E’ un terzetto di band molto interessante quello si presenta in questo freddo martedì di inizio dicembre: i Sólstafir, islandesi, propongono da trent’anni la loro miscela di black metal, post-metal e rock che gli appassionati conoscono benissimo; i finlandesi Oranssi Pazuzu hanno una storia più breve ma ormai consolidata e, nel loro caso, possiamo parlare di black metal intriso di psichedelia; gli Helga, divisi tra Svezia e Regno Unito, hanno pubblicato lo scorso anno l’album d’esordio, un disco post-metal con influenze folk che ha raccolto parecchi pareri positivi.
Uno spettacolo dal sapore nordico, non a caso rinominato “Nordic Descent Tour 2024”, ma con tre gruppi musicalmente ed attitudinalmente molto distanti tra loro.
Per presunti “motivi logistici”, la serata è stata spostata dall’Alcatraz di Milano allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, locale di dimensioni più ridotte che in questi anni ha fatto da cornice a molti concerti metal di un certo spessore e, considerate le premesse, la partecipazione del pubblico è stata comunque buona.
Vediamo come è andata.
Gli HELGA prendono il nome dalla loro leader, Helga Gabriel, e sono attesi alla prova dal vivo dopo che il loro disco d’esordio, “Wrapped In Mist”, ha ottenuto responsi decisamente positivi.
La cantante, che indossa un lungo vestito verde ed appare come una sorta di sacerdotessa, occupa il centro della scena e con carisma da sciamana presta la sua voce cristallina a brani post-metal con spunti folk e doom e qualche incursione in territori più estremi. Atmosfere instabili e non semplici da descrivere, in bilico tra momenti malinconici ed altri più impetuosi, con l’alternanza tra l’uso dell’inglese e svedese: la formula è buona oltre che personale ed una coreografia oscura e curata nei dettagli, ispirata alla natura, contribuisce a rendere l’effetto suggestivo: dopo un iniziale scetticismo, gli applausi sono meritati.
Con gli ORANSSI PAZUZU si cambia totalmente tonalità: i finlandesi da anni innestano, su una base black metal, melodie che navigano nell’elettronica, nel krautrock e talvolta nel progressive; questa loro componente pesantemente psichedelica è ancora più evidente quando sono su un palco, liberi di esprimersi senza nessun vincolo.
Il loro è un suono stravagante e complesso ma ormai riconoscibile, un flusso costante in cui le chitarre, suonate da Ikon e dall’impassibile cantante Jun-His, sono sommerse dall’incredibile lavoro di EviL, che si divide tra tastiera, organo, percussioni ed effetti vari, mentre la sezione ritmica composta dal bassista Ontto e dal batterista Korjak scandisce il tempo con uno stile piuttosto invadente; la voce dello stesso Jun-His, infine, è un latrato impersonale, proveniente da un altro mondo, che si perde nel bombardamento generale.
In questa follia, si nota però una rigorosità che permette all’insieme di risultare coeso, tanto che l’ascolto non risulta neanche particolarmente ostico: i finnici scandagliano buona parte della loro discografia, con un occhio di riguardo per l’ultimo arrivato “Muuntautuja”, tra loop, distorsioni e luci accecanti. Si passa dalla robustezza di “Valotus” alle bizzarrie elettroniche della title-track dell’ultimo album, fino ai ritmi techno di “Uusi Teknokratia”, in un’ora di concerto che lascia attoniti i presenti.
L’impressione è che molti siano qua proprio per loro, e ciò non dovrebbe stupire, in quanto il quintetto di Tampere ha alle spalle sei album di una qualità elevatissima e anche stasera ha dimostrato di saper tenere il palco come pochi altri.
Una delle qualità migliori dei SÓLSTAFIR è quella di essere imprevedibili, e ciò vale anche in sede live, dove riescono sempre a sorprendere con show fuori dal comune, come quelli del tour con il quartetto d’archi di qualche anno fa, o semplicemente con scalette mai scontate.
Questa sera gli islandesi, che stanno promuovendo l’ultimo album “Hin Helga Kvöl”, decidono di puntare sull’effetto nostalgia, abbinando alcuni brani estratti da quest’ultimo a molti classici del passato anche più remoto: la band di Reykjavík agli esordi era dedita ad un black metal già molto sofisticato, eppure sicuramente più arrembante del post-metal che propone oggigiorno ma, in questa occasione, dimostra di non aver perso lo spirito battagliero dei primi tempi, dispensando tanto energia quanto emozioni.
La partenza con la strumentale “78 Days In The Desert” sembra quasi un espediente per riscaldarsi e magari testare i suoni e, con la sua vigoria, rappresenta il primo salto temporale, prima che una intensa “Silfur-Refur” ci riporti in territori più melodici.
Si comprende fin da subito come l’anima del gruppo sia il cantante/chitarrista Aðalbjörn Tryggvason il quale, con le sue movenze dinoccolate, guida i pezzi con una voce che dal vivo non perde un grammo di intensità, oltre ad intrattenere i presenti con scherzi e battute, fino ad arrampicarsi sulle transenne sorretto dal pubblico delle prime file; attorno a lui l’altro chitarrista Sæþór Maríus Sæþórsson ed il bassista Svavar Austmann, nel loro tipico abbigliamento da cowboy venuti dal freddo, appaiono abbastanza statici, anche se è evidente come, al pari del batterista Hallgrímur Jón Hallgrímsson, siano ottimi ed affiatati musicisti, ingranaggi di una macchina rodata alla perfezione.
L’alternanza tra brani nuovi e vecchi prosegue, e una “Blakkrakki”, tratta dall’uscita più recente, tutto sommato non sfigura al cospetto di canzoni storiche come la coinvolgente “Svartir Andar” o “Ljós í Stormi”, mentre l’episodio più toccante è sicuramente la ballata “Fjara”, durante la quale cala un religioso silenzio.
Ci si avvia verso il finale con un trittico che scuote ulteriormente i presenti, se ancora ce ne fosse bisogno: la lunghissima “Ritual Of Fire”, addirittura da “Masterpiece Of Bitterness”, in un’interpretazione che esalta le doti vocali e da leader di Tryggvason, una più misurata “Ótta” e, infine, la consueta chiusura con “Goddess Of The Ages”, il manifesto della band.
Come sempre, quello dei Sólstafir è stato un concerto impeccabile sotto ogni punto di vista: passano gli anni ma è incredibile il modo in cui riescano sempre a rinnovarsi non perdendo il loro spirito originale, ed anche questa volta non hanno tradito.
Un cenno, infine, lo merita la resa sonora, oggi molto buona per tutta la durata dello spettacolo.
Setlist Sólstafir:
78 Days In The Desert
Silfur-Refur
Blakkrakki
Svartir Andar
Ljós í Stormi
Hún andar
Fjara
Hin Helga Kvöl
Ritual Of Fire
Ótta
Goddess Of The Ages