Report a cura di Bianca Secchieri
A poco più di un anno dalla prima – esplosiva – edizione, torna lo Stige Fest, appuntamento parmense dedicato al metal oscuro ed estremo. Se nel precedente capitolo l’organizzazione aveva lasciato a bocca aperta il pubblico black metal sfoderando due pezzi da novanta come Blasphemy e One Tail, One Head, quest’anno ci riprova portando finalmente in Italia i Tormentor, con il grande merito di rimediare all’amarezza lasciata dall’edizione fantasma del Colony Summer Fest dello scorso anno. Purtroppo l’affluenza non è la stessa registrata con la recente ed ultima edizione del Black Winter Fest, che si è tenuto lo scorso dicembre nella medesima location, ma del resto i due bill sono difficilmente equiparabili, in termini di appeal verso il ‘grande pubblico’. Questa edizione dello Stige Fest è sicuramente votata maggiormente all’underground, e se vogliamo anche più coraggiosa, con l’inserimento degli storici doomster The Black come pre-headliner. Ecco perché possiamo comunque considerare buono l’afflusso alla serata, anche se ci saremmo aspettati di vedere più persone presenti al festival e meno sul divano di casa a commentare la finale di Sanremo, oppure chiuse nel solito pub sotto casa.
Arriviamo al Campus Industry Music con un po’ di ritardo, perdendo purtroppo le esibizioni dei marchigiani Vomitmantik, autori di un black/death votato all’old-school, e dei deathster romani Thulsa Doom. Segnaliamo la sempre grande abbondanza di distro e merch delle band in scaletta e un’offerta di cibi limitata nella scelta ma di ottima qualità, mentre permane la (sola) pecca della mancanza di posti a sedere, se non si considera l’area esterna.
EGGS OF GOMORRH
Gli svizzeri, che a breve daranno alle stampe l’EP “Outpregnate”, successore dell’album di debutto “Rot Prophet”, ci accolgono immediatamente con il loro black metal senza fronzoli, sporcato occasionalmente di death. Archgoat, Blasphemy e compagnia brutta sono certamente tra i nomi di riferimento per il terzetto ginevrino, che macina riff e rigurgita cattiveria interrotto soltanto da qualche problema tecnico legato ai volumi altalenanti della batteria, risolto dopo un breve pitstop. La proposta dei ragazzi d’Oltralpe è sicuramente in linea con la serata e risulta piacevole per i più tra i presenti, pur non essendo propriamente esaltante né eccessivamente coinvolgente: la band si muove sul palco in maniera non completamente sciolta, forse anche a causa dell’assenza della seconda chitarra e voce che normalmente li accompagna nelle esibizioni dal vivo. Senza infamia ma anche senza particolari lodi, per quanto ci riguarda si entra veramente nel festival solo con l’act successivo.
DARVAZA
È il turno del duo italo-scandinavo formato dal prolifico polistrumentista toscano Omega (al secolo Gionata Potenti) e Wraath, chitarra dei Behexen (tra gli altri), coadiuvati in sede live da musicisti italo-svizzeri al basso, alla batteria e alla seconda chitarra. Nonostante siano autori di soli tre EP, i Darvaza godono di un certo seguito nell’underground black metal, con svariate partecipazioni a festival ‘cult’ europei all’attivo. Quella che sale per la prima volta – il che è piuttosto ironico – su un palco italiano è quindi una formazione rodata, che si muove bene ma dalla quale forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più, quantomeno per ciò che riguarda il frontman e voce Wraath, supportato alle backing vocals da Omega. Questa dualità è interessante, sicuramente tra i punti di forza del gruppo. In ogni caso il salto di qualità rispetto alla performance precedente è innegabile, ed è proprio con loro che entriamo nel vivo del festival. Il black metal dei Darvaza ha caratteri ritualistici ed ortodossi e punta più sui riff ipnotici che sulla velocità tout-court, che comunque non manca. Il sound della band è pastoso – forse un pelino più di quanto desiderato – e mira a catturare l’ascoltatore in una specie di viaggio interiore, non certo in un pogo selvaggio. Uno show godibile, forse non per tutti.
DEMONOMANCY
Decisa variazione di registro col cambio palco successivo: i romani Demonomancy sono ormai sinonimo di garanzia per quanto riguarda il black/death nostrano, tritaossa e legato alla tradizione, benché non privo di melodia. Il terzetto appare compatto, pieno di energia e dotato della giusta attitudine, caratteristiche sicuramente innate, che però l’intensa attività concertistica ha sviluppato e acuito: i ragazzi romani appaiono pienamente a proprio agio sul palco e vomitano riff su riff a ritmo serrato. Riconosciamo, in mezzo al maelstrom sonoro, “The Last Hymn To Eschaton”, sulfureo e doomeggiante episodio tratto dal recente “Poisoned Atonement”, e possiamo dire che in generale la prova dei laziali è convincente e priva di momenti di stanca (oltre che di problemi tecnici). Verosimilmente, la proposta dei Nostri non è – quantomeno non ancora – così personale da rendere il trademark della band immediatamente riconoscibile, ma i punti di forza sono molti, e il pubblico emiliano, che si va infoltendo, dimostra il proprio apprezzamento nei confronti di una proposta tra le più in linea con il sound grezzo degli headliner.
THE COMMITTEE
Le aspettative nei confronti di questo combo internazionale, formato da musicisti proveniente da Olanda, Russia, Ungheria e Francia erano alte, merito di due dischi molto interessanti, in particolare “Memorandum Occultus”, uscito un paio di anni fa, di cui potete recuperare la recensione, e di un EP di esordio che affronta il tabù storico dell’holomodor (la morte per carestia di circa cinque milioni di cittadini ucraini tra il 1932 e il 1933 per mano del regime stalinista).
Il collettivo si presenta sul palco a volto completamente coperto e mantiene, a livello scenico, la scelta di rifarsi ad una generica ‘estetica di regime’, connubio che, pur non essendo del tutto inedito, si sposa perfettamente con le tematiche scelte. Altrettanto coerentemente il gruppo adotta un approccio molto statico al palco, e in questo è facile trovare delle similitudini con i polacchi Mgla. La loro concezione del black metal è molto differente da quella dei Demonomancy, mentre è leggermente più vicina ai Darvaza; purtroppo, come questi ultimi, la band soffre di suoni eccessivamente pastosi, che rendono difficoltoso seguire al meglio lo snodarsi dei brani. Resta poco chiaro se la scelta di avere il basso a tratti così alto rispetto agli altri strumenti sia totalmente voluta, eventualità comunque plausibile tenendo presente che alcuni brani dei Nostri prevedono – fatto insolito nel genere – assoli proprio di questo strumento. Si ha la percezione di una performance leggermente piatta, opaca, almeno fino agli ultimi brani in scaletta, nei quali i The Committee riescono a far emergere appieno il proprio valore, anche grazie a pezzi intensi come la drammatica “Katherin’s Chant”. Da risentire, possibilmente in un contesto differente da quello del festival.
THE BLACK
Se fino a qui abbiamo assistito ad esibizioni di band che declinano in maniera differente il verbo purulento del black/death, con lo show dei The Black facciamo una decisa deviazione verso lidi musicali molto differenti. La creatura di Mario Di Donato è in qualche modo un unicum nella scena doom non solo italiana: attivi dal 1989, i The Black incarnano il connubio tra hard rock, doom e progressive, arte in senso lato (Mario Di Donato è, tra le altre cose, pittore), misticismo in generale e cultura cattolica in particolare. Quella che ci troviamo di fronte è dunque un’autentica leggenda della musica oscura italiana, che insieme a Death SS, Paul Chain e Jacula ha definito il cosiddetto ‘italian dark sound’, che continua ad avere grande fascino sui fan del metal estremo. La formazione è quella classica a tre elementi: basso, batteria, chitarra e voce, e il set scelto prevede una manciata di brani tratti dal primo disco “Infernus Paradisus Et Purgatorium” del 1990 e i restanti pezzi inediti, che probabilmente avremo modo di riascoltare sul prossimo album.
La band abruzzese appare in buona forma, precisa e carica di energia, anche se purtroppo ci sono alcuni problemi sulla voce, che a tratti è difficilmente udibile. La performance è scarna, nel senso che i Nostri lasciano parlare la musica, in pieno spirito rock’n’roll, guidando i presenti in luoghi e tempi lontani. Non tutti hanno capito e di conseguenza apprezzato, agli altri rimane invece un’esperienza preziosa, la testimonianza di chi si è battuto con tenacia per portare avanti la propria personale concezione della musica attraverso anni bui e difficili per il metal italiano, rimanendo coerente con la propria identità. I The Black aggiungono qualcosa di realmente differente a questa edizione dello Stige Fest e forse aprono la strada ad un futuro che vede coinvolte diverse sfumature del buio.
TORMENTOR
Ultimo cambio palco, col quale si torna su registri più abituali. La celebre intro della demo “Anno Domini” (che anni più tardi ha finalmente visto la luce su CD e vinile) riporta tutti i presenti all’ordine e ci introduce a quello che finirà nel novero dei concerti dell’anno. Chi aveva già avuto modo di vedere in azione Attila Csihar e i suoi pazzi compari, magari alla scorsa edizione del Brutal Assault, sapeva infatti che il loro spettacolo vale il prezzo del biglietto. Gli ungheresi sono in ottima forma nonostante i trent’anni che separano l’uscita dei loro seminali lavori da questo primo e unico live italiano. Rispetto alla formazione solita che sta portando in giro il nome Tormentor, composta (incredibilmente) da tutti i membri originali, segnaliamo la mancanza della tastierista, la giovane figlia di una delle due asce ungheresi.
La band, che si presenta indossando il corpsepaint, non fatica a mantenere alta l’attenzione di un pubblico che va presto in visibilio, in particolare durante la sublime “Elisabeth Bathory”, che assume una dimensione traboccante di sfumature (che c’erano su disco, ma che qui risultano finalmente intelligibili appieno). Ed è realmente emozionante ascoltare pezzi sentiti mille volte ma di cui mai avremmo pensato di poter godere in una dimensione live: l’intero “Anno Domini” scorre via che è un piacere, dimostrando definitivamente il proprio incredibile valore. I brani, pur manifestando qualche ovvia ingenuità, reggono benissimo i quasi trent’anni che hanno sulle spalle, esprimendo una malvagità e una cruda violenza che molti dischi registrati con mezzi infinitamente migliori si sognano di poter raggiungere. I confini tra i generi si fanno labili: i Tormentor sono figli di un’epoca nella quale le etichette ‘thrash’, ‘black’, ‘speed’ e ‘death’ non avevano particolare significato, o quantomeno i cui confini erano tutti da scrivere (e possibilmente sorpassare). E’ un piacere ascoltare la band macinare riff vorticanti, tra grezzi tocchi di melodia gotica e fulminei assoli: è difficile citare alcuni brani su altri, sicuramente “Tormentor I” è un anthem potente, mentre “Beyond” una perla oscura. C’è spazio anche per un pugno di brani provenienti dalla demo del 1987 “The Seventh Day Of Doom”, anch’essa ristampata con molti anni di ritardo. “Branded By Satan”, “Mephisto” e la titletrack completano un set mozzafiato, che ha visto in azione una band credibile, che sembra divertirsi e che certamente diverte. Ottima prestazione vocale di Attila Csihar, che intrattiene senza strafare. L’unico album uscito nel nuovo millennio, il controverso “Recipe Ferrum! 777” viene – giustamente – ignorato, in quella che è la celebrazione dell’anima primigenia della band.
Operazione nostalgia? In un certo senso sì, innegabilmente, lo dicono la scaletta e gli ovvi e continui richiami visivi ai primordi del combo. E però, la convinzione e l’attitudine con cui la band si presenta, unita alla storia sfortunata che ha impedito a questi (ex) ragazzi di affacciarsi al mercato discografico in modo effettivamente competitivo, fanno sì che sia più corretto parlare di un atto di rivalsa nei confronti di un successo e di una crescita, come band, che è stata loro negata in passato. Sicuramente abbiamo la conferma, casomai ne servissero ancora, che i Tormentor non sono solamente ‘il primo gruppo del cantante dei Mayhem’, bensì un gruppo-culto che è tale per meriti oggettivi.
Si chiude nel migliore dei modi un festival giovane ma interessante e ricco di spunti, che contiamo possa diventare un punto di riferimento per il metal estremo in nord Italia e non solo.