headliner, il tempo disponibile è praticamente lo stesso di Shane Embury e soci, mentre gli Ape Unit suonano sotto un tendone, col suono in arrivo direttamente dagli amplificatori degli strumenti, senza l’ausilio dell’impianto audio di un palco che, in questo caso, i piemontesi proprio non hanno disponibile! Perdiamo purtroppo l’assalto fra il metal estremo e il free-jazz di Ottone Pesante e il bagno di sangue old-school degli Electrocution e arriviamo giusto in tempo per godere il breve set dell’ensemble cuneese.

 

Napalm Death - Solomacello Fest locandina - 2016

 

OTTONE PESANTE


 

ELECTROCUTION

 

APE UNIT

Mentre i maestri Napalm Death hanno spaziato in lungo e in largo fra i registri della violenza in musica per non rimanere ancorati in eterno a formule inventate oltre un quarto di secolo fa, gli Ape Unit ci ricordano cosa rappresenti il grindcore al suo stato primordiale. Una musica orgiastica, lo scatenamento di un pandemonio inaudito tramite proiettili di suono concentranti tutto il brutto, l’osceno, il raccapricciante si possa eviscerare dai propri strumenti, dando sfogo a malesseri e brutture tramite un’esplosione di energia priva di freni inibitori. Tutto è solertemente urgente nelle pillole di cianuro dispensateci dagli Ape Unit, che nonostante la necessità-volontà di suonare in un contesto spartano, con le persone tutt’attorno guardate a vista da una security bene attenta che gli accenni di mosh non provochino dolorosi impatti coi musicisti, non fanno sfociare il concerto in una caciara indistinta. La guida vivace e ignorante dell’ottimo Mariano, a suo agio sia in growl che in urla belluine sporche e strazianti, indirizza lo show verso i reami desiderati, ovvero quelli di un saggio di lordura intelligente e gragnole di colpi assestati in rapida successione. Facendo comunque ricorso a un bagaglio tecnico che evita ovvie ripetizioni e, pur concentrandosi sul puro impatto, si ritaglia piccoli spazi per cambi di ritmo e istanti groovy, capaci di dare un minimo di respiro alle orecchie e flessibilità al songwriting. Una ventina di minuti freschi e, a loro modo, rilassanti.

 

CATTLE DECAPITATION

Spiccato il volo con “Monolith Of Inhumanity” e preso il largo nei cieli plumbei dell’extreme metal con il successore “The Anthropocene Extinction”, i Cattle Decapitation si presentano al SoloMacello con sulle spalle una buona dose di attesa, se vogliamo ancora più giustificata se si è già vista all’opera la band in passato e si è consapevoli di quale delirante carneficina possa rendersi protagonista. Rinforzati da un secondo chitarrista, quando in passato il solo Josh Elmore si occupava di tutta la mole di lavoro richiesta da una musica così ricca di passaggi tecnici e assoli funambolici, i californiani vanno in difficoltà abbastanza presto, colti alla sprovvista da volumi deboli ed equilibri labili fra i diversi strumenti. La batteria soffoca le partiture più ariose e coraggiose, le chitarre si impastano in un muro di durezza e aculei temibile ma non sufficientemente nitido e, lacuna più grossa dell’esibizione, Travis Ryan non ha la voce dei giorni migliori. È evidente dai primi minuti che cerchi di arrangiarsi per cantare più o meno tutto dandogli i cambi d’umore uditi su disco, ma che di benzina in quest’occasione ce ne sia poca: sia in occasione delle schizofreniche clean vocals che delle urla più acide e vigorose, il singer si rifugia in un cantato stridulo ed effettato, solo di rado efficace. I mutamenti convulsi e le aperture melodiche degli ultimi due album, su cui si concentra la setlist, vanno in scena con intatta energia ma minore spinta, perdendo spesso la presa sull’ascoltatore a causa di una maggiore sporcizia esecutiva di quella attesa e di un delineamento dei suoni non ottimale. I Cattle Decapitation hanno il grosso merito di non tirarsi indietro in una serata di oggettiva difficoltà e di guadagnare qualche momento di gloria col proseguimento del concerto, inanellando alcuni ritornelli azzeccati e mantenendo comunque alta la concentrazione di un’audience abbastanza calda. Magari avevamo noi attese fin troppo elevate, alla luce di quanto avevamo già visto e ascoltato durante il tour di supporto a “Monolith Of Inhumanity”; purtroppo al SoloMacello il quintetto è stato sufficiente e poco più.

 

NAPALM DEATH

Radunando un pubblico trasversale come pochi altri all’interno dello scenario extreme metal contemporaneo, i Napalm Death hanno il raro pregio di vestire sia i panni della leggenda vivente, sia quelli del gruppo moderno e scattante, desideroso di ampliare i propri orizzonti invece che di sedersi sugli allori. Anche orfani di Mitch Harris, ai box per problemi famigliari chissà ancora per quanto, i quattro di Birmingham non ripiegano sulla routine e sputano il richiesto coacervo di rabbia, critica sociale, spirito di rivolta con un’energia degna di strumentisti ben più giovani. Li abbiamo visti all’opera poco più di un mese prima in quel di Clisson, all’Hellfest, ma il concerto meneghino prende una piega lievemente differente. Nonostante la setlist sia pressoché identica, idem dicasi per i discorsi di un loquace e caustico Barney Greenway, lo show del Magnolia perde quell’aura di precisione annichilente apprezzata in terra francese, per scendere nei bassifondi di un’interpretazione anarchica e oltranzista, figlia più dei vagiti hardcore degli esordi che di quelli meglio strutturati degli anni recenti. Certo, non mancano i momenti quasi doom e sludge provenienti da alcuni esperimenti degli ultimi anni, o sequenze più tecniche e imprevedibili, ma anche a causa di suoni saturi, una distorsione al limite del basso di Embury e un’esecuzione caotica, bisogna prendere e portare a casa l’idea di macelleria nichilista del combo, piuttosto che la indiscussa creatività. Al grosso dei presenti, che qualche particolare si perda nel marasma non frega proprio nulla e giustamente ci si lascia trascinare dal mood oltranzista e invasato, facendo in modo che davanti al palco ne succedano di tutti i colori. Il numero dei ‘combattenti’ è limitato, ma chi si presta al mosh non si tira indietro e ci dà dentro senza risparmiare energie, assecondando le mosse scoordinate e dondolanti del singer e il fluttuare della chioma del ricciuto e massiccio Embury. Non un concerto perfetto, non uno di quelli imperdibili e memorabili, quello dei Napalm Death, ma un’ottima testimonianza di ciò che la band sa ancora oggi donare con tutta se stessa alla scena musicale odierna. E in ogni caso, era dura vedere qualcuno scontento quando tutto è terminato.

 

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