Report di Giacomo Slongo
Il ritorno nel capoluogo meneghino dei Suffocation coincide con un sold-out che sa di piccolo trionfo, lanciando ottimi segnali sull’interesse del pubblico verso un certo tipo di sonorità estreme e sul ricambio generazionale in atto anche (finalmente!) nella nostra Penisola.
Una platea composta per un’ampia fetta da giovanissimi si è infatti preoccupata di riempire la sala e l’area verde del Legend fin dall’apertura porte in orario aperitivo, invogliata sicuramente dal fatto che la data cadeva di sabato sera, ma venendo giustificata appieno solo da una passione rinnovata e autentica – a livello di scena, se ci è permesso scomodare questo termine – per il death metal.
Certo, la mossa degli headliner di chiamare come supporto almeno un paio di realtà ‘trendy’ – per quanto diversissime fra loro da un punto di vista stilistico – è un altro fattore di cui tenere conto, ma lungi da noi criticare questa scelta, visti i risultati; più di molti altri colleghi/veterani, Terrence Hobbs e compagni si dimostrano decisamente accorti e ‘sul pezzo’, capendo l’importanza di intercettare un’audience diversa, magari avvicinatasi al genere per vie traverse (Lorna Shore?), per non smettere di essere rilevanti. E garantendo così alla propria carriera un futuro più duraturo.
Riflessioni a parte, lasciamo spazio alla musica e vediamo meglio com’è andata lo scorso 3 febbraio…
Alle 19.00 in punto, ecco quindi salire sul palco gli ORGANECTOMY, formazione neozelandese che negli ultimi anni si è data un gran da fare per diffondere il proprio suono radicato nella tradizione death metal/death-core più moderna e in quella slam, con visite abbastanza puntuali sia nel Vecchio che nel Nuovo Continente.
Come chiarito presto dal frontman, i ragazzi di Christchurch sono stati costretti a partire per questa tranche di date con una chitarra in meno, e questo giocoforza finisce per assottigliarne un po’ lo spessore delle trame, ma – anche tenendo conto dell’handicap – gli autori del buon “Nail Below Nail” (2022) e del recente singolo “Tracheal Hanging” non faticano a portare a casa il risultato, rendendosi protagonisti di una performance solida e sufficientemente pimpante.
Del resto, rispetto a molti altri epigoni di Abominable Putridity, Devourment e Ingested, i Nostri possono contare su una scrittura un filo più vivace e strutturata nella quale i breakdown non rappresentano sempre il fulcro del discorso, e l’insieme – per quanto ‘fedele alla linea’ – ha dalla sua qualche freccia per colpire anche chi non stravede per il sottogenere, nella forma di riff briosi e pattern di batteria dinamici. Un buon avvio, che non a caso finisce per innescare i primi circle pit della serata.
Partiamo da un assunto: l’hype che circonda i SANGUISUGABOGG fin dalla pubblicazione dell’esordio “Tortured Whole” non può dirsi proporzionale al valore effettivo della loro proposta, ma bisogna comunque dare atto alla band americana di stare cercando di migliorarsi sul piano del songwriting (“Homicidal Ecstasy” dello scorso anno ne è la prova) e, soprattutto, di seguire un’etica live encomiabile, con tour pressoché ininterrotti sia da headliner che a supporto di istituzioni del calibro di Cattle Decapitation, Terror e – appunto – Suffocation.
In tanti si sono recati al Legend (anche) per loro, e a fronte di simili attese possiamo dire che i quattro dell’Ohio, capitanati dai bicipiti parossistici del frontman Devin Swank, non abbiano deluso le aspettative di chi da giorni fremeva per ricevere una lezione di pura ignoranza.
Partendo dal death/grind dei Mortician e sconfinando a più riprese nel beatdown hardcore, con riff e ritmiche a dir poco ‘stradaiole’ e percussive, pensate apposta per scatenare macelli in contesti come questo, la setlist prende una piega via via sempre più barbara e violenta, riuscendo tuttavia a caratterizzarsi quel tanto che basta da non annoiare.
Certo, il livello di presa degli amici Kruelty (maestri di un certo modo di fondere istanze hardcore e death metal) non viene mai raggiunto, ma si vede che Nostri sanno come stare sul palco e trascinare il proprio pubblico, con le varie “Face Ripped Off”, “Mortal Admonishment” e “Necrosexual Deviant” a restituirne perfettamente la visione musicale tinta di eccessi e depravazione. In fondo, oltre ai meme con cui inondano le pagine social, qui c’è anche della sostanza.
Avevamo salutato (senza troppi rimpianti) gli ENTERPRISE EARTH nel maggio 2022, quando la death-core band statunitense si era esibita di spalla ai Fit For An Autopsy, e bastano poche battute della performance odierna per ricordarci i motivi del nostro scetticismo nei loro confronti. Con gli autori del freschissimo di stampa “Death: An Anthology” entriamo infatti nei territori più moderni, laccati e bombastici del sottogenere, ai quali il quartetto si presta con il piglio di chi è più che altro interessato a cavalcare il trend del momento, senza chissà quale personalità o visione artistica.
Avevamo assistito al ‘boom’ di formazioni simili anche all’epoca dei primi lavori di Whitechapel e Suicide Silence, e il discorso – in sostanza – si sta ripetendo oggi avendo però come metro di paragone Shadow of Intent e Lorna Shore, in un avvicendarsi di gruppi minori dalla carriera tanto intensa quanto estemporanea. Travis Worland e compagni non vanno visti come un’eccezione alla regola e, nonostante una tecnica e una sicurezza temprate da centinaia di date live, ci fanno alzare nuovamente il sopracciglio in virtù di un suono dall’animo asettico e dallo sviluppo prevedibile, in cui sfoggi di cattiveria innocui e ricerche melodiche disastrose (sentire le voci pulite che qua e là fanno capolino) ci spingono continuamente a guardare l’ora sul telefono.
Il death-core, ça va sans dire, può essere interpretato con gusto e ingegno, ma quello che gli Enterprise Earth offrono è ben lontano dall’essere accattivante o dall’incontrare la nostra sensibilità, sebbene ci rendiamo conto di come buona parte del pubblico accorso questa sera sia dalla parte dei giovani musicisti.
Archiviata la parentesi dei supporti, è finalmente ora di volare nella brutale New York anni Novanta dei SUFFOCATION.
Uno scenario familiare, visitato più volte, eppure lungi dallo stancarci o dal suscitarci emozioni meno intense rispetto alle volte precedenti, complice una band che – nonostante cambi di line-up anche molto importanti – non smette di dare il 100% sul palco e di manifestare il proprio attaccamento verso questa musica, ricordando il codice di altri veterani a stelle e strisce come Cannibal Corpse, Immolation e Incantation (un po’ meno quello di Deicide o Massacre, volendo fare qualche altro nome).
Foriero di diverse novità, tra cui ovviamente il battesimo in studio per l’ugola di Ricky Myers (Disgorge, Sarcolytic), l’ultimo “Hymns From The Apocrypha” è fuori da tre mesi esatti, ma sembra che in quel di Milano i Suffocation non ci si vogliano soffermare più del dovuto, aprendo con “Seraphim Enslavement”, suonandone un altro paio di episodi nel corso della setlist e, per il resto del tempo, preferendo celebrare i classici che hanno contribuito a scriverne il moniker sulle pagine di Storia del death metal.
“Thrones of Blood”, “Breeding the Spawn”, “Funeral Inception”, “Effigy of the Forgotten”, “Catatonia”… una carrellata di pietre miliari che, via via che passano i minuti, mozza sempre più il fiato, e che ribadisce sia la solidità del quintetto, pressoché impeccabile dal punto di vista esecutivo, sia l’efficacia di una proposta ancor oggi imbattuta in termini di violenza e autorevolezza.
E che dire di Myers? Il Nostro non sarà mai Frank Mullen, ma sfidiamo chiunque a non definirlo il miglior sostituto che Hobbs (immortale mastermind della formazione, da sempre dietro alla sei corde) potesse trovare per rimpiazzarlo, dimostrando oltretutto grande umiltà nel ricoprire il ruolo di frontman in una realtà tanto importante.
Dopo un’ora abbondante di concerto, con l’ottima “Bind Torture Kill” dal disco omonimo del 2006 scelta come encore, i Suffocation si ritirano lasciando chiunque all’interno del Legend contento e stremato, a riprova di come per gente come loro, anche nel 2024, il detto “leaders not followers” non smetta di essere valido. Una degna chiusura per una grande serata.