21/06/2012 - SOUTHERN LORD TOUR 2012 @ Mezzanine - San Francisco (Stati Uniti)

Pubblicato il 27/06/2012 da

Fa tappa a San Francisco il Southern Lord Tour 2012, sorta di “mini Power Of The Riff” con cui la ormai famosissima etichetta di Los Angels, cerca di fare uno showcase delle sue band e di fotografare lo stato di salute del suo roster, sempre più rivampato e ambiguo. Tra vecchio e nuovo, dunque, questo stop del tour ci ha riconfermato qualche eminenza grigia del roster Southern Lord e ce ne ha introdotte di nuove, confermando ancora una volta il fatto che l’etichetta sta con un piede ancora ben piantato in un passato glorioso e con un altro piede invece tasti un futuro ancora non del tutto chiaro, ma indubbiamente diverso per i suoi soliti standard e, se vogliamo, anche un pochino rischioso e diluito nell’incertezza di sonorità più “facili” e abbordabili, per quella che era a tutti gli effetti la etichetta-tempio del doom metal e del black metal americani, e che oggi invece sembra maggiormente sedotta dalla freschezza e rilassatezza di sonorità più semplici e dirette, quali appunto quelle di derivazione punk…

ENABLER
La band hardcore di Milwaukee è forse il limite mainstream più estremo verso cui la Southern Lord si sia mai spinta. La band metalcore del Wisconsin è infatti fautrice di un set praticamente da Warped Tour, assolutamente pregno di tutto quel corollario di clichè punk che se la fanno con il metal che hanno fatto la fortuna (e la sfortuna) di tante band metalcore e hardcore new school ben più conosciute. Il sound dei nostri, più da roster Victory che Southern Lord, spazia allegramente tra la irruenza anfetaminica dell’hardcore old school newyorkese, tra la raffinatezza simil-prog di band come gli Snapcase e la ferocia incontrollata del brutalcore della east coast con Converge, primi Cave In e Deadguy a fare da bussole imprescindibili. Insomma, i nostri inanellano un anthem hardcore squassante dietro l’altro ma fanno un uso talmente allargato di talmente tanti stilemi e clichè dell’hardcore metallico new school da risultare del tutto anonimi ed omologati ad un modo di intendere l’hardcore che è ormai stravisto e strasentito e forse anche completamente superato. Tanta ferocia, violenza e rabbia che sono però serviti solo a fare un gran buco nell’acqua.

BURNING LOVE
Altrettanto effimeri nell’originalità e nella capacità di sviluppare un discorso sul punk estremo che sia nuovo ed avvincente, anche i canadesi Burning Love esaltano poco e stupiscono ancor meno. Neanche il nome di Chris Colohan, leggendaria voce degli atroci Cursed, presente nei Burning Love sempre dietro al microfono, riesce a sollevare le sorti di una band che si è buttata anch’essa a capofitto in un mare di clichè hardcore banalissimi e stra-sentiti, che riesce a catalizzare davvero poche attenzioni fra il pubblico. Già durante il set degli Enabler il pubblico, già visibilmente annoiato, o scocciato dall'”anti-southernlordeità” della band, aveva optato per la pausa sigaretta, e anche nel caso dei Burning Love i presenti stentano a mantenere salda la loro presenza sotto al palco e preferiscono invece affollare la sala fumatori del Mezzanine o lo stand del merchandising. I canadesi comunque, anche se davvero completamente inadatti ad aprire la strada per degli headliner come i Noothgrush, si fanno comunqune valere sul palco, e la loro proposta fatta di hardcore new-school alla Terror e rock ‘n roll anfetaminico non lontano da quello dei Turbonegro o degli Hellacopters, alla fine, per quello che è, esce potente e privo di grosse incertezze. Ma, come si diceva, qua la valutazione la stiamo facendo più sul piano formale che sostanziale, e sia i Burning Love che i precedenti Enbaler, appunto, sono apparsi nella serata un pochino fuori luogo e poco adatti al cataclisma crust-sludge in arrivo di lì a poco.

MARTYRDÖD
Ora invece si fa sul serio. Con i cruster svedesi Martyrdöd si torna alle sonorità squassanti e atroci che sono il simbolo di un underground brutale e insaziabile che la Southern Lord ha sempre rappresentato. Gli svedesi sono visibilmente alterati, probabilmente ubriachi da fare schifo. A torso nudo e con lo sguardo di chi vuole vedere scorrere sangue, questi quattro mentecatti del nord sono stati autori di una performance ferocissima, costantemente sospinta da una ignoranza e uno sprezzo totale per una qualsivoglia forma, che era costantemente palpabile e percepibile. La band ha prediletto soprattutto la riproposizone di brani più recenti tratti dall’ultimo “Paranoia” e dal precedente “In Extremis”. La cosa più scoinvolgente del combo svedese, come si diceva poc’anzi, è lo sprezzo totale con cui suonano le proprie canzoni e l’ignoranza quasi “cafona” con cui calcano il palco, quasi fossero degli hooligans o dei teppisti, urlando, sputando ovunque, trangugiando bottiglia dopo bottiglia di birra e suonando i propri strumenti con la delicatezza di una ciurma di pirati. Un’attitudine simile non ha fatto che gonfiare a dismisura la incisività e la potenza del loro personalissimo e atroce sound fatto di crust scandinavo di chiara discendenza Totalitar e Anti Cimex, e death and roll dannatissimo e selvaggio, di inconfondibile matrice entombediana. Insomma, con i Martyrdöd, la Southern Lord ha senza dubbio fatto centro.

BLACK BREATH
Che dire dei washingtoniani Black Breath? Ormai sono una presenza constante sui palchi della West Coast e si stanno costruendo una reputazione di ferro e un seguito invidiabile. Quasi quindicimila “like” sulla loro pagina Facebook, d’altronde, per una band così rozza e brutale non sono certo noccioline. Alla base di questo appeal sta senz’altro la presenza sul palco dei Nostri, che sanno benissimo quali fili tirare per far uscire letteralmente di testa il pubblico. I loro album, almeno per il sottoscritto, non rappresentano alcuna rivoluzione degna di nota e sono anzi forse anche un po’ monodirezionali e banali, sia nel sound che nel songwriting, ma dal vivo questi cinque bruti sguinzagliano una ferocia invidiabile. La loro formula sembra essere una regressione in chiave punk degli Entombed di “Wolverine Blues” o delle sonorità tipiche della prima carriera dei Gorefest. Death metal ultra annichilito e piegato alla sfrontatezza dell’hardcore. Nulla da dire, band che sa esattamente come si fa istigare la violenza e il pogo più sfrenato tra i presenti; e alla fine al di là di tutto, questo è ciò che conta. Orginalità sotto le scarpe su disco, ma ottima prova live.

NOOTHGRUSH
Sulla band di casa spendiamo giusto due parole, anche perchè abbiamo parlato delle gesta live di questi storici sludger già abbondantemente in occasione del Power Of The Riff dell’anno scorso. La band di Oakland, ormai allargata a quartetto, grazie all’aggiunta dell’ex Dystopia, Asunder e attuale membro dei Ghoul Anthony “Dino” Sommese alla voce, è stata ancora una volta protagonista di uno show inappuntabile sotto il punto di vista prettamente perfomante, ed estremamente avvincente sotto quello emotivo e comunicativo. Ormai i Nostri hanno aggiornato l’inventario sonoro al ventunesimo secolo e il loro sound, soprattutto quello del chitarrista Russ Kent, dal vivo è semplicemente perfetto. I suoni escono con una nitidezza squassante. Ogni scricchiolio degli ampli arriva dritta in faccia come una bufera di schiaffoni, il groove che questi quattro riescono a tirar su, anche se rallentato a non finire, è di quelli davvero invidiabili, e l’impianto sonoro dei Nostri comunica violenza e distruzione a trecentosessantagradi. I Noothgrush sono una delle sludge metal band americane più raffinate e devastanti mai esistite ed insieme ai Dystopia e agli Sleep, sono senz’altro il tridente d’attacco dello sludge metal californiano. Dei veri anthem di pazzia e malsanità totale come “Useless”, “Starvation”, “Stagnance” e la solita bitumosa e opprimente “Oil Removed”, d’altronde non potevano portare ad altro. Sempre grandissimi.

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