Report a cura di Lorenzo Ottolenghi
Fotografie di Francesco Castaldo
Spandex (che siano di jeans o leopardati), bandana a tener sollevati i capelli rigorosamente cotonati e stivali a punta. Accendete la vostra Harley e, rombando, vi dirigete verso Sunset Strip, per ascoltare un po’ di street e di glam e godervi le notti degli anni Ottanta. Gli Steel Panther riescono a ricreare tutto questo a Milano, in una ventosa serata primaverile, e ci riescono prendendo tutta l’iconografia dell’hair metal, spremendola e concentrandola in due ore. C’è l’ambiguità dei Poison, l’amore per sesso e droghe dei Mötley Crüe, il linguaggio esplicito e street-wise degli L.A. Guns e lo “sleaze” dei Faster Pussycat. Tutto senza la minima intenzione di prendersi sul serio. Il che non significa essere approssimativi, anzi. L’atteggiamento da rock-star nasconde musicisti preparati e entertainer esperti, capaci di conquistare il pubblico, farlo ridere ed ammaliarlo con la loro scanzonata rievocazione del periodo d’oro dei glamster. Pronti a far festa come se domani fosse la fine del mondo?
Un sound pessimo (“sembra il primo disco dei Sepultura”, ha detto un amico del sottoscritto dopo il primo pezzo), un palco troppo piccolo per dar libero sfogo ai glamster californiani e un Lexxi Foxx un po’ sottotono ed in disparte rispetto a Satchel e Michael Starr. Questo è tutto il male che si può dire del concerto degli Steel Panther. Il pubblico è numeroso, tanto da riempire fin troppo un Alcatraz che, forse, avrebbe potuto essere sfruttato per intero, invece che per metà come spesso accade per i concerti metal. Si parte subito forte con “Pussywhipped”, per poi lasciare posto ad un lungo scambio di battute tra i membri della band e la band stessa e il pubblico, con tanto di Satchel che legge dalla mano varie “sconcezze” in italiano, tanto che Michael Starr verrà invocato dagli astanti, per tutto il resto dello show, come cazzino. Stupisce, in effetti, l’affetto tributato da tutti i presenti agli Steel Panther: praticamente ogni canzone è un sing-along, senza che questo venga neanche chiamato dal gruppo, fino a “Community Property” cantata -per la prima metà- esclusivamente dai fan. L’intero concerto è un classico nello stile dei glamster di L.A.: si parte con “17 Girls In A Row”, con diciassette ragazze chiamate dal pubblico su palco a “subire” le avances di Satchel e Starr (con tanto di richiesta di mostrare le proprie “boobies”; richiesta -a dire il vero- non accolta particolarmente di buon grado dalle girls fino ad un attimo prima tanto scatenate); si prosegue con il classico intermezzo acustico, una sorta di medley con la partecipazione delle The Lounge Kittens (support-act del tour europeo), fino alla cover dei Van Halen (o dei The Kinks, fate voi) di “You Really Got Me”. Più di venti pezzi che “volano”, grazie ad una band che sa tenere il palco come poche altre, rinverdendo i fasti Ottantiani e dell’epoca d’oro di quello che, in seguito, verrà chiamato hair metal. La conclusione non può che essere lasciata alla ballad “Community Property” (ballad cantata dal pubblico con trasporto simile ai sing-along di pezzi come “Coming Home” dei Mötley Crüe, anche se il testo non è esattamente romantico) ed a “Party All Day (Fuck All Night)”. Alla fine dello show, lasciamo la venue con lo spirito con cui eravamo arrivati: abbiamo assistito ad un concerto di ottima musica, uno spettacolo divertente e coinvolgente e siamo pronti per andare a bere qualche altra birra. Let’s all party, like tomorrow is the end of the world!
Setlist:
Pussywhipped
Party Like Tomorrow Is The End Of The World
Fat Girl (That She Blows)
Tomorrow Night
The Shocker
17 Girls In A Row
Gloryhole
If I Was The King
Ten Strikes You’re Out
Kanye
Weenie Ride
Stripper Girl
Why Can’t You Trust Me
Girl From Oklahoma (con The Lounge Kittens)
Asian Hooker
Eyes Of A Panther
You Really Got Me
Death To All But Metal
Community Property
Party All Day (Fuck All Night)