Introduzione a cura di Gennaro ‘Dj Jen’ Dileo e Matteo Cereda
Report a cura di Matteo Cereda e Gennaro ‘Dj Jen’ Dileo
Foto di Francesco Castaldo
Dopo la massacrante 3 giorni non stop del Gods of Metal a Torino, i nostri intrepidi eroi Matteo Cereda e Gennaro “Dj Jen” Dileo non potevano assolutamente lasciarsi sfuggire l’occasione di gustarsi dal vivo la reunion degli Stone Temple Pilots, autori di almeno due capolavori della scena alternative (o se preferite grunge) “Core” e “Purple”, dischi che hanno consegnato la band alla storia del rock americano. La domanda ci è sorta spontanea: assisteremo ad un concerto imbarazzante, trovando sulle assi del palco delle tossiche cariatidi o saremo testimoni della rinascita artistica e spirituale del sempre tormentato Scott Weiland? Se volete scoprirlo o siete semplicmente curiosi, leggete la cronaca…
STONE TEMPLE PILOTS
E’ un Alcatraz quasi sold out quello che accoglie con un intenso boato l’ingresso in scena di Scott Weiland, Dean DeLeo, Robert DeLeo e Eric Kretz sulle note dell’indimenticata “Vasoline”. La scarna coreografia è incentrata solo sull’immagine dell’ultimo disco stampata sullo sfondo e d’altronde gli Stone Temple Pilots da buona grunge band che si rispetti puntano tutto sul sound e sull’attitudine, confortati fra l’altro dall’ottima resa sonora dell’impianto acustico. Lo spettacolo prosegue con Weiland che prende il megafono per intonare “Crackerman” e subito dopo un altro classico del calibro di “Wicked Garden” fa esplodere il pubblico riportandoci nelle atmosfere depresse dei primi anni 90. La scaletta è incentrata soprattutto sui pezzi vecchi, scelta giustificata dal fatto che si tratta del primo show italiano dopo la reunion, ma in parte dettata dalla parziale debolezza dell’ultimo lavoro in studio. Da quest’ultimo vengono estratte il singolo “Between The Lines”, “Hickory Dichotomy”, “Bagman” e “Huckleberry Crumble”, con solo le prime due a convincere pienamente, mentre tutt’altro effetto fanno le ottime versioni proposte di classici da urlo quali “Big Empty”, “Creep”, “Plush” e “Interstate Love Song” che non a caso riscuotono ampi consensi a livello di partecipazione ed entusiasmo. L’attenzione è catalizzata sul frontman Scott Weiland che dimostra di essere un vero animale da palcoscenico offrendo una prova vocale estremamente positiva; il singer statunitense anche dal punto di vista del coinvolgimento si dimostra un ottimo intrattenitore correndo da una parte all’altra del palco con pose e versi assurdi, salvo poi sbiascicare parole incomprensibili tra una canzone e l’altra, facendoci sorgere più di un dubbio sulla sua sobrietà. Ottimo anche il lavoro svolto dalla sezione ritmica, abile nel donare il giusto groove alle canzoni e inoltre, il bassista Robert DeLeo apre un breve siparietto nel quale decanta le bellezze del nostro paese concludendo il suo breve monologo con la frase “It’s good to be italian” scatendando copiosi applausi dal pubblico. Suggestioni altamente psichedeliche vengono inscenate con l’esecuzione di “Lounge Fly”, mentre a “Sex Type Thing” spetta il compito di chiudere la prima parte dello show seguito con estrema partecipazione da tutti i presenti. Nei bis c’è spazio per una “Dead And Bloated” che vede la partecipazione di una fan invitata sul palco a cantare l’inizio del brano con la band e un’ottima versione dell’adrenalinica “Trippin’ On A Hole In A Paper Heart”. Tirando le somme gli Stone Temple Pilots hanno fornito ai presenti un ottimo spettacolo, che li rilancia alla grande nella scena rock, il minutaggio un po’ scarso (solo un ora e mezza) e uno spettacolo parso fin troppo costruito e ligio alla scaletta sono le uniche amarezze di una serata largamente positiva per la band di San Diego. Dopo il revival dell’hair metal di qualche anno fa ora è il turno del grunge? Staremo a vedere…