21/05/2006 - SOUNDS OF THE UNDERGROUND TOUR @ Rolling Stone - Milano

Pubblicato il 07/06/2006 da
A cura di Maurizio “MoRRiZz” Borghi,
foto di Barbara Francone – Roadrunner Records (www.roadrunnerrecords.it)

Appuntamento pure per lo stivale al Sounds Of The Underground Tour, che l’estate scorsa si è proposto come unica alternativa plausibile allo strapotere dell’Ozzfest per quanto riguarda i festival itineranti statunitensi. Bella sfida, quella di portare l’underground (mica troppo, in molti casi) metal e hardcore alle masse sfidando lo strapotere di Ozzy, un esperimento che ha avuto anche un discreto successo e che vede ora una sua rappresentanza, in misura parecchio ridotta, “inviata” per la devastazione del Vecchio Continente. Chiamaira e Madball fanno da co-headliner sopra un gruppo di giovani promesse che mischiano metallo e hardcore in maniera sapiente: dai newcomer Manntis ai nuovi fenomeni Terror di carne al fuoco ce n’è parecchia, per mezza giornata infuocata che ha dato poco respiro al pubblico accaldato del Rolling Stone.

MANNTIS

A dare il via alla manifestazione è ironicamente un gruppo venuto alla ribalta (e al contratto con la Century Media) nel reality show di MTV “Battle For Ozzfest” un paio di annetti orsono, dove le band si sfidavano sotto gli occhi del pubblico votante per ottenere uno slot nel festival metal americano per eccellenza. Indimenticabile un personaggio come il chitarrista Adair Cobley, di origini esotiche sicuramente: scuro, con capello crespo e barbetta caprina catalizza l’interesse del pubblico più del frontman (anonimo) e si prodiga in headbanging selvaggi, per poi deliziare qualche passante alla chiusura del locale con un freestyle di purissimo rap dal ghetto. Peccato che il resto del gruppo così come la prova generale sia stata assolutamente meno colorita: i Manntis servono un metalcore scialbetto e da manuale, di cui pochi davvero sentiranno la mancanza tra qualche tempo.

ALL THAT REMAINS

Gli All That Remains, la band dell’ex-cantante degli Shadows Fall Philip Labonte, non stupiscono su album (prodotto da Adam D dei Killswitch Engage, venendo dal Massachussets pareva ovvio!), quindi per quale motivo dovrebbero stupire dal vivo? Perché sono incensati come centinaia di act metalcore inutili, perché qualcuno ha pagato per farli esibire all’Ozzfest, perché fanno la musica del momento? Nessuno tra il pubblico ancora davvero esiguo rimane davvero convinto dalla breve prova della formazione, che può risultare piacevole come incolore, dipende dall’umore soggettivo, ma non sarà mai di sicuro da ricordare. Buona la prova del singer che passa da urlato hardcore al cantato melodico assecondando i passaggi à la Iron delle asce. Onesti lavoratori.

TERROR

Attesi da molti i Terror sono uno dei gruppi più rappresentativi della nuova leva hardcore, come confermerà Freddy dei Madball nella chiaccherata pomeridiana con chi scrive. Un poderoso calcio nel didietro in poche parole, una formazione che dall’attacco all’ultimo secondo di presenza sul palco non risparmia un briciolo di energia né una goccia di sudore. New entry nella formazione della West Coast, il chitarrista Martin Stewart dai Donnybrook (visti sempre coi Terror qualche mese prima). Partono le prime avvisaglie di mosh e i primi calci volanti dei giovani hardcorer incalliti sulle note di “Push It Away”,”Better Off Without You” o “Spit My Rage”, e in anteprima viene concessa pure una nuova canzone dal prossimo lavoro chiamata “Lost”, assolutamente in linea con il suono caratteristico e puro del gruppo. Intensi e furiosi chiudono con la poderosa “Overcome” e compiacciono praticamente l’intero locale con la prima performance realmente degna di nota nella giornata.

UNEARTH

Dopo lo scossone dei Terror tocca agli Unearth mantenere alto il livello qualitativo, compito arduo vista la violenza dei californiani e viste le alte aspettative per una delle band più chiaccherate del movimento metalcore. Sorprendentemente il gruppo che ha centrato il bersaglio con “The Oncoming Storm” (sempre Massachussets e sempre Adam D. alla consolle) stupisce pure sulle assi del palco con una set breve ma intenso e coinvolgente. Il gruppo sa tenere il palco in maniera egregia e non tarda ad avere le approvazioni del pubblico, regalando stacchi assai pesanti (grazie alle sette corde utilizzate dai chitarristi) che hanno divertito i fan dell’hardcore più intransigenti e momenti più impetuosi sempre in bilico tra death e hardcore, con poche incursioni nelle melodie dello swedish death alla Iron. Trevor Phipps si atteggia a novello Phil Anselmo con le sue pose e il suo headbangin’ violento, rendendosi protagonista di una mezz’ora davvero energica.

headbangin' is a way of life

so' putente!
me ne scappa una

CHIMAIRA

A sorpresa i Chimaira non occupano il primo posto come sui cartelloni. Poco male vista la scarsa condizione fisica del cadaverico frontman Mark Hunter, che nel pomeriggio aveva quasi destato dubbi sulla presenza della band nella manifestazione. Mark difatti non parlava nemmeno il pomeriggio, ma anche se febbricitante è riuscito a rimanere su livelli discreti per tutta la scaletta, pagando forse lo scotto del malanno fisico con un coinvolgimento ridotto e una esibizione più fredda del solito. Una perfetta macchina da guerra invece il corpo della band, affiatatissimo e compatto come al solito non sbava di una virgola nel thrash digitalizzato e meccanico del sestetto. L’impianto luci coadiuva adeguatamente l’attacco frontale nella opener “Nothing Remains”, sicuramente il pezzo più riuscito dell’ultimo lavoro del gruppo. “Cleansation”, “Severed”, “Comatose”, “Lazarus” e “Salvation” non possono mancare nella scaletta ridotta della serata (la brevità sarà, come specificato, la prerogativa dell’intero festival visto il gran ritardo con cui i gruppi si sono presentati alla location). Il redivivo batterista Andols Herrick si dimostra in formissima e completamente a suo agio facendo addirittura un assolo prima della devastante e indispensabile “Power Trip”. Sono pochi i gruppi che sono tanto dediti e concentrati a dare il massimo come i Chimaira dal vivo, e si nota indubbiamente. Di certo non si possono appellare ancora “underground”, ma restano una certezza dal vivo.
ho la febbre!
evviva l'italia! dai che ho quasi finito

MADBALL

I Newyorkesi strameritano il primo posto in scaletta, oltre al rispetto che moltissime band dimostrano e che è loro dovuto da molti. I Madball sono una leggenda vivente dell’hardcore e uno dei gruppi più sottovalutati degli ultimi anni a mio avviso, e lo dimostrano in quarantacinque devastanti minuti. Sebbene il Rolling Stone sia decisamente troppo grande e ci siano troppi buchi nel parterre i Madball riescono ad evocare l’inferno sotto il palco con lo scatenato Freddy che, bandana in testa, fa vedere come dev’essere un frontman con la F maiuscola, dialogando con il pubblico, invitandolo a scoprire le radici e i gruppi storici o semplicemente rendendo omaggio ai membri della band (come col coro calcistico in onore del pesantissimo Hoya!), ed eseguendo con tutto il furore e la passione immaginabile il repertorio del gruppo. Metà dei presenti, giovani o meno, assiste per la prima volta allo show delle leggende hardcore e all’unanimità si cade sotto i colpi di “Hold It Down”, “Set It Off”, “Down By Law”, “Demonstrating My Style”, “N.Y.C.”… Grande risposta ai caratteristici cori che spazzano via ogni dubbio sulla partecipazione dell’audience milanese che si dimena e fa felice i giganti newyorkesi. Se Freddy mi ha parlato di rispetto durante l’intervista pomeridiana è inevitabile e interessante fare notare come qualche grandissimo figlio di una cagna nel pubblico abbia deciso di rubare il portafogli al sottoscritto che si era portato nelle prime file per godersi il concerto, anche se il buon senso porta a non fare di tutta l’erba un fascio (chi ha detto Purified In Blood?): ottimo esempio di rispetto ed educazione. Anche se indispettito dall’accaduto chi scrive non è in ogni caso riuscito a rimanere indifferente alla conclusiva esecuzione di “Pride”, con Scott Vogel ad aumentare l’impatto di un classico che ha causato l’ultima scossa tellurica di un evento (molto) più breve del previsto, ma rivelatosi piacevole e intenso. Da non perdere!
olee oleole oleee, hoya, hooyaa!
mr. Freddy "Ti spacco il culo" Cricien
in your face, hardcore!

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