A cura di Matteo Cereda
Foto di Francesco Castaldo
Il nuovo “Stones Grow Her Name” è solo il pretesto per assistere alla nuova calata italica dei Sonata Arctica, un gruppo che nel corso degli anni ha saputo conquistarsi una buona schiera di fan, non solo grazie al brillante songwriting ed all’interessante percorso evolutivo, ma anche in virtù dell’ottima resa dal vivo. L’Alcatraz milanese gremito, ma ridotto a metà per l’occasione, è lo specchio del difficile momento economico italiano, nonché dei numerosi concerti novembrini; tuttavia, il grande calore dei presenti è riuscito a spazzare via qualsiasi rammarico.
Puntuali, i Sonata Arctica fanno il loro ingresso in scena, attaccando con l’immancabile opener dell’ultimo “Stones Grow Her Name”, a titolo “Only The Broken Hearts”. La cover del succitato settimo capitolo in studio campeggia sullo sfondo e i suoni appaiono sin dalle prime battute perfettamente calibrati. La band compatta che avevamo ammirato nella precedente tournée a supporto di “The Days Of Grays” appare in gran forma, ulteriormente coesa, guidata da un Tony Kakko perfettamente a suo agio sulle tonalità meno estreme delle ultime composizioni, ma altresì piacevole nell’esecuzione di un classico come “Black Sheep”. Le influenze rockeggianti dell’ultimo disco rendono a meraviglia in sede live, come dimostrano il mid tempo atmosferico “Alone In Heaven”, l’incalzante “Losing My Insanity” e persino il mediocre singolo “I Have A Right”. Lo spettacolo prosegue in maniera estremamente gradevole con sporadiche pause in cui il leader Kakko si sofferma a presentare con frasi ad effetto le varie canzoni. Tra i momenti più belli ed intensi della serata citiamo una versione eccellente del classico “Broken” e la sorprendente “The Gun”, tratta da uno dei primissimi demo della band. La serata sembra fermarsi allorquando i Sonata Arctica ipnotizzano la platea con un intrigante set acustico, durante il quale vengono eseguiti l’applauditissimo lento “Tallulah”, una rivisitazione di “The Dead Skin” (unico episodio della serata tratto da “The Days Of Grays”) e la convincente cover “Wanted Dead Or Alive” (Bon Jovi) in una versione southern, in cui anche il tastierista Henrik Klingenberg, già attivissimo ai cori in precedenza, si prende il suo attimo di gloria, affiancando il singer finnico con la sua timbrica pastosa. Dopo un brevissimo ma simpatico intermezzo folk firmato Tony Kakko alle prese con la cover “Increasing Chances” (Chitlins, Whiskey & Skirt), si riparte con una invero sottotono “Paid In Full”, un passaggio a vuoto dal quale i Sonata dimostrano di rialzarsi immediatamente grazie al mood tipicamente rock della recentissima “Shitload Of Money” e all’acclamato binomio retrò “Replica”/“Foolmoon”. Prima del congedo c’è spazio per la divertente “Cinderblox” e l’immancabile “Don’t Say A Word”, capaci di chiudere coi fuochi d’artificio uno spettacolo che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, i Sonata Arctica ai vertici assoluti del metal melodico contemporaneo.