Report a cura di Carlo Paleari
Nonostante le sue sessantasette primavere, Steve Hackett è ancora un artista infaticabile, non solo dal punto di vista discografico, dove ci ha regalato l’ennesimo gioiello che risponde al nome di “The Night Siren”, ma anche per quanto riguarda l’attività live nel nostro Paese. Chi vi scrive ha avuto il piacere di vedere il chitarrista in azione in diverse occasioni, eppure ogni appuntamento dal vivo con Hackett si trasforma in un’occasione unica. Il musicista, infatti, fedele alla sua natura progressive, porta in scena degli spettacoli molto diversi tra loro, talvolta prediligendo la sua nutrita carriera solista, sia in veste elettrica che acustica, oppure ripercorrendo la sua gloriosa epopea con il progetto Genesis Revisited. Questo tour si pone come una via di mezzo, con un primo set dedicato al materiale solista e una seconda parte in cui vengono riproposti diversi classici dei Genesis, con un occhio di riguardo a “Wind & Wuthering”, che compie quest’anno quarant’anni. Per l’occasione, ci ritroviamo al Teatro Galleria di Legnano, un cine-teatro vecchio stampo, che accoglie con un meritato sold-out l’arrivo del musicista inglese.
Le luci del teatro si spengono e la band sale sul palco, dando il via al concerto con “Everyday”: Steve al centro del palco, nella doppia veste di chitarrista e cantante, alle sue spalle Gary O’Toole alla batteria, Roger King alle tastiere, Rob Townsend ai fiati e Nick Beggs al basso. I suoni sono nitidi ma un po’ bassi, soprattutto nella prima parte del concerto, eppure ciò non impedisce di apprezzare la finezza e l’eleganza di questi eccezionali strumentisti. Non possono mancare, naturalmente, alcuni estratti dal nuovo, pregevolissimo album, “The Night Siren”, e se la scelta dello strumentale “El Niño” ci lascia un po’ perplessi, assolutamente azzeccate si rivelano le scelte di “In The Skeleton Gallery” e “Behind The Smoke”. Quest’ultima, dedicata dal chitarrista a tutti i rifugiati di oggi e del passato, viene resa in maniera clamorosa dalla band, grazie alle sue atmosfere mediorientali e ad un assolo di chitarra meraviglioso. L’esecuzione di questo brano è stata sicuramente uno dei picchi della serata, ma non è stata da meno nemmeno “The Steppes”, composizione di rara intensità, con un Rob Townsend magistrale al sax; oppure “Serpentine Song”, che invece ci ha catapultato tra paesaggi bucolici e fanciulleschi, quasi a fare da contrappunto alla triste realtà raccontata in “Behind The Smoke”. Con “Rise Again” (un pezzo di “Darktown” ripescato appositamente per questo tour) e il classico “Shadow Of The Hierophant” si conclude questa prima parte del concerto e il chitarrista, tra gli applausi scroscianti del pubblico, annuncia l’inizio del set dedicato ai Genesis. Dispiace un po’ vedere come una grossa fetta dell’audience sia presente solo per questa sezione dello show perché, senza voler togliere nulla ai brani immortali scritti con Gabriel, Collins, Banks e Rutherford, anche la prima parte del concerto ha avuto diversi momenti che non avevano niente da invidiare al secondo set. Chiusa la breve digressione, torniamo alla musica: come detto già nell’introduzione, a farla da padrone sarà “Wind & Wuthering”, che festeggia quarant’anni di vita. Sul palco fa il suo ingresso Nad Sylvan, il cantante che da un po’ di tempo a questa parte si carica sulle spalle il ruolo che fu di Peter Gabriel e poi di Phil Collins, e il teatro viene investito dalle note di “Eleventh Earl Of Mar”, primo estratto dall’album che segnò l’abbandono dei Genesis da parte di Hackett. Gli altri saranno “One For The Vine”, “Blood On The Rooftops” (cantata, come di consueto, da Gary O’Toole), “…In That Quiet Earth” e “Afterglow”. Infine, pur non essendo stata inserita nella tracklist ufficiale dell’album, trova spazio anche “Inside And Out”, un bellissimo brano che finì sull’EP “Spot The Pigeon” e che Hackett ha voluto riabilitare, dandogli il giusto risalto. Le versioni proposte sono ineccepibili, suonate con maestria assoluta, anche se ci è parso che Sylvan fosse un po’ meno a suo agio nel riproporre il materiale di Collins rispetto a quello di Gabriel. Il concerto si sta avviando verso le due ore di durata e qualcuno dal pubblico grida ‘vai nel passato!’, strappandoci un sorriso, visto che stiamo ascoltando brani degli anni ’70, ma questo non fa altro che sottolineare l’affetto per il periodo più classico della band. Lo spettatore, comunque, viene accontentato e lo spettacolo si chiude con due capolavori assoluti che rispondono al nome di “Firth Of Fifth” e “The Musical Box”. E se durante l’assolo della prima, il pubblico rimane rapito, ammaliato e svuotato dalla bellezza straziante della chitarra di Hackett, la seconda, con quel finale leggendario, quel ‘why don’t you touch me, touch me!’, rende quasi impossibile rimanere incollati alla sedia, tanto forti sono le emozioni suscitate nel pubblico. Con una doverosa standing ovation, la band si congeda, prima del consueto rientro per i bis: ancora una volta qualcuno dal pubblico ci prova, nonostante siano già passate due ore abbondanti dall’inizio dello show, e chiede “Supper’s Ready”, ma tocca invece a “Los Endos” mettere la classica ciliegina sulla torta per un concerto assolutamente indimenticabile.