A cura di Loredana Miele
Ci siamo, finalmente: la più folle mente creativa del panorama musicale mondiale degli ultimi anni mette piede nel nostro paese per la prima volta! Devin Townsend e tutte le sue creature hanno infine calcato i palchi italiani in tre attesissime date, lasciando dietro di sé la traccia di uno show indimenticabile. Siamo andati ad assistere alla tappa trevigiana del travolgente Keep In The Family Tour, e… scoprite voi stessi l’entità del massacro!
ZIMMERS HOLE
Eccoci in partenza, dunque! Un viaggio di ottocento chilometri, anche se un po’ alto, è del resto un prezzo che ho deciso con buon animo di pagare per poter assistere ad una delle date italiane di questo Keep It The Family Tour, sotto il cui nome Devin Townsend e tutta la sua legione al gran completo partono all’attacco dell’Europa in concomitanza con l’uscita dei nuovi lavori, sia degli Strapping Young Lad (“SYL”) sia della Devin Townsend Band (“Accelerated Evolution”). Vista l’attesa creatasi intorno alla tappa italiana del tour di questo manipolo di folli musicisti, c’era da aspettarsi quanto meno una prestazione live degna di questo nome… per cui, via! Zaino in spalla: si parte per il profondo nord!L’arrivo al New Age, la sera dell’11 aprile, è piuttosto deludente: il cortile antistante il locale è quasi deserto, anche se l’inizio del concerto è previsto di lì a poco meno di un’ora. Per fortuna, però, la sala si gremirà (anche se non del tutto) a pochi minuti dall’arrivo degli Zimmer’s Hole sul palco, sul quale a luci accese campeggia una strumentazione impressionante, nonostante il ridotto spazio offerto dalla struttura. Ad ogni buon conto, ormai manca poco alle 22 per cui, guadagnato il posto sulle transenne in pieno centro palco, attendiamo l’inizio dello show.Alle 22 precise le luci si spengono, e dalla porta a destra del palco si vede un’ombra familiare ed enorme avanzare sorridendo… è Byron Stroud, vichingo d’altri tempi e bassista degli Zimmer’s Hole nonché dei ben più mostruosi Strapping Young Lad, una colonna di muscoli e capelli rossi che arriva con il suo roccioso incedere a salutare il pubblico, seguito da Jed Simon, chitarrista anche lui sia in questo progetto sin dalla sua nascita che in quello di Townsend; all’arrivo del batterista segue infine quello del singer Chris Valagao, tra-vestito da essere infernale con le natiche al vento e una veste di cuoio modello medioevo sassone, il corpo completamente dipinto di rosso, che pianta una spada sul palco inneggiando alle sue ormai leggendarie Legion Of Flames. L’ironia di questa band nei confronti di tutti i cliché legati alla ‘cultura’ rock, metal e in generale della musica estrema è il tratto che l’ha sempre caratterizzata, del resto, fin dai tempi in cui Devin Townsend stesso dichiarava nelle sue interviste di aver prodotto i loro lavori “perché mi hanno pagato in contanti!”, ed era ovvio che tale sarebbe stato il punto di forza anche del loro show, che senza dubbio ha coinvolto il pubblico in maniera pressoché totale. Valagao si dimostra dunque un cantante eccezionale, nonché un cabarettista nato! I primi tre quarti d’ora del concerto passano quindi così, tra questa specie di really-heavy-thrash metal, a volte un po’ rock ‘n roll e altre un po’ industrial, tra pezzi tratti sia dal primo, tagliente lavoro “Bound By Fire”, sia dall’altro “Legion Of Flames” – “Gospel Sodomy Boy On Blow” “This Is Metal!”, “Re-Ananconda”, “That’s How Drunks Drink” (durante la quale Valagao distribuisce birra a tutte le prime file e invitando a bere ad ogni “Drink!” del ritornello!), “The Death Of The Resurrection Of The Death Of Metal”, tra le altre, si abbattono una dopo l’altra su un pubblico che già è in delirio, trascinato dalla goliardica violenza di Valagao e compagni, che a un certo punto prendono anche a scimmiottare i Manowar chiedendo che dal pubblico salga sul palco qualcuno con un “Manowar haircut”, pena l’interruzione dello show… così, tra un pogo micidiale e risate convulse, termina la setlist di questi pazzoidi a piede libero che naturalmente dimostrano di essere musicisti che sanno il fatto proprio e, soprattutto, di divertirsi e di saper divertire anche il pubblico inizialmente più titubante.
DEVIN TOWNSEND
Ma il pubblico è ormai ben pronto ad accogliere degnamente lui, il biondo e geniale canadese che da poco ha sfornato la sua ultima creatura, il recentissimo “Accelerated Evolution”. Accompagnato dalla formazione da lui stesso scelta per l’esecuzione delle sue creazioni personali – composta per intero da musicisti assai giovani – Devin arriva sul palco salutando l’Italia (e ringraziando il suo popolo di esistere soprattutto per il suo ‘fantastico cibo’), e senz’altro indugio parte l’intro di “Terria”… le luci si abbassano, e lo show vero e proprio inizia: “Just close your eyes and listen to the music…”, dirà Devin un attimo prima di iniziare a suonare il riff di “Seventh Wave” – ed è l’esplosione! Dietro di me il pubblico esplode in un canto incredibile… nessuno si agita, nessuno salta… alle mie spalle ci sono solo ragazzi che cantano con tutta la voce che hanno in gola (alcuni addirittura commossi), una meraviglia! Townsend questa sera è piuttosto in forma (peccato per i suoni non proprio eccezionali) e regala al pubblico una buona prestazione, in particolar modo con la dolcissima “Storm” (dal nuovo album) e la stupenda “Earth Day”, canzone lunga come un’era, durante la quale tutto il pubblico diventa nient’altro che una sola, enorme onda, fino alla fine del pezzo, terminato nel più assoluto silenzio. Ma, di nuovo le luci basse, ecco che dopo poco Devin si fa di nuovo avanti, annunciando una piccola sorpresa: invece della prevista “Deadhead”, parte addirittura quella pietra miliare che è “Life” (da “Ocean Machine”), e giù via, un’altra ondata di cori… piccolo, il New Age, ma in quel momento è sembrato uno stadio, anche quando subito dopo si sono alzate alte nel cielo le grida di “Regulator”. A questo punto, poi, la band abbandona il palco per lasciare solo il frontman a suonare “Away”, un lungo strumentale (presente sull’ultimo disco) dal sound che certamente rende omaggio a Steve Vai, durante il quale tutto il pubblico, infine, davvero finisce con il chiudere gli occhi e ascoltare… Il concerto della Devin Townsend Band si è a questo punto avviato al termine, con il ritorno della band sul palco per la conclusiva “Deep” dopo la quale, con un sorriso che lascia presagire qualcosa di gustoso in arrivo, Townsend annuncia un “very special time, with a VERY special guest! Now here it is, the only, true heavy-metal-devil!”, inchinandosi davanti a Chris Valagao, sopraggiunto ancora in tenuta diabolico-medioevale a baciare il cranio di Devin (tra le risate generali) che intanto aiuta il pubblico ad indovinare quale sia la sorpresa in arrivo urlando: “This is boogie-woogie, guys, now it’s time to daaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaance!”… e giù via, per la vera bomba ad orologeria dello show: “Bad Devil”! A questo punto tutto il New Age è completamente in visibilio…. c’è chi balla, chi canta, chi semplicemente se la ride guardando Townsend e Valagao divertirsi e insultarsi ballando e cantando a loro volta sul palco e la DTB, così, conclude il suo show davvero alla grande, nel delirio più completo!
STRAPPING YOUNG LAD
Ritiratasi la band, a questo punto, arriva un quarto d’ora di pausa prima del massacro finale. Senza che nemmeno si spengano le luci, d’un tratto arriva sul palco una sagoma enorme con il volto coperto di capelli, tra i quali si intravede soltanto un inconfondibile pizzetto caprino: inutile fare congetture, è Gene Hoglan in persona, montato dietro la batteria con il pubblico di nuovo già in delirio (e già molto meno calmo di prima), che in quel momento si accalca verso il palco. L’aria si fa elettrica, gli altri componenti del gruppo arrivano uno dopo l’altro in pompa magna ad imbracciare gli strumenti – Byron, Jed e infine il biondo capobanda mentre insieme a loro, intanto, la security del New Age forma la canonica barriera umana davanti alle transenne lasciando presagire il peggio. E del resto come avrebbe potuto non scatenarsi il più violento caos, una volta partita nel buio “Home Neuclonics”? Da qui in avanti il concerto si tramuta in una vera e propria carneficina sonora: quindici pezzi, senza un attimo di respiro, e non uno che faccia da pausa, nemmeno psicologica. In ordine sparso, direttamente sui denti degli astanti piovono, oltre al pezzo già citato, “Last Minute”, “S.Y.L.” (altro momento-stadio), “Dire”, “Death”, “Aftermath”, “Oh My Fucking God” (spettacolare!), “Rape Song”, “Devour”, “Dirt Pride”, “Relentless” e “In The Rainy Season”. I pezzi del nuovo album, per quanto talvolta non particolarmente entusiasmanti in studio, dal vivo dimostrano comunque di avere una notevole forza d’impatto, merito certamente anche dei cinque esecutori che non perdono mai nemmeno un colpo, e di una cura per i suoni la cui riuscita è senza alcun dubbio migliore di quella del set che l’ha preceduta. Arrivati a questo punto viene annunciato l’ultimo pezzo dello show che, nell’entusiasmo generale, si rivela essere la violentissima “Detox”, per chi scrive senza dubbio la più viscerale e stupenda canzone firmata Strapping Young Lad: ormai davvero non c’è più spazio per altro che non sia grida, urla, canto… nulla, null’altro! A fine canzone il pubblico è stremato, sordo, intontito, eppure a gran voce ancora ha la forza di reclamare un bis! Dopo il rituale, breve ritiro della band nel backstage, tutti i componenti di tutte e tre le band salgono sul palco a festeggiare il compleanno di Ryan van Poederooyen (batterista della DT Band) e, amenità goliardiche varie a parte, finalmente gli Strapping tornano a prendere gli strumenti per la vera chiusura dello show, con “Velvet Kevorkian” e “All Hail The New Flesh”, come di rito suonate una dietro l’altra. Inutile ribadire le grida, i canti, e la perfezione della prestazione di Gene Hoglan che qui finisce con l’incarnare la forza di un vero e proprio terremoto, specie in questi ultimi tre pezzi in cui si concentrano, come in un buco nero, tutte le energie e l’intensità, anche lirica, di questa band nata nel 1995 dalle grida nel buio di questo geniale ragazzo canadese che, soltanto pochi anni dopo, avrebbe deragliato definitivamente – corpo e anima – da ogni strada musicale possibile.Così si è concluso questo spettacolare concerto che credo avrà pienamente soddisfatto i fan di antica data (come chi scrive) di Townsend e soci, ma che pure avrà lasciato dietro di sé il dubbio sulla necessità di tre date in luoghi così vicini tra loro che hanno quasi completamente escluso anche il centro della nostra penisola dalla possibiltà di assistervi, influendo pesantemente sulla scarsa affluenza di pubblico – in larga parte causata proprio da tale strategia organizzativa.Ma al di là di questo, e in parole povere: una meraviglia. Questo show è stato una assoluta meraviglia.Le parole più adatte a riassumerlo, forse, sono state quelle che mi sono venute alla mente durante il rientro a casa, subito dopo il concerto : “Terribile. Un concerto spettacolare e terribile. Mi sono divertita da morire. Quell’uomo è pazzo”.