Report a cura di William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
Tornano a Milano dopo un anno e mezzo gli strampalati rocker statunitensi Steel Panther, per riportare l’ignoranza e la volgarità imperanti nella città della Madonnina. Sappiamo tutti ormai cosa aspettarci da un loro concerto: battute sessiste, omofobe, razziste, contro i disabili, certo, ma tutto a servizio del divertimento dei presenti, e la speranza di vedere molte ragazze spogliarsi; ma soprattutto gli Steel Panther suonano da paura, e questo è l’importante. A supporto, ecco gli inglesi Inglorious, forti di un debutto omonimo davvero positivo. Entriamo nel locale e di fronte al palco laterale dell’Alcatraz c’è già una grande folla, composta in parti uguali da vecchi rocker con maglie sbiadite di Motley Crue e Guns N’Roses e bandana di ordinanza e giovani virgulti ansiosi di divertirsi. Ma è già ora del gruppo di supporto!
INGLORIOUS
Ad aprire la serata ci sono gli inglesi Inglorious, guidati dalla potente voce del cantante Nathan James. Il rock blues del combo albionico è caldo e potente e fa vibrare i presenti con sonorità decisamente diverse da quelle che saranno offerte più tardi dagli headliner; molto apprezzati ed applauditi, anche se numerosi sono gli spettatori che trascorrono il set in sala fumatori o in coda per le birre snobbando quasi l’esibizione. Tra le canzoni originali proposte, tratte dal loro unico, omonimo album, molto gradite dalla venue anche le cover eseguite, “I Surrender” dei Rainbow e “Fool For Your Loving” ovviamente dei Whitesnake, cantate davvero con trasporto da molti fan. Set interessante, premiato da suoni ottimi, da vedere preferibilmente davanti al loro pubblico.
Il tempo passa e più si avvicina l’ora degli Steel Panther più sale l’eccitazione tra i fan del gruppo. Giù le luci e le note di “I Want It Loud” dei Kiss introducono Michael Starr e compagnia che irrompono davanti ai presenti eseguendo “Eyes Of The Panther”, che fa scoppiare la venue in un gran boato; primo brano e prima fan che, sulle spalle di qualcuno, si slaccia la camicetta e mostra sorridente il seno al palco. Seguono “Just Like Tiger Woods” e “Party Like Tomorrow Is The End Of The World”, allungata a dismisura prima che inizi il cabaret. Perchè questo, in fin dei conti, è un concerto degli Steel Panther, qualche canzone tra un siparietto ed un altro, tra una gag e l’altra. Michael Starr grida alla folla che gli Steel Panther sono qui a Milano stanotte per fare rock e scopare, prima che la palla passi al più ciarliero Satchel, che esordisce con un sonoro ‘viva la figa!’ e, per più di dieci minuti, allinea una volgarità clamorosa all’altra con la grazia di un dinosauro in cristalleria. Il pubblico si diverte e ride a crepapelle anche per battute già sentite identiche nelle precedenti calate italiane dei californiani, ammaliato dal carisma notevole del chitarrista, il tutto mentre il bassista Lexxi Foxxx passa il tempo truccandosi e pettinandosi. Si riprende con le atmosfere delicate dei bordelli orientali di “Asian Hooker”, doppiata dalla goliardica ed esplicita “Let Me Cum In”, prima che Satchel, rimasto solo sul palco, si lanci in un pregevole solo, anche se un tantino troppo lungo a dire la verità, durante il quale il chitarrista richiama i riff più amati di band storiche come Metallica, Deep Purple, Judas Priest ed altri mostri sacri, e si presta anche a suonarsi da solo la batteria (solo la cassa a dirla tutta). Dopo “She’s On The Rag”, eseguita unplugged con il flauto suonato da Stix tramite uno smartphone (viene rivelato che il batterista ha imparato a suonare il flauto, anche se di carne, nel suo soggiorno in prigione), si riprende con la comicità ed i siparietti: una ragazza giovanissima, tale Michelle, viene invitata sul palco ed a lei è dedicata una stramba cover dell’omonima canzone dei Beatles, prima che ognuno dei membri della band si lanci in improvvisate serenate assolutamente oltre la volgarità e i doppi sensi, che fanno divertire e provocano forti risate. Ma può bastare una sola ragazza, per di più a seno coperto, sul palco degli Steel Panther? No, ovvio, ed una ventina di donne in abiti succinti dalle prime file vengono invitate a salire sulle assi del palco, per un siparietto che avrebbe fatto sembrare premi Nobel le ragazze di Non E’ La Rai, per roboanti versioni di “17 Girls In A Row” e “Gloryhole”. “Community Property” e “Death To All But Metal”, cantata a squarciagola dai fan, portano alla pausa. L’encore presenta due brani, la deliziosa “Fat Girl” e la divertentissima “Party All Day (Fuck All Night)”, che chiudono un concerto strano, come da consuetudine per gli Steel Panther, quasi più basato su angle scollacciati e sporcaccioni che sulla musica vera e propria. Ma fondamentalmente è proprio per questo che il pubblico viene ai concerti di questa band. Peccato solamente per l’esiguo numero di ragazze disposte a spogliarsi ed a mostrare il seno, solo due in tutta la serata, davvero una miseria rispetto ai concerti in altri paesi.