A cura di Lorenzo Santamaria
Gli Steel Panther sono una di quelle band che hanno bisogno davvero di poche presentazioni: il quartetto losangelino ha riportato in auge quel glam tanto in voga negli anni ’80, pieno di paillette, lustrini, capelli cotonati e sesso occasionale, dando al tutto però una dimensione impertinente, assolutamente volgare e ironica. Dopo due album in studio, il micidiale “Feel The Steel” ed il discreto “Balls Out”, i Nostri si preparano a lanciare sul mercato la loro ultima fatica “All You Can Eat”, previsto curiosamente per il primo di aprile, (data questa che, conoscendo lo spirito goliardico dei Nostri, porterà con ogni probabilità ad un qualche tiro mancino). Ad ogni modo, i ragazzi scelgono di invadere l’Amager Bio di Copenhagen questa sera in un giorno un po’ speciale. Oggi cade, infatti, San Valentino, e questo giorno ci sembra quanto mai adatto. Quale miglior modo di affrontare il giorno più seccante dell’anno per tutti i single del mondo che buttarci in una mischia selvaggia aizzati dai dei capelloni al grido di “Party like Tomorrow is the end of the world..”? In supporto dei pluritatuati di L.A. ecco arrivare i Blackwater, newcomer della scena melodic rock nordeuropea (di base però a Londra). Proveremo adesso a raccontarvi quello a cui abbiamo assistito…
BLACKWATER
Siamo stati un po’ sorpresi dalla scelta degli Steel Panther di accompagnarsi a questi ragazzotti scandinavi, sia per la divergenza di proposta musicale, sia per la mancanza di notorietà dei ragazzi in questione (noi stessi abbiamo avuto non più di un grattacapo nel trovare info sulla band in vista della show), però ci siamo ricreduti. I Blackwater iniziano subito a scaldare l’atmosfera in questa fredda sera scandinava di febbraio con “By Day & By Night”, singolo realizzato senza fini di lucro per sostenere la ricerca europea sul cancro. La band si dimostra energica e ben motivata nel farsi sentire e nel fare del proprio meglio per intrattenere il pubblico già numeroso, non facendo rimpiangere troppo l’attesa per gli headliner, dobbiamo ammettere. I ragazzi proseguono con “High Coast Heroes”, pezzo hard rock dal piglio deciso che strappa più di qualche ondeggiamento cervicale ai presenti in sala. Nonostante la proposta del trio manchi decisamente di originalità, i Nostri provvedono grazie alla spavalderia tipica delle nuove leve, e confezionano uno show davvero gradevole e roccioso. Adesso che ci sentiamo nel mood giusto, le luci si spengono, i ragazzi salutano ed il sipario cala in attesa del main act di questa sera: gli Steel Panther.
STEEL PANTHER
Dopo una buona mezz’ora di attesa, una venue adesso finalmente gremita invoca a gran voce l’entrata in scena dei californiani. Il pubblico presente questa sera risulta essere tutto fuorché sobrio, ricalcando pedissequamente lo spirito “Steel Panther”: troviamo infatti fanciulle seminude con capelli cotonati e giacche di pelle, giovani a torso nudo con parrucche 80’s e anche alcune drag queen che gironzolano per la sala, tralasciando il fatto che tra il pubblico vediamo volare bambole e peni giganti gonfiabili. Finalmente il momento è giunto, e i Nostri fanno il loro ingresso on stage sulle note di “Eyes of The Panther”, scatenando un putiferio. La band si dimostra subito in forma, guidata dal saltellante frontman platinato Michael Starr che ha davvero un grande talento nell’aizzare le folle. Dopo questo primo pezzo, la band continua con un’altra parte dello show, ovvero gli intramezzi parlati col pubblico nei quali i ragazzi provano ad intrattenerci con humor da osteria e battute quasi sempre a sfondo sessuale che, dobbiamo ammettere, non hanno il successo sperato. La band infatti ha la costante, fastidiosa tendenza di intervallare pezzi adrenalici e festaioli con questi momenti pseudo-cabarettistici che riescono nell’impresa di spezzare la tensione, ma non in quella di strapparci più di un sorriso, andando a tagliare le gambe ad una performance di per se davvero valevole. Pensiamo infatti sia stato questo il cruccio principale della band californiana, la predilezione dell’aspetto umoristico rispetto alla dimensione musicale, il che è davvero un peccato perché i ragazzi ci hanno dimostrato di saperci veramente fare coi rispettivi strumenti, oltre ad avere, come da migliore tradizione glam, una presenza scenica da vere rockstar anni ‘80. La setlist di questa sera è una summa di quanto di buono fatto dalla band nei primi due album, integrato da qualche nuovo pezzo preso dall’imminente “All You Can Eat”, (abbiamo infatti pezzi quali“Party Like Tomorrow Is the End of the World”, “Gloryhole” e “The Burden Of Being Wonderful”, dal piglio live incredibilmente ficcante). La band tira avanti lo show per quasi due ore, lasciando il pubblico sudato, ansimante ma comunque davvero divertito (noi stessi siamo stati colpiti da un pene gonfiabile volante nel corso del pit di “Death To All But Metal”!). Abbiamo da menzionare un highlight della serata, quando un gruppo di ragazze dal pubblico sono state chiamate dal frontman Michael Starr a salire sul palco e sono state invitate a mostrare le tette in cambio di un’ovazione. Insomma, sarebbe stato un grandissimo show se non fosse stato inficiato da un’eccessiva preponderanza dei sopra citati intramezzi comici, ma noi della redazione ci siamo comunque divertiti e abbiamo passato una bella serata. Siamo stati trasportati per qualche ora indietro di trent’anni sul Sunset Boulevard losangelino, e di certo non ci è dispiaciuto.