Dopo aver dato alle stampe due dischi di successo quali il debutto “Feel The Steel” e “Balls Out” ,giunge per gli Steel Panther la classica prova del nove, allorchè la band californiana si presenta per la prima volta in Italia per proporre dal vivo l’esplosivo hard rock che la caratterizza. Musica e look retrò dunque, per una serata all’insegna del glam rock più selvaggio in cui non mancano curiosità ed una certa attesa per vedere se siamo al cospetto di una nuova eccitante realtà o dell’ennesimo fenomeno da baraccone partorito dall’industria musicale.
THE TREATMENT
L’apertura alle 20 in punto spetta ai britannici The Treatment, band già rodata a dispetto della giovane età dei musicisti, con alle spalle il recente tour a supporto ad Alice Cooper. Il quartetto anglosassone nei quaranta minuti a disposizione non lesina energie e riscalda a dovere la platea con un hard rock costellato da molteplici influenze. La band passa dalle sonorità ’70 tanto care ai Led Zeppelin alle influenze ’80 con venature blues riconducibili al repertorio di Aerosmith e Tesla. Il singer Matt Jones nella timbrica e nelle movenze fa di tutto per imitare un certo Steven Tyler, ma dobbiamo riconoscere che per preparazione tecnica e carisma sembra sulla retta via per ripercorrere perlomeno in parte i fasti del suo beniamino. I The Treatment, come la maggior parte dei colleghi hard rock di nuova generazione, non inventano nulla di nuovo e i ragazzi non brillano certo quanto a personalità, ma il discreto tiro delle canzoni, unito ad una buona attitudine sul palco, riscuote successo in sala, e non soltanto tra le prime scatenate file.
STEEL PANTHER
Non poteva che essere l’introduzione in base con la voce del comico statunitense Dane Cook a titolo “In The Future” , tratta dall’ultimo “Balls Out”, ad introdurre sul palco dell’Alcatraz gli Steel Panther. Il locale milanese, pur essendo nella sua versione ridotta, presenta un buon colpo d’occhio e si fa subito rumoroso allorchè il quartetto d’oltreoceano attacca con “Supersonic Sex Machine”, bissata da un’ottima versione di “Tomorrow Night”. Il sound è perfettamente bilanciato e i musicisti sembrano in grande spolvero, con il cantante Michael Starr che sin dalle prime note non risparmia i vocalizzi da urlo apprezzati su disco. Lo spettacolo degli Steel Panther prosegue con una carrellata di ottimi pezzi dall’elevato potenziale commerciale quali “Fat Girl”, “Asian Hooker” o “Just Like Tiger Woods”, che certificano la compattezza del gruppo, ma lo show della band californiana và al di là della peraltro ottima performance musicale. Tra una canzone e l’altra, infatti, il succitato singer Starr ed il carismatico chitarrista Statchel organizzano veri e propri siparietti con divertenti battute ovviamente a sfondo sessuale, che talvolta coinvolgono direttamente il pubblico stesso. Dopo una brillante esecuzione di “Gold-Digging Whore”, il chitarrista Statchel, accompagnato dalla batteria, si immerge in lungo solo con una prima parte influenzata dallo stile di Eddie Van Halen e un finale in cui fanno capolino richiami a classici dell’hard rock e dell’heavy metal quali “Smoke On The Water”, “Breakin’ The Law”, “The Number Of The Beast”, “Iron Man”, “Paranoid” e “Sweet Child O’ Mine”. Per l’esecuzione di “Party All Day (Fuck All Night)” i Panther accolgono sul palco una decina di ragazze dal pubblico, per un momento di grande rock n’roll tra ammiccamenti, strusciamenti e maliziose palpatine, mentre prima della consueta pausa, grande successo riscuote l’esecuzione di “Death To All But Metal”. Al rientro in scena, prima di congedarsi definitivamente, il quartetto di Los Angeles imperversa ancora con “The Shocker” e “17 Girls In A Row”. Il minutaggio dello spettacolo non ha superato l’ora e mezza e, considerando le numerose pause, quello effettivo è ancor più imbarazzante, ma gli Steel Panther, oltre a voler estremizzare il concetto glam rock degli anni ’80, sembrano parallelamente percorrere una via differente, integrando un vero e proprio cabaret affiancato al concerto. Tutto all’interno dello spettacolo sembra studiato nei minimi dettagli, qualche battuta è sicuramente improvvisata, ma le pose, i movimenti sul palco, fino allo specchio utilizzato dall’effeminato bassista Lexxi Foxxx per sistemarsi i capelli tra un pezzo e l’altro, sono preparati con scrupolo. I puristi che considerano la musica come unica essenza del concerto storceranno il naso, ma gli Steel Panther suonano bene, sono simpatici e ci hanno divertito. Per ora, considerando anche i soli due dischi alle spalle, può bastare così per una promozione.