26/11/2005 - Stratovarius + Hammerfall + Shakra @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 02/12/2005 da

A cura di Carlo Paleari

La calata italica del Monster Metal MadnessTour, che vedeva a confronto Hammerfall e Stratovarius, era unappuntamento ghiotto per tutti gli appassionati del revival powermetal: oltre all’interesse intrinseco suscitato da due nomi di spiccodella scena metal, era molto alta la curiosità di testare dal vivo lostato di salute dei riformati Stratovarius, dopo la tempesta scoppiataa causa dei problemi di Timo Tolkki. Non stupisce, quindi, l’altonumero di persone che si riversa nell’Alcatraz, in attesa di vederel’esibizione delle due band. Prima di entrare nel dettaglio dellaperformance, vorremmo scusarci con gli Shakra dato che, a causadell’immancabile traffico milanese e di una coda consistenteall’ingresso, riusciamo a varcare la soglia della discoteca meneghinaquando già lo show degli svizzeri sta volgendo al termine. Dal poco chesiamo riusciti a sentire, giusto un paio di brani, il gruppo ci èsembrato in ottima forma ed ha dato vita ad uno show a base di hardrock robusto e sanguigno che non ha deluso i presenti. Speriamo dipoterli rivedere al più presto.

HAMMERFALL

Alle 20.20 il telone che nasconde il palco alla vista si apre, perlasciare spazio alla band svedese, forte del loro nuovo lavoro “ChapterV: Unbent, Unbowed, Unbroken”. Questi ragazzi ne hanno fatta di stradada quando il sottoscritto li vide per la prima volta, nel 1997,all’uscita di “Glory To The Brave”, nel tour di spalla ai Gamma Ray. Lascenografia rende subito chiaro il fatto che gli Hammerfall in questotour non vanno considerati assolutamente come supporto, ma come veri epropri co-headliner della serata: seguendo la grafica del loro ultimoCD, il palco viene studiato in modo da riproporre una sorta dipaesaggio montano innevato, con un’immagine paesaggistica sullo sfondopiù vari pinnacoli di finte rocce, sui cui la band si arrampicherà piùvolte, dal quale partono alti getti di fumo. L’inizio dello show èaffidato proprio al brano di apertura del nuovo album, “Secrets”, chescatena subito i presenti, mostrando l’alto livello di gradimentoraggiunto dalla band, che, da parte sua, ci mette grinta e potenza. Sicontinua subito con “Riders Of The Storm”, dal precedente “CrimsonThunder”, e “Renagade”, brani che, però, mostrano una band non proprioeccelsa dal punto di vista esecutivo: Joacim Cans, in particolare, nonsembra molto in forma a livello vocale tanto da essere costretto adabbassare alcune parti e, in qualche occasione, a steccareclamorosamente. L’accoppiata seguente porta il nome della band: laprima, “Let The Hammer Fall”, segna uno dei momenti più riusciti delloshow, con la band a dare spazio al pubblico in una classicissima garatra il lato destro e quello sinistro del pubblico, a suon di coriepici; mentre la seconda, “Hammerfall”, è un tuffo nel passato, fino aitempi del debut album, il migliore del gruppo. Nel set degli Hammerfalltrova spazio anche un terremotante assolo di batteria di AndersJohansson, vero e proprio motore del gruppo, che, oltre a dimostrare lasua perizia tecnica, riesce anche a divertire accennando con la suabatteria “Run To The Hills” degli Iron Maiden e “Breaking The Law” deiJudas Priest. Si continua, poi, tra alti e bassi, con la nuova “Fury OfThe Wild”, sempre dall’ultimo album, seguita a ruota da “A LegendReborn” che, come ci tiene a precisare lo stesso Cans, è un nuovoingresso nella scaletta del tour. Il vero delirio, però, scatta solocon il pezzo successivo: al cantante svedese, infatti, basta soloaccennare il ritornello di “Heeding The Call” perché tutto l’Alcatrazesploda in un coro compatto per tutta la durata della velocissima hitdi “Legacy Of Kings”. Immancabile, ovviamente, per una band come gliHammerfall, il discorso pro-metal, in cui Cans si scaglia contro coloroche danno per spacciato l’heavy metal, dato che tutti i presenti sonola prova che il metal è ancora vivo e vegeto. Le luci si spengono dopol’esecuzione di “Blood Bound” e, in attesa dei bis, il pubblico vienedeliziato da un vero e proprio gioiello del kitsch: sul palco, infatti,inizia a calare un enorme martello da guerra che, lentamente, vienerivolto verso i presenti, inondandoli della luce dei fari in essocontenuti. Uno di quei momenti che, per citare la celebre pubblicità diuna carta di credito, ‘non ha prezzo’. Da vedere.
Arriviamo dunque alla chiusura, affidata a “Templars Of Steel” e,soprattutto, alla potente “Hearts On Fire”, cantata a squarciagola datutto il pubblico, a suggellare un concerto che, pur non essendo esenteda difetti, è riuscito ad entusiasmare il pubblico milanese.
 

STRATOVARIUS

Alle 21.50, invece, è la volta degli Stratovarius, che irrompono nellascena con una potente versione di “Hunting High & Low”. Il palcorichiama ancora l’artwork di “Elements”, con la donna di acqua e fuocoa svettare su un telone sul fondo, mentre ai lati due megaschermiproiettano immagini e filmati. La band sembra in ottima forma e spazzavia i timori di aver a che fare con dei musicisti svogliati e indeclino, come viene ampiamente dimostrato dalla velocissima “Speed OfLight”. Si nota subito, infatti, che gli Stratovarius hanno volutoaccelerare ulteriormente tutti i brani, trasformandoli in bolidilanciati contro le orecchie dei presenti, il tutto con risultatidavvero apprezzabili: Jorg Michael, per esempio, appare nel suoelemento naturale, sfoderando una performance compatta e aggressiva;Timo Tolkki e Jens Johansson si sfidano in un duello continuo di notevorticose e il nuovo arrivato, Lauri Porra, con il suo stile più sporcoe distorto, ha dato alla band quel tiro che invece mancava al preciso epulito Kainulainen. Lo show continua con “The Kiss Of Judas” e“S.O.S.”, due singoli che mostrano il lato più catchty del gruppo, cheperò vengono un po’ penalizzati dalla scelta di cui si parlava: lavelocità aumentata, infatti, fa perdere un po’ di groove (ok, parlaredi groove negli Stratovarius è eccessivo…) all’esecuzione. Si passaal primo estratto dall’ultimo album, “Maniac Dance”, che riesce aconvincere, pur senza far gridare al miracolo; seguito, poi, dallalunga “Destiny”, anch’essa lanciata come un fulmine, finoall’atmosferico break strumentale. Si torna ancora una volta alfortunato “Visions”, con l’esecuzione della potente “Legions”, cantatain maniera impeccabile dal sempre preciso Timo Kotipelto, accompagnatoda un pubblico visibilmente coinvolto e carico. Man mano che lo showprocede, sembra sempre più chiaro come gli Stratovarius voglianoarchiviare il brutto periodo passato, dato che il materiale proposto siconcentra soprattutto sui lavori precedenti ai due “Elements”, chevengono quasi ignorati per tutto il concerto (per fortuna). Arriva ilmomento di frenare un po’ e di raffreddare l’atmosfera, così ifinlandesi ci propongono prima un assolo di basso ad opera di LauriPorra, che però risulta alla lunga un po’ troppo prolisso e rumoristaper essere coinvolgente, sebbene non sia mancato un momentoassolutamente impagabile, quando il bassista, alzando una lattina dibirra, ha gridato “TUTTO PIRRA MIOOO!!!”; e poi una inaspettata (almenoper il sottoscritto) “Coming Home”, ballad sentita e trascinante cheriscuote un meritato applauso. È tempo di fare un passo indietro neltempo, andando a rispolverare “Fourth Dimension”, il primo album adavere Timo Kotipelto alla voce, da cui viene tratta l’ottima “TwilightSymphony”, a parere di chi scrive una delle vette compositive delquintetto. L’esecuzione è, ancora un volta, impeccabile, con Tolkki eJohansson a sostituire l’intermezzo di archi. A questo punto è doverosospendere qualche parola proprio sul chitarrista: osservandolo ci èparso molto concentrato, quasi corrucciato, restando quasi sempre indisparte rispetto al resto della band. Tutto ciò ha lasciato, nelsottoscritto, l’impressione che la band, ancora traballante dopo ilduro colpo, si stia muovendo con attenzione, mantenendo ancora ledistanze di sicurezza, in modo da non calpestarsi i piedi a vicenda.
Si continua con “United”, durante la quale compaiono sugli schermidelle frasi relative agli orrori delle guerre e al fatto che ‘la chiavedell’universo è l’amore’ (sic). Il pezzo, davvero noioso, segna ilpunto più basso dello show, a dimostrare il fatto che, se dal vivo laband sembra essersi ripresa, a livello compositivo la situazione ètutt’altro che rosea. Degna conclusione viene lasciata a “Father Time”,ormai un classico, che riporta lo show su livelli ottimi, prima dellospegnersi delle luci che porterà ai bis finali. Rientrano sul palco isoli Kotipelto, Johansson, e Tolkki, quest’ultimo armato di chitarraacustica: dopo un breve accenno al “Inno Alla Gioia”, il cantanteannuncia che, dato che il pubblico continuava a richiederla, avrebberoimprovvisato, così su due piedi, “Paradise”. Il risultato è statotutt’altro che eccelso, dato che sembrava la classica versione da falò,suonata alla bell’e meglio, ma quantomeno apprezziamo il piccolo regaloconcesso ai fan italiani. Tutt’altra storia, invece, con “Forever”,ballad delicata e toccante che avvolge tutti presenti. Come di consuetoKotipelto lascia ampio spazio al pubblico, che canta con trasporto ogniparola del brano. La chiusura definitiva è affidata a “Eagleheart”,unico estratto dai due “Elements”, e soprattutto a “Black Diamond”,anch’essa ormai uno dei marchi di fabbrica degli Stratovarius.
Alla band non resta altro che salutare il caldo e numeroso pubblicoitaliano e congedarsi, dopo aver dimostrato di essere ancora capaci dishow coinvolgenti e potenti. Bentornati, dunque! Ora speriamo che laband riesca anche a risollevarsi con il prossimo album in studio…

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