Report di Alessandro Elli
Fotografie di Benedetta Gaiani
Lo Stige Fest arriva alla quinta edizione e si conferma punto di riferimento per gli appassionati delle sonorità più estreme: quello che era nato come un piccolo festival nel 2019, si è consolidato nel tempo come una realtà a livello nazionale, una giornata durante la quale i metallari di tutta Italia si riuniscono per assistere ad una manciata di esibizioni che si protraggono a partire dal pomeriggio fino a notte inoltrata.
Il bill di quest’anno prevedeva due grandi nomi di respiro internazionale, ossia i Mysticum ed i Cult Of Fire, ma questi ultimi hanno dovuto dare forfeit proprio qualche ora prima della manifestazione a causa del ricovero in ospedale per un infortunio del batterista.
Il titolo di headliner della serata spetta di diritto ai norvegesi, che furono parte della scena black metal della prima ora, pionieri della corrente cosiddetta industrial e sul punto di pubblicare per la Deathlike Silence Productions, prima che Euronymous venisse assassinato.
Autori di un album leggendario come “In The Streams Of Inferno”, hanno interrotto la loro carriera per la prima volta nel 2004, per poi tornare nel 2011, pubblicare “Planet Satan” nel 2014 e darsi ad un’attività live per la verità non molto intensa: per questo motivo è grande l’attesa per vederli questa sera.
A completare il menù della giornata, un manipolo agguerrito di gruppi che va dagli italiani Doomraiser, Stormcrow, Homselvareg e Ignobleth fino ai francesi Corpus Diavolis. Un programma che, pur non allontanandosi molto da quello che è un metal a tinte oscure, si preannuncia eterogeneo ed interessante.
Lo scenario è sempre quello del Campus Industry Music di Parma, un club ben organizzato, facile da raggiungere poiché in una zona industriale vicina all’autostrada, con un ampio parcheggio ed ormai specializzato nell’ospitare questo genere di manifestazioni.
Vediamo come è andata.
L’appuntamento al Campus Music Industry è fissato per le 16,30, orario prestabilito per la partenza del festival, ed il locale si riempie alla spicciolata di appassionati provenienti da un po’ tutta la penisola, con la presenza anche di qualche straniero: Parma, infatti, è comodamente raggiungibile dalle città del nord, ma non è nemmeno impossibile arrivarci dal sud dell’Italia, tanto che questa giornata diventa il ritrovo ideale di molti metallari geograficamente lontani tra loro.
Purtroppo, però, tra i primi arrivati inizia a circolare la voce della defezione dei tanto agognati Cult Of Fire, con il conseguente slittamento dell’inizio alle 17,10 ed i tempi delle pause tra uno show ed il successivo che fisiologicamente si allungano.
L’apertura è affidata agli IGNOBLETH: la band, giovanissima, gioca in casa, in quanto originaria della vicina Modena, ed è un trio che propone un blackened death metal con frequenti rallentamenti vicini al doom.
Le influenze appaiono molteplici (dagli Archgoat agli Incantation, ad esempio), e ciò può far pensare che i ragazzi non abbiano ancora imboccato una strada precisa, ma le soluzioni adottate fino a qui convincono anche sul palco. Il cantante/bassista, l’unico maggiorenne, assume spesso pose alla Lemmy e si produce in un growl profondo, il chitarrista è concreto nei riff come negli interventi solisti ed il batterista puntuale e potente ed insieme suonano compatti, dimostrando di avere tecnica ed idee.
Il tempo ci dirà se riusciranno a fare il passo decisivo, ma le premesse sembrano molto buone.
Ben più navigati sono gli HOMSELVAREG: i comaschi, che questa sera si avvalgono di Clod the Ripper (Nel Buio, Blasphemer) al basso, possono infatti vantare una carriera ventennale, sempre nell’ambito della scena più underground di casa nostra, con tre album all’attivo, l’ultimo dei quali “Ventunesimo Secolo” pubblicato nel 2023.
La particolarità dei lombardi, che molto raramente si esibiscono dal vivo, è quella di utilizzare l’italiano, in un black metal tirato e selvaggio che odora di Norvegia nonostante racconti storie nostrane e capace di ricordare Taake per la capacità di illustrare paesaggi ostili e spietati. Lo screaming è acido e furioso, il riffing non lascia tregua, e la sezione ritmica non sbaglia un colpo.
Nulla di nuovo, certo, ma un concerto che avrà fatto la felicità di chi segue la band e non ha mai potuto vederla.
Non ci spostiamo di molto con gli STORMCROW, anch’essi lombardi, altri rappresentanti della fiamma nera nel nostro territorio. I milanesi, con tanto di face painting, sono in giro addirittura dal 1997 e a maggio di quest’anno hanno realizzato il loro terzo disco “Path To Ascension”, che ha ottenuto buoni riscontri.
La novità che riguarda la loro esibizione è l’ingresso in formazione in pianta stabile della cantante Vexa, ossia Lucia Catananti (Mechanical God Creation), che va a fare coppia con Vastis. La scelta sembra vincente, poiché le due voci si incastrano alla perfezione, talvolta sovrapponendosi, l’una aspra e maligna e l’altra più cavernosa, in intrecci vocali che rappresentano la particolarità di un suono che potremmo descrivere come vicino a quello dei Naglfar, un black metal violento e senza compromessi ma che sa anche essere atmosferico quando necessario.
Anche in questo caso, prova più che convincente ed applaudita dai presenti.
Ci avviamo verso la seconda finale del festival ed il pubblico cresce a vista d’occhio, anche se non si arriverà ad un tutto esaurito e molti degli astanti approfittano della lunga attesa per cenare nella parte esterna della struttura o per far visita ai due ambienti, vicini all’ingresso, dedicate alle distro ed al merchandising in attesa che si riprenda a suonare.
Tocca ora ai CORPUS DIAVOLIS e c’è curiosità per l’esibizione dei transalpini, i quali fanno parte del nutrito roster di Les Acteurs de l’Ombre Productions, etichetta che raramente sbaglia in ambito black metal.
Con la band di Marsiglia i ritmi rallentano ma l’odore di zolfo si fa, se possibile, ancora più intenso: quando i cinque salgono sul palco, l’impatto visivo è molto forte, tra tuniche, cappucci, trucco, candelabri e pentacoli.
Lo show ha inizio e si ha l’impressione di assistere ad una sorta di rituale, un sabba nero curato nei particolari e declamato da una voce roca e malefica, ora in growl ed ora recitata, supportata da un riffing ossessivo. Il loro black metal è sporcato da incursioni che sanno di death metal con diversi momenti atmosferici, che arrivano a spezzare la tensione di uno spettacolo intenso, tra crocefissi (ovviamente rovesciati) infuocati e fantasmi che sembrano prendere vita.
Il concept non è certo originale ma i francesi, che stanno promuovendo il loro quinto album “Elixiria Ekstasis”, uscito a marzo 2024, lo portano a termine con efficacia, per tre quarti d’ora gradevoli e perfettamente centrati con il tema della giornata.
In un evento quasi completamente dedicato al black metal nelle sue varie forme, i DOOMRAISER sono gli unici a proporre qualcosa di differente: il gruppo romano, infatti, è da sempre legato ad un doom metal tradizionale, che improntato sul vigore e su tematiche oscure e mistiche, unico punto di contatto con le band che li hanno preceduti e li precederanno.
I romani ci tengono a confermarsi la mosca bianca e si esibiscono di fronte ad uno sfondo che è, per l’appunto, di colore bianco, sfoderando tutta l’energia che li contraddistingue ogni volta che si presentano su un palco.
La partenza è affidata a “Dark Omens” e “Last Christmas I Gave You My Death”, i due pezzi iniziali dell’uscita più recente, “Cold Grave Marble”, sesto episodio di una carriera ventennale, ed è subito chiaro come i Doomraiser vogliano asfaltare il Campus Industry Music con i loro riff mastodontici e la loro nera esplosività.
Nicola ‘Cynar’ Rossi è una furia e si dimena passando dalla sua tipica voce stentorea ad urla disperate, sommerso da un flusso lento ed inesorabile; la resa sonora, pur valorizzando la prestazione dal punto di vista della gagliardia, non è perfetta, forse perché bilanciata su formazioni dedite a tutt’altre sonorità, ma non inficia il risultato. Si prosegue senza soste, tra brani più recenti ed altri storici come “Another Black Day Under The Dead Sun”, fino alla conclusiva “Rotten River”, in un tripudio di chitarre sabbathiane suonate a volumi insostenibili.
Dai capitolini ci si attendeva la consueta esibizione solida e potente e le aspettative non sono state disattese, tanto che un po’ tutti si sono ritrovati a scapocciare, attività non proprio consueta per un pubblico composto da blackster.
Sono ormai le 23,30 ed arriva l’ora dell’atto finale e più atteso, che vede i MYSTICUM protagonisti sul palcoscenico. I norvegesi sono una sorta di leggenda: nati ad Asker nel 1993, sono stati tra i primi ad introdurre suoni sintetici nel black metal (anche se, per la precisione, furono anticipati dai Thorns) e, nonostante questa ‘anomalia’, possono essere considerati parte integrante della cosiddetta seconda ondata, con personaggi come Hellhammer e Ivar Bjørnson che, seppure per breve tempo, hanno fatto parte della loro formazione.
La loro musica è qualcosa di folle, con drum machine e campionamenti che sicuramente risultano essenziali nel creare quel malvagio vortice elettronico che, se ancora adesso suona destabilizzante, trent’anni fa era qualcosa di totalmente inimmaginabile. Il percorso seguito dai Mysticum è stato frammentato, con alcuni scioglimenti, sospensioni dell’attività e poca musica pubblicata in un lasso di tempo così lungo, ma il trio che arriva ai nostri giorni è composto dai componenti originali: Dr. Best (Robin Malmberg), Prime Evil (John Preben Mulvik) e Cerastes (Benny André Laumann).
Dopo una lunga intro nel buio più totale, i tre, a torso nudo e in una forma invidiabile per dei cinquantenni, si posizionano sulla parte anteriore del palco, con i due cantanti/chitarristi ai lati ed il bassista al centro: il loro look, con i capelli corti e privo di segni distintivi come borchie e face painting, non è molto black metal, come del resto la loro musica, parte di qualcosa di unico e difficilmente descrivibile con i soliti cliché del genere.
Si parte subito con un attacco frontale che non conoscerà pause o rallentamenti per tutti i settanta minuti di durata dello show, un turbinio di rumori di una violenza inaudita, sul quale si stagliano voci crudeli e invasate ma allo stesso tempo lucide e fredde, che non sembrano neanche provenire da un essere umano. E’ futile citare i singoli episodi di fronte ad una prestazione così compatta e monolitica, ma “Fist Of Satan” e “LSD” non fanno prigionieri in quanto a ferocia. Un pogo selvaggio si scatena praticamente ad ogni pezzo, con Dr. Best che non smette di alimentarne la foga con gesti ed incitamenti.
A contribuire a questo bombardamento incessante sono i visual, in bianco e nero o comunque in colori freddi: come dal punto di vista sonoro, i Mysticum si distaccano dalla tradizione anche da quello tematico ed ecco che, accanto al satanismo e agli altri temi trattati dalle band classiche, fanno capolino le droghe e la pazzia, che vengono rappresentati attraverso immagini che scorrono a velocità schizofreniche, seguendo i ritmi marziali scanditi dalla musica. Anche le luci, bianche ed intense, giocano il loro ruolo, in fasci che vengono proiettati addosso al pubblico con diverse inclinazioni. In tutto questo sfoggio di misantropia, è singolare come i norvegesi siano l’unica band a pronunciare qualche parola rivolta agli astanti, sia pure nella loro lingua e quindi incomprensibile ai più.
Più che un concerto, i Mysticum hanno offerto un’esperienza totalizzante, uno spettacolo che rapisce e lascia inebetiti per la sua durezza ed intransigenza: mancavano dall’Italia dal 1996, quando fecero due date a supporto della loro opera più nota, “In The Streams Of Inferno”, e, conoscendone la storia, potrebbe passare molto altro tempo prima di un loro ritorno: proprio per questo motivo era importante presenziare in questa serata.
Si chiude così anche la quinta edizione dello Stige Fest e non ci resta che rituffarci nella gelida notte emiliana per tornare alle nostre abitazioni.
Anche questa volta possiamo parlare di un successo: la location è risultata come sempre all’altezza, l’organizzazione perfetta, senza le attese o le code che caratterizzano altri eventi di questo tipo, i suoni ottimi, con un volume alto ma tutto sommato mai eccessivo. La partecipazione è stata buona ma senza sold-out e, probabilmente, a ciò ha contribuito la malaugurata assenza dei Cult Of Fire, quella che per molti era la band da vedere assolutamente, anche se la risposta degli organizzatori a questa improvvisa mancanza è stata inappuntabile, e tutto è andato per il meglio.
All’ennesima conferma non si può che parlare di un festival ormai consolidato, diventato appuntamento fisso per tutti i cultori dei suoni più oltranzisti: aspettiamo con fiducia gli sviluppi futuri.
IGNOBLETH
HOMSELVAREG
STORMCROW
CORPUS DIAVOLIS
DOOMRAISER
MYSTICUM