28/02/2007 - Stone Sour + Mellowtoy @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 03/03/2007 da
A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
foto di David Scatigna
L’Alcatraz di Milano è il luogo prescelto per l’unica data italiana degli Stone Sour, creatura famosa per avere in formazione Corey e Jim degli Slipknot, ma che allo stesso tempo esprime costantemente tutto il suo valore e la sua personalità data dopo data, dallo spettacolo del Gods Of Metal alla esaltante prova del Family Values Tour. L’ottimo “Come What(ever) May” si è fatto apprezzare facilmente anche nel Bel Paese, che piano piano riempie un Alcatraz in versione “ridotta” – cioè con il tendone che riduce le dimensioni del locale e il palco montato alla destra dell’entrata – con un pubblico eterogeneo. Tra i presenti troviamo quasi tutti i componenti dei Lacuna Coil, compresa ovviamente la bella Cristina, in completo di jeans attillato, di supporto al fidanzato Jim e adocchiata da molti fan.

E’ disponibile A QUESTO INDIRIZZO la galleria fotografica del concerto (è richiesto Flash Player)

MELLOWTOY

Come supporter della serata ci sono i Mellow Toy, già visti più volte ad aprire per le formazioni più svariate, da Ill Nino agli HIM. Nessuna variazione di rilievo nella breve scaletta degli italiani, che ripropongono lo stringato repertorio con una discreta padronanza del palco e una sufficiente sicurezza, sfortunatamente non riescono ad essere altro che un sottofondo per l’esiguo pubblico distratto. Fa da variante, nella scaletta composta da crossover canonico, insipido e doppia-voce, la cover di “Them Bones” degli Alice In Chains. Simpatica anche la versione di “Save A Prayer”, ma non basta: vengono dimenticati subito dopo esser scesi dal palco.

STONE SOUR

Dopo una pausa prolungata il locale è finalmente colmo. Inutile dire che lo stupore di molti è dedicato a Corey Taylor, che in un impeto caffeinomane ha fatto piazza pulita dei riccioli biondi e sale sul palco rasato a zero e con una cresta appena accennata. Col nuovo look e a torso nudo è impossibile non notare il collo sovradimensionato, ma la cosa veramente shockante è la carica inaudita con cui riesce a fare esplodere il pubblico con l’iniziale “30/30 150”. Showman incredibile sin da subito, Taylor è adorato da tutti i presenti e, oltre a regalare un’ottima prova vocale, riesce ad aizzare la folla a proprio piacimento nelle ottime “Come Whatever May”, “Reborn” e “Monolith”, o a farla placare nelle hit acustiche “Sillyword”, “Bother” e “Through Glass”, dove si dimostra serio e credibile conquistando il pubblico più disparato, e accennando anche scherzosamente a “Wicked Game” (Chris Isaac, HIM) o a “Sweet Home Alabama” (Lynyrd Skynyrd). Il compagno Jim Root, arruffato e truccato, appare completamente sfatto ma rende comunque alla destra del palco, il bassista Shawn è tappezzeria e il timido Josh resta fuori dai riflettori, se non chiamato in causa spiritosamente dal frontman (“Ehi, guardate quella adorabile, sexy testa pelata!”). I suoni sono perfetti, forse solo la voce di Corey ha un’eco troppo marcata ma pare nessuno se ne accorga, tanto il frontman riesce a rapire con il suo fare energico e anche un po’ svalvolato. Menzione particolare va necessariamente a Roy “Maurice” Mayorga, l’acquisto migliore che gli Stone Sour avessero potuto fare dietro le pelli: stiloso (il look da Red Carpet Punkster è spettacolare, con giacca bianca e capello rossonero curatissimo diventa imbattibile) anche nella maniera di suonare, energico e vistoso, aggiunge una nota di colore non indifferente. “Blotter”, “Tumult” e la conclusiva “Get Inside” rendono giustizia al debutto su Roadrunner e chiudono il concerto, che seppur relativamente breve lascia tutti sbalorditi. Una formazione davvero sottovalutata.

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