Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Dario Cattaneo e Marco Gallarati
Fotografie di Francesco Castaldo
Davvero difficile, già di per sè, scrivere in merito al Sonisphere Italia 2015; figuriamoci quando ci tocca farlo a pochissimi giorni di distanza dal nostro Metalitalia.com Festival, con Testament, Exodus, Onslaught e compagnia restante. Pur non essendo lontanamente paragonabili per una miriade di fattori, le due manifestazioni vissute in modo così ravvicinato ci hanno permesso di tastare con mano le due facce dell’audience italica, quella legata più all’underground e alla passione verace e quella invece più estemporanea, auto-convocatasi per l’appuntamento una tantum più importante della stagione estiva outdoor 2015, il ritorno dei Four Horsemen nello Stivale. I Metallica, ormai lo sanno anche i fan di Vasco Rossi e Ligabue, sono una delle vere e ultime hard-rock-metal band rimaste a fare da spartiacque tra almeno due-tre generazioni di rocker, al pari di AC/DC, Iron Maiden, Kiss, Black Sabbath e qualcun altro. Chiaro come la formazione trainata da ‘Jimbo’ Hetfield e Lars Ulrich, il drummer più idolatrato/criticato del pianeta, sia pienamente in grado di far smuovere le terga a decine di migliaia di italiani amanti delle sonorità dure – definire ‘metallara’ l’audience accorsa il 2 giugno ad Assago è davvero un po’ troppo fuorviante; e altresì chiaro é come l’aver affiancato loro un nome ‘big’ quale quello dei redivivi Faith No More abbia infine convinto sul da farsi i pochi rimasti incerti, se disertare una giornata così attesa oppure esserci a tutti i costi. Meshuggah e Gojira, band di metallo estremo che ben rappresentano rispettivamente i Nineties e gli anni Duemila del genere, sono stati poi chiamati per convincere a presenziare anche gli amanti di musica più ricercata, particolare e non propriamente immediata, perlomeno per la media del Metallica-fan ‘dal Black Album in avanti’. In ultimo, a completamento di un bill di sette elementi, una carina ma pressochè inutile manciata di gruppi ad aprire la giornata, arrivati a dividersi delle mezzore sul palco e ad intrattenere il pubblico arrostente nelle torride ore del primo pomeriggio. Già, perchè dopo aver divagato sulle compagini musicali presenti, a cui vi rimandiamo più avanti nell’articolo, veniamo al punto critico della manifestazione, altrimenti detto La Location. Purtroppo, noi che vorremmo essere brevi e concisi, perchè comunque già in passato abbiamo condannato e criticato aspramente le condizioni di vita in cui si è costretti a sopravvivere a determinati eventi, ci ritroviamo invece costretti a ripuntare il dito su alcuni punti e concetti che, proprio in questi giorni post-evento, stanno generando polemiche sui social network e in rete. La Summer Arena Assago, sede dedicata a tutto il Postepay Milano Festival, si è trovata solo qualche settimana fa a dover far fronte all’arrivo sul suo bel suolo asfaltato dello sciame di fan del Sonisphere e dei Metallica, sciame composto da svariate migliaia di unità: e quindi, ahinoi, è evidente come si tratti già in partenza di una soluzione di ripiego. Non che la famigerata Arena di Rho fosse il Paradiso, ma alcuni miglioramenti negli ultimi anni l’avevano ormai resa vivibile, con tanta ombra, tanti tavoli dove poter bivaccare e un numero adeguato di docce refrigeratrici e bagni chimici. Invece, nel 2015, ecco l’Expo di Milano, situato nei pressi di Rho, a rovinare i piani dell’organizzazione. E allora via libera al trasferimento nella fornace della Summer Arena, ai piedi del Mediolanum Forum, tra container ammassati uno sopra l’altro e trasformati in chioschi di bevande e panini, lungo una lunga e stretta corsia di cemento chiaramente non adatta ad ospitare un festival con un tale afflusso di gente e con tali coordinate logistiche. L’assenza totale di ombra; la minima quantità di posti a sedere (esclusi quelli per terra); la carenza di parcheggi e di personale atto alla loro gestione; l’impossibilità a tarda sera di entrare ed uscire liberamente dalla zona Gold Ticket, apparentemente più piccola rispetto a quella prevista per Rho e perciò affollata all’inverosimile; la presenza di una sola postazione di refrigerio, per lo più ubicata lontanissimo dal palco, vicino al quale più si è soliti soffrire e lottare per ‘tenere la posizione’ sotto la canicola infernale; le code pachidermiche e non ordinate per rifornirsi di cibo e bevande; tutte situazioni al limite ed estreme, e non andiamo oltre, che hanno portato a vivere con tanto disagio e poca serenità la manifestazione. Insomma, non si può fare a meno di giudicare la Summer Arena di Assago una location completamente inadeguata, che ha retto l’urto solo grazie alla civiltà e all’educazione dei tantissimi ragazzi accorsi, tutto sommato divertitisi parecchio grazie a concerti generalmente validi e ad un ormai preoccupante spirito di adattamento e sacrificio – tutto italiota – anche nelle condizioni più critiche; oltretutto accompagnate da esborsi economici davvero notevoli. Bene, avendo esposto piuttosto oggettivamente la realtà dei fatti, è ora di tornare ad occuparci di musica, segnalandovi in primis i mancati report, causa arrivo ritardato, degli inglesi Hawk Eyes e dei canadesi Three Days Grace, e in secundis invitandovi a dirci la vostra opinione sugli show qui sotto riassunti. Buona lettura, dunque!
WE ARE HARLOT
Entriamo nella già ben affollata Summer Arena quando i We Are Harlot sono in piena performance, apprezzando da lontano il loro tiro vigoroso e utile a movimentare le lunghe ore d’attesa verso gli headliner. I tre-quattro pezzi che facciamo in tempo ad ascolticchiare mentre ci aggiriamo in esplorazione della venue non ci dispiacciono, seppur incentrati su quell’hard-rock sui generis che non sa nè di carne nè di pesce e che, al di là del sintetico concetto del ‘senza infamia e senza lode’, non riesce ad andare. Il pubblico reagisce come può, ancora non provato dalle ore al Sole ma probabilmente già in febbrile attesa del calar delle tenebre. La cover dell’immortale “Tie Your Mother Down” dei Queen è il brano più apprezzato suonato dai We Are Harlot, che chiudono una prima parte di festival supponiamo gradevole e, per usare un termine ciclistico, trascorsa in surplace.
(Marco Gallarati)
GOJIRA
Con i francesi Gojira si entra nel vivo della manifestazione, per una seconda tranche dedicata al metallo estremo. Chiaramente non stiamo parlando di Cannibal Corpse, Cripple Bastards o Dark Funeral, ma per la media dell’avventore al Sonisphere l’accoppiata Gojira-Meshuggah è da mal d’orecchi. La band dei fratelli Duplantier sale on stage con dieci minuti d’anticipo sull’orario previsto, accompagnata dall’intro di “Ocean Planet”, riverberi d’onda e versi di delfini e balene. Non osiamo immaginare in quanti abbiano sognato, in quel momento, di essere svenuti all’improvviso ed essersi trovati sulle rive di una spiaggia bianchissima e con a pochi passi chilometri quadrati di vegetazione e ombra. Invece – oh no! – l’astro giallo sopra noi è implacabile e prende alla sprovvista anche i musicisti, in men che non si dica sfiatati e sudati come non mai. Jean-Michel Labadie al basso è sempre il più tarantolato dei tre musicisti in movimento dei Gojira, mentre Joe cerca di farsi sentire il più possibile in un marasma sonoro non perfettamente identificabile e con volumi un po’ bassini. La setlist, come era lecito aspettarsi in occasioni come queste, con la possibilità di farsi conoscere da un gran numero di persone, ha compreso tutti gli album del combo di Bayonne, compreso un medley tra “Love” e “Remembrance”, tratte rispettivamente dai primissimi “Terra Incognita” e “The Link”. Hanno colpito un po’ l’assenza di una ‘hit’ quale “Ouroboros” e la proposizione della sola “Vacuity” estrapolata da “The Way Of All Flesh”, ma bisogna anche dire come i Nostri abbiano suonato non quanto previsto – minimo dieci minuti in meno – e abbiano salutato lo stage alle 17.25 circa. Prestazione positiva, comunque, per i cugini d’Oltralpe, che hanno dato il 100% sul palco e regalato ai presenti uno show energico e vitale.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Ocean Planet
The Axe
The Heaviest Matter Of The Universe
Love/Remembrance
Backbone
L’Enfant Sauvage
Vacuity
MESHUGGAH
Per i Meshuggah l’esito della loro esibizione al Sonisphere era fin troppo scontato. I mecha svedesi sono assolutamente fuori posto in un contesto diurno e accaldato come quello del 2 giugno. Se vi ricordate quando suonarono al Gods Of Metal 2008, a Bologna, in una giornata ancora più assurdamente ustionante di questa di cui vi narriamo le sorti ora, ecco, la situazione è stata del tutto simile. L’assenza – o meglio, la difficile visualizzazione – del poderoso impianto luci solitamente usufruito da Haake e compagni non ha reso giustizia al suono roboante e straniante del cyber-thrash metal dei ragazzi, oggi anche condizionato da problemi tecnici vari, volumi che si disperdevano nel vento e da uno Jens Kidman rauco e poco incisivo, entrato in palla completamente solo nel finale, quando si sono susseguite tre fra le canzoni più devastanti dei Meshuggah: “Future Breed Machine”, “Demiurge” e “Bleed”, in rapido crescendo distruttivo. La formazione di Umea ha comunque tenuto molto bene il largo stage del Sonisphere, percorso lentamente a passi d’automa dal vocalist rasato, che con difficoltà ha cercato di coinvolgere un’audience un po’ stranita dalla proposta granitica degli scandinavi, di certo i più penalizzati dalle condizioni generali in cui la propria performance è avvenuta. Averli visti questo inverno appena passato, al chiuso del Live di Trezzo, ha però attutito di molto la mezza delusione provata ad Assago. Mezza delusione peraltro prevedibile.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Rational Gaze
ObZen
Do Not Look Down
Future Breed Machine
Demiurge
Bleed
FAITH NO MORE
Volenti o nolenti, bisogna ammettere che i Faith No More hanno fatto modo di far parlare di loro a lungo dopo lo show. E parlare così accanitamente dei Faith No More, soprattutto dopo le innumerevoli lamentele verso l’organizzazione dell’evento e la scaletta quanto meno ‘fantasiosa’ dei Metallica (proseguire verso il report successivo), è forse il risultato più spinto che la band abbia raggiunto in questo infuocato martedì di festa. Che qualcosa di atipico fosse nell’aria, lo si capiva già dall’allestimento: bianco! Tanto bianco. Qualcuno su Facebook scriverà “matrimonio o concerto rock? Faith No More!”. E siamo concordi con lui: già solo l’aspetto del palco, con quel telo bianco dietro e gli innumerevoli fiori sparsi dappertutto, bastava a fissare nella mente del presente la stranezza della situazione. I Faith No More? Quelli che suonavano con il palco bianco con i fiori. Ottimo, già un punto per loro. Uno a zero. La palla viene messa in mezzo e il concerto inizia, e ancora non come ci immaginavamo. La tanto discussa “Motherfucker”, il pezzo di “Sol Invictus” da molti definito più traballante, esce tranquillo e sinuoso dalle casse del Sonisphere. Patton si muove sul palco come a casa sua, un po’ canta, un po’ parla, un po’ rappa, e la gente lo guarda stupita. Due a zero. Il suono è (finalmente) buono, la batteria del rasta Bordin non copre gli altri suoni, la chitarra di Hudson è nitida e pulita, non impastata con il basso di Gould, e Patton…be’, Patton c’è. C’è forse fin troppo, secondo alcuni…infatti, subito dopo la successiva “Be Aggressive”, estratto del grande “Angel Dust”, il folle singer comincia a rivolgersi in italiano all’audience, attaccando con un attesissimo ‘cazzarola!’. Ci ricordiamo infatti che la sua ex moglie era bolognese e non ci stupisce quindi la fluidità del suo italiano, anche se, c’è da dire, il suo eloquio rimarrà prevalentemente incentrato sulle parolacce e le prese in giro. Il concerto continua e “Caffeine”, “Evidence” ed “Epic” continuano a rappresentare i tre album preferiti dai fan, il già citato “Angel Dust”, “King For A Day…” e “The Real Thing”. La gente ascolta i cavalli di battaglia, sembra felice, sorride e accetta con una risata anche i continui insulti (bonari?) che provengono da Patton e dal suo buffo italiano. Rap, funk, metal, rock si alternano anche nei brani successivi, sempre intervallati da brevi siparietti in cui Mike parla di un po’ di tutto, dalla festa nazionale del due giugno (‘E’ festa e siete a un concerto rock?’) a fantomatici ‘pirli’ in prima fila che lo fanno ‘incazzare’. Il tutto è farsesco, ce ne rendiamo conto…gli insulti non saranno poi graditi da tutti e puntuale si scatenerà il flame sui social, ma la musica dei cinque folli cinquantenni sul palco è un collante più forte. Il punk di “Digging The Grave”, i ritmi incostanti di “Midlife Crisis” e l’energia di “The Gentle Art Of Making Enemies” vincono su tutti i vari epiteti quali ‘merdallari’, ‘pirli’ et similia, dipingendo uno show veramente atipico, che ha un po’ dello show da palazzetto, un po’ del festival rock e un po’ anche dell’atmosfera da piano bar. Incredibile. Lo spettacolo dei Nostri finisce in sordina, un po’ come è iniziato, ma il frastuono è ancora grande nel nostro cervello. Ricordi dell’istrionismo di Patton, della presenza scenica dei suoi sodali, si intrecciano con una proposta musicale quanto mai varia e rendono la cifra di uno show che, come abbiamo detto, difficilmente ci toglieremo dalla testa. Con buona pace dei casini organizzativi e dei tradimenti ‘Metallica style’.
(Dario Cattaneo)
Setlist:
Motherfucker
Be Aggressive
Caffeine
Evidence
Epic
Sunny Side Up
Digging The Grave
Midlife Crisis
Spirit
The Gentle Art Of Making Enemies
Easy
Separation Anxiety
Last Cup Of Sorrow
Ashes To Ashes
Superhero
Encore:
Sol Invictus
We Care A Lot
METALLICA
E’ sceso il buio e siamo qui un po’ pensierosi a sorbirci cinque minuti di scene far west da Sergio Leone. Musica non ce n’è, se non la solita di Morricone, e la tensione cresce, mentre tutti allunghiamo lo sguardo per vedere i Four Horsemen salire sul palco. Niente da fare, perché il video attrae lo sguardo di tutti e, allorchè termina, Hetfield è già sul palco, chitarra in mano, che ci guarda, circondato da fan scenograficamente posizionati in modo da far sembrare la band in mezzo alla gente. “Scusate…ho un annuncio da fare”, esordisce, “gimme fuel, gimme fire, gimme that which I desire!”. Così parte il concerto dei Metallica, con una botta frontale inaspettata ma che ci strappa invero un sincero sorriso. “For Whom The Bell Tolls” e “Metal Militia” servono da riscaldamento, per dare modo ai quattro di Frisco di muoversi su terreni ormai calcati mille volte, e successivamente Hetfield annuncia che per questa serata ascolteremo molte canzoni che non propongono da un po’. La gente intorno a noi è calda, è ancora vogliosa di metal e incita i Nostri anche quando ripartono con “King Nothing”, un estratto dal non amatissimo “Load”. “Disposable Heroes”, invece, rappresenta l’album più amato dal pubblico, ma anch’essa è relativamente poco suonata, e a posteriori non convince tutti. A posteriori, perché in molti si lamenteranno il giorno dopo di questa scaletta strampalata, ma sul momento, per quanto abbiamo potuto vedere nella nostra zona di osservazione, le teste che scapocciavano al ritmo frenetico di questa comunque grande thrash metal song erano la stragrande maggioranza. Continuando con la filosofia dei brani meno suonati, Ulrich, Hetfield e compagni mettono sul piatto la graffiosa “Cyanide” e un brano assolutamente controverso come “The Unforgiven II”, giocando sempre più con le aspettative e i gusti del pubblico, ma profondendosi in una prestazione da veramente grande rockshow. “Lords Of Summer”, questa suonata invece in tutte le date recenti, ci annoia forse un po’, ma poi si riparte con un’inattesa “Sad But True”, che a quanto pare prende il posto della più nota “Enter Sandman” nel rappresentarci il cosidetto ‘Black Album’. Il palco si oscura e “The Frayed Ends Of Sanity” viene riproposta in tape, per poi venire doppiata dalla band una volta che i fischi stavano diventando troppo alti. A questo punto, con più di metà spettacolo alle spalle, passato forse più a divertirsi (beati loro che la musica la considerano ancora un divertimento) che a fare sul serio, i ‘Tallica decidono di caricare un po’ lo show, per farcelo finire, per così dire, in salita. “One”, “Master Of Puppets” e “Fight Fire With Fire” ripercorrono in meno di venti minuti i loro tre album migliori, scuotendo finalmente le trentamila persone che non aspettavano altro. La performance continua l’impennata e due pezzi amatissimi come “Fade To Black” e “Seek And Destroy” fanno la loro esimia figura, non suonati benissimo, ma sicuramente ben recepiti dalla folla. I bis saranno all’insegna del ‘più classico non si può’ e tre brani-colonna – “Creeping Death”, “Nothing Else Matters” ed “Enter Sandman” – saranno infine riproposti; sempre con alcuni errori e un atteggiamento fin troppo rilassato, ma sicuri di poter far breccia solo grazie al loro nome. Una volta finito lo show, ripensando alla scaletta e paragonandola con la prestazione e la ricezione da parte del pubblico, ci rendiamo bene conto di come in effetti ora ai Metallica non basta che riproporre in qualsiasi modo i propri cavalli di battaglia, per poter avere strada spianata: la sola forza di brani che da decine di anni sono come passi della Bibbia per qualsiasi metallaro basta ancora a esercitare questa azione livellante sulle difficoltà di un concerto. Un concerto che, ricordiamo, dura più di due ore e che quindi i Metallica riempiono nelle parti libere con quanto più gli aggrada, gigioneggiando e gongolando dietro baffi e occhiali da sole. Alla fine, la cosa potrà anche infastidirci (oggettivamente, hanno suonato molto meglio “The Unforgiven II” che “Creeping Death” o “One”, piene di errori e fin troppo abbozzate in alcune parti), ma non ce la sentiamo di andargli del tutto contro. Loro sanno cosa piace al pubblico, lo fanno aspettare un po’, ma alla fine glielo danno con quei brani che tutti vogliono e applaudono. Il resto…be’, il resto è lo spettacolo dei Metallica, fatto di canzoni della loro carriera in cui, bene o male, credono ancora. E, dobbiamo dirlo, questo spettacolo ci è piaciuto.
(Dario Cattaneo)
Setlist:
The Ecstasy Of Gold (intro)
Fuel
For Whom The Bell Tolls
Metal Militia
King Nothing
Disposable Heroes
The Unforgiven II
Cyanide
Lords Of Summer
Sad But True
The Frayed Ends Of Sanity
One
Master Of Puppets
Fight Fire With Fire
Fade To Black
Seek & Destroy
Encore:
Creeping Death
Nothing Else Matters
Enter Sandman
HAWK EYES
THREE DAYS GRACE
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