MELLOWTOY
Come supporter della serata ci sono i Mellow Toy, già visti più volte ad aprire per le formazioni più svariate, da Ill Nino agli HIM. Nessuna variazione di rilievo nella breve scaletta degli italiani, che ripropongono lo stringato repertorio con una discreta padronanza del palco e una sufficiente sicurezza, sfortunatamente non riescono ad essere altro che un sottofondo per l’esiguo pubblico distratto. Fa da variante, nella scaletta composta da crossover canonico, insipido e doppia-voce, la cover di “Them Bones” degli Alice In Chains. Simpatica anche la versione di “Save A Prayer”, ma non basta: vengono dimenticati subito dopo esser scesi dal palco.
STONE SOUR
Dopo una pausa prolungata il locale è finalmente colmo. Inutile dire che lo stupore di molti è dedicato a Corey Taylor, che in un impeto caffeinomane ha fatto piazza pulita dei riccioli biondi e sale sul palco rasato a zero e con una cresta appena accennata. Col nuovo look e a torso nudo è impossibile non notare il collo sovradimensionato, ma la cosa veramente shockante è la carica inaudita con cui riesce a fare esplodere il pubblico con l’iniziale “30/30 150”. Showman incredibile sin da subito, Taylor è adorato da tutti i presenti e, oltre a regalare un’ottima prova vocale, riesce ad aizzare la folla a proprio piacimento nelle ottime “Come Whatever May”, “Reborn” e “Monolith”, o a farla placare nelle hit acustiche “Sillyword”, “Bother” e “Through Glass”, dove si dimostra serio e credibile conquistando il pubblico più disparato, e accennando anche scherzosamente a “Wicked Game” (Chris Isaac, HIM) o a “Sweet Home Alabama” (Lynyrd Skynyrd). Il compagno Jim Root, arruffato e truccato, appare completamente sfatto ma rende comunque alla destra del palco, il bassista Shawn è tappezzeria e il timido Josh resta fuori dai riflettori, se non chiamato in causa spiritosamente dal frontman (“Ehi, guardate quella adorabile, sexy testa pelata!”). I suoni sono perfetti, forse solo la voce di Corey ha un’eco troppo marcata ma pare nessuno se ne accorga, tanto il frontman riesce a rapire con il suo fare energico e anche un po’ svalvolato. Menzione particolare va necessariamente a Roy “Maurice” Mayorga, l’acquisto migliore che gli Stone Sour avessero potuto fare dietro le pelli: stiloso (il look da Red Carpet Punkster è spettacolare, con giacca bianca e capello rossonero curatissimo diventa imbattibile) anche nella maniera di suonare, energico e vistoso, aggiunge una nota di colore non indifferente. “Blotter”, “Tumult” e la conclusiva “Get Inside” rendono giustizia al debutto su Roadrunner e chiudono il concerto, che seppur relativamente breve lascia tutti sbalorditi. Una formazione davvero sottovalutata.