Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Marco Gallarati ed Emilio Cortese
con l’imbucata collaborazione di Francesco Maggioni
Foto di Enrico Dal Boni ed Emanuela Giurano
Si ringrazia Summer Breeze Open Air
Ed eccoci, per la nona volta consecutiva – quinta, se si contano solo le edizioni del festival svoltesi nei pressi di Dinkelsbuhl, paesotto medievale sito lungo la Romantische Strasse – pronti a raccontarvi le vicissitudini del Summer Breeze Open Air, happening germanico che continua imperterrito nella sua graduale crescita, ma che allo stesso tempo resta ancora del tutto vivibile e relativamente tranquillo, soprattutto se posto a confronto dell’immane magma metallico di birra, musica e persone del Wacken Open Air, guarda caso lasciato appena dieci giorni addietro. Quest’anno orfana del frequentatore di lunghissima data Luca Pessina, la vostra Redazione preferita è convenuta nella camping area da più parti, chi partendo da Milano, chi arrivando da Padova e chi caracollando distrutto in camper direttamente dal Brutal Assault ceco…
Non molto è cambiato nella logistica dell’evento, sebbene anche il 2010 – che ha visto il raggiungimento della tredicesima edizione complessiva – abbia portato con sé un ampliamento dell’area campeggio e un lieve aumento dei punti di ristoro, così come qualche aggiunta alle bancarelle della zona merchandise, fra le quali ci preme segnalare le presenze delle nostrane Punishment 18 Records e Kolony Records, quest’ultima una new entry. Per quanto riguarda i palchi, invece, oltre ai contigui Main e Pain Stage – con il Pain, al solito, di dimensioni leggermente minori rispetto al Main – e al Party Stage, tendone polveroso e puzzolente, quest’anno c’è stata la novità del quasi amatoriale Camel Stage, piccolo, poco frequentato e a dire il vero piuttosto by-passabile, in quanto ha visto esibirsi solamente gruppi minori (i The Very End hanno meritato un’occhiatina, poi nient’altro) durante i venti minuti utili ad effettuare i cambi-palco nella Tenda.
Infine – ma di certo quest’anno è stata la vera prova di forza del Summer Breeze – veniamo al bill, semplicemente eccezionale!! Il 2010 è stata un’ottima annata per i fan di death metal e hardcore, generi i cui esponenti hanno presenziato in larga parte, mentre un po’ in ribasso – finalmente – la presenza di gruppi dediti al folk-fintometal, esorbitanti in passato. Poche band classiche, e questo può piacere molto o per niente, ma per il resto dei sottogeneri metal bisogna ammettere che l’equilibrio del bill è stato praticamente perfetto: formazioni storiche, giovani realtà, cult-bands, gruppi affermati, concerti per pubblico di nicchia…c’è stato davvero di tutto un po’! E’ andata anche bene che non ci siano state sovrapposizioni troppo assurde di eventi interessanti e, nonostante ascoltare e vivere gli spettacoli di un festival pregno di musica come il Summer Breeze, dall’ora del brunch fino alle 4 di notte, sia una sfaticata abnorme, dobbiamo dirvi che i vostri Inviati si sono divertiti un mondo e avrebbero potuto andare avanti anche per un altro paio di giorni!
Non resta altro da fare che lasciarvi alla (lunga) lettura dei nostri trafiletti dedicati agli show, ricordandovi che non tutto è potuto transitare dai nostri occhi. Siamo quasi certi, però, di aver seguito tutto ciò che di interessante è salito sui palchi del Summer Breeze 2010…e se proprio non trovate la vostra band preferita, date pure un’occhiata alle Pillole finali, dove vi proponiamo tutti i photosets realizzati e brevi impressioni su alcune delle formazioni viste di sfuggita…
Avanti, forza e coraggio!
SUFFOCATION
Dopo le sei band in programma per il concorso New Blood Award – la cui vincitrice rivedremo l’indomani occupata ad aprire la giornata – i Suicidal Angels a dare il calcio d’inizio ufficiale al prologo del Summer Breeze 2010 e la prima coppia di birre trangugiata, ci tocca subito alzare i fondelli per andare a vedere gli storici Suffocation, prima formazione di un certo spessore ad esibirsi in questa tredicesima edizione della Brezza d’Estate. Alle 21.05 di sera e con un solo palco attivo, è chiaro come intrufolarsi nel Party Stage sia stata una vera impresa: gente stipata all’inverosimile all’interno della cupa struttura, in buona parte già su di giri ed al 100% in clima festival, alcune decine costrette ad allungare il collo per vedere lo spettacolo da appena fuori il tendone… Insomma, pane per i denti dei Suffocation, che assaltano l’audience come pochi altri sanno fare con “Thrones Of Blood” e “Liege Of Inveracity”, per la gioia dei fan della manina-blastbeat di Frank Mullen, ovviamente messa in moto dopo appena mezza nota. Il bordello, man mano che prosegue il concerto, aumenta con costanza e si creano discrete sacche di pogo non solo nella zona moshpit, ma anche parecchio più indietro. La band americana ha tre quarti d’ora a disposizione e li utilizza in pieno per far collassare in partenza il tendone, tra una “Pierced From Within”, una “Entrails Of You” e il finale devastante affidato a “Infecting The Crypts”. Suoni abbastanza confusi hanno un po’ limitato i Suffocation, ma supponiamo in pochi ci abbiano fatto caso…
(Marco Gallarati)
SETLIST
Thrones Of Blood
Liege Of Inveracity
Cataclysmic Purification
Catatonia
Pierced From Within
Blood Oath
Entrails Of You
Infecting The Crypts
UNLEASHED
Saltiamo i Rage, anche per evitare un’altra ora pigiati come sardine, e dopo aver intrattenuto una molesta germanica per fin troppo tempo, ci concediamo la seconda tornata di Unleashed nel giro di dieci giorni: visti in pieno solleone a Wacken, gli svedesoni di Johnny Edlund, al buio e in un ambiente più underground, sfoderano una prestazione ancora più efficace di quella di pochi giorni fa, durante la quale peraltro già ci avevano piuttosto sollazzato. I suoni sono pulitissimi e nitidi, il tiro della band è micidiale, vera macchina da guerra ormai rodatissima: ovviamente la scaletta ricalca quella di Wacken e anche le presentazioni dei brani non si differenziano molto, compresa la dedica di “Shadows In The Deep” alle dipartite di Peter Steele e Ronnie James Dio. Il pubblico tedesco partecipa in massa allo show degli Unleashed, che oltre ad avere un suono personale ed estremo, sanno anche scrivere brani che portano facilmente al volerli cantare, come hanno dimostrato le grandi esecuzioni di “This Is Our World Now”, “Hammer Battalion” e, chiaramente, “Death Metal Victory”, proposta dopo che la band ha finto di chiudere il concerto con “The Longships Are Coming” e abbandonato il palco. Di solito i festival non prevedono bis di alcuna sorta, se non per i gruppi headliners, ma forse in questo caso è stata semplicemente una burlata del buon vecchio Johnny… Ancora una volta grandi!
(Marco Gallarati)
SETLIST
Winterland
Blood Of Lies
This Is Our World Now
Shadows In The Deep
Hammer Battalion
The Greatest Of All Lies
Your Children Will Burn
Wir Kapitulieren Niemals
Into Glory Ride
Legal Rapes
The Longships Are Coming
Death Metal Victory
MILKING THE GOATMACHINE
Sono le 3.20 di notte, la gente ancora sobria comincia a barcollare, quella sbronza è già collassata…ma i veri ubriachi, a questo giro, li troviamo sul palco, nelle persone dei Milking The Goatmachine, un branco di caproni completamente fusi di testa, che si stanno costruendo un simpatico successo grazie alla trovata del mascherarsi da capre (appunto!) on stage e non solo. Oltre a ciò ed alla serie senza fine di titoli di loro canzoni aventi come protagonista l’inossidabile ‘goat’, i ragazzi tedeschi lasciano tanto spazio alla goliardia ed al divertimento, portando sul palco stelle filanti e coriandoli, buffe armi gonfiabili ed un trampolino elastico…tutto all’insegna del prendersi poco sul serio, insomma. Musicalmente parlando, i MTG non offrono poi chissà che cosa, ma il loro death-core brutale venato di grind e demenza si lascia tranquillamente ascoltare e opera bene la sua funzione, ovvero quella di far muovere il moshpit e far divertire tutti. In una quarantina di minuti, i Milking The Goatmachine hanno sciorinato una quindicina di pezzi, mandando a dormire i pochi (ma comunque tanti) rimasti fino a tarda notte con un bel sorriso stampato in faccia. Un gruppo che sa bene quello che vuole fare. E lo fa bene!
(Marco Gallarati)
SETLIST
March Into Shed
Born, Lost, Captured
Eaten Blessed Scum
Sour Milk Boogie
Goat Thrower
Wasting Away
Here Comes Uncle Wolf
Beware Of The Wolf
Milk Me Up Before I Go Go
Last Unigoat
Surf Goataragua
Feed The Goat
Bingo Bongo
Back From The Goats
BARREN EARTH
Giovedì mattina, primo giorno di Summer Breeze: la solita capatina in paese per la colazione è saltata causa iper-affollamento alla fermata della navetta per Dinkelsbuhl, ma i vostri baldi Inviati hanno comunque saputo come sopperire alla grande e si tengono il segreto per loro in vista dell’anno prossimo! Appreso che sono i Bleeding Red ad avere vinto il New Blood Award e quindi a poter suonare per primi sul Pain Stage, ci posizioniamo invece fra le prime file del Main Stage in curiosa attesa dei Barren Earth, superband finlandese che ha ottimamente impressionato con “Our Twilight” prima e “Curse Of The Red River” poi, rispettivamente EP e full d’esordio. La formazione finnica, stilisticamente ancora un po’ troppo simile ai suoi cuginetti Amorphis, offre un discreto spettacolo e propone un set coinvolgente e ben equilibrato, sebbene alla sequela di brani manchi clamorosamente la stupenda “The Ritual Of Dawn”, davvero un delitto non suonarla! Ci pensano comunque “Forlorn Waves”, “Our Twilight” e le più complesse “Flicker” e “The Leer” a tenere alte le quotazioni dei Barren Earth, il cui appeal su palco è purtroppo frenato dall’atteggiamento di Mikko Kotamaki – vocalist dei Swallow The Sun – troppo freddo, impegnato a fumare sigarette una dopo l’altra e dal sentore svogliato e appositamente depresso. Insomma, se si atteggiasse un po’ di meno e si ricordasse di non stare cantando per il suo gruppo principale – decisamente più depressive dei Barren Earth – probabilmente ci saremmo goduti di più il concerto! Comunque sia, una performance positiva.
(Marco Gallarati)
NAPALM DEATH
Oh…ecco i Napalm Death! Siamo ancora sul Main Stage e la folla comincia a farsi sotto sul serio di fronte alla leggenda vivente di Birmingham. Ammettiamo di non avere molte parole rimasteci libere per descrivere lo show del quartetto inglese, come al solito bruciante, grezzo, rozzo e sparato a mille sugli astanti. Greenway, Embury, Harris e Herrera sono personaggi che chiedono rispetto al solo sentirli nominare ed il carisma gigante che i Napalm si portano dietro dalla loro nascita è sempre ben presente e tangibile una volta che la band pone piede sulle assi del palco. Il nichilismo sonoro e concettuale che i ragazzi (?!?) sanno ancora esprimere con genuinità ed incredibile scioltezza è davanti a tutti i presenti e le piccole chiose di Mark ‘Barney’ Greenway sono sempre puntuali ed argute, ovviamente politicamente schierate. La setlist viene sputata sulla platea senza ritegno e, passando per “Unchallenged Hate”, “Suffer The Children”, “Silence Is Deafening” e “On The Brink Of Extinction”, si arriva in un batter d’occhio al rapido susseguirsi dei vari “The Kill”, “Deceiver” e soprattutto “You Suffer” che, se da una parte fanno impazzire i fan che ben conoscono i grindmasters per eccellenza, dall’altra sono ancora in grado di disorientare completamente le audience più distratte, del tutto perse nel delirio e nel tempo zero dei brani. “Nazi Punks Fuck Off” in Germania va suonata per forza, per poi lasciare a “Siege Of Power” il compito di dare il colpo di grazia al Summer Breeze 2010. Cosa dire? Un altro pezzo di Storia che perdura nel tempo.
(Marco Gallarati)
SETLIST
Strong-Arm
Unchallenged Hate
Suffer The Children
Silence Is Deafening
Life And Limb
When All Is Said And Done
On The Brink Of Extinction
Scum + Life?
The Kill
Deceiver
You Suffer
Nazi Punks Fuck Off
Siege Of Power
AGNOSTIC FRONT
Il pomeriggio della prima giornata di concerti scorre via tranquillo, senza enormi particolarità da segnalare, se non il buon riscontro di pubblico avuto dai Parkway Drive e dai beniamini di casa Die Apokalyptischen Reiter. E’ però con il calare della sera che i concerti a cui assistere si fanno pressanti e ravvicinati. Si parte alle 19.35 sul Pain Stage con lo show degli Agnostic Front, uno dei grandi eventi hardcore di questa edizione del Summer Breeze: Roger Miret e compagni si dannano l’anima per far muovere un pit abbastanza scatenato ed in grado di gestire in autonomia le ripetute sessioni di circle-pits; suoni compressi e dai bassi pulsanti caratterizzano il concerto del Fronte Agnostico, una cinquantina di minuti di hardcore (metallizzato) old-school che fanno saltellare e pogare – alla vecchia maniera, come spesso richiesto da Miret – un po’ tutti i presenti nel pit. Il ricambio di gente avvenuto tra i DAR e i newyorchesi è stato sfavorevole a questi ultimi, come prevedibile, ma l’impatto di pezzi quali “For My Family”, “Peace”, “Dead To Me”, la vecchissima “Victim In Pain” oppure l’anthem “Gotta Go” ci ha fatto apprezzare in pieno l’operato degli Agnostic Front. E adesso non ci resta che aspettare, più o meno alla stessa ora fra due giorni, la risposta dei Sick Of It All, per il gran duello a distanza fra le due storiche compagini del New York hardcore style…
(Marco Gallarati)
SETLIST
The Eliminator
Dead To Me
Outraged
For My Family
Friend Or Foe
All Is Not Forgotten
Peace
Crucified
Victim In Pain
Warriors
Black And Blue
Gotta Go
Take Me Back
Outro
Addiction
INSOMNIUM
E’ quasi ora di cena quando i finlandesi Insomnium calcano il palco della Tenda, denominato Party Stage. Il fascino di un concerto di un gruppo del genere è sicuramente amplificato dall’effetto visivo delle luci blu e dall’atmosfera più intima, plumbea e non dispersiva che si riesce a creare in un luogo al chiuso come questo tendone. E’ così che ci godiamo pienamente lo show di questo notevolissimo quintetto, autore di un melodic death a tinte gotiche molto originale e piacevole. Le melodie chitarristiche, accompagnate egregiamente dal tappeto sonoro creato dalle tastiere, ci ipnotizzano sin dalle prime note di “Equivalence” e ci accompagnano per le prime quattro canzoni di questa esibizione, suonate nel medesimo ordine dell’ultima fatica in studio, “Across The Dark”. La scaletta poi riprende anche brani da “Above The Weeping World”, ignorando completamente i precedenti lavori. Peccato, qualche canzone da “Since The Day It All Came Down” l’avremmo sentita più che volentieri, ma abbiamo comunque assistito a un bel concerto e questo ci spingerà a tornare a vederli, qualora ce ne fosse l’occasione, in una performance più lunga.
(Emilio Cortese)
SWALLOW THE SUN
Un po’ lo stesso discorso degli Insomnium lo si potrebbe fare anche per gli Swallow The Sun: il gothic doom di questo combo finlandese si adatta decisamente all’atmosfera più intima che si riesce a creare sotto la tenda del Party Stage, che sarà anche piena di fango maleodorante ed avrà pure raggiunto un tasso di umidità tale da farci sentire all’Equatore, ma ha come pregio decisivo quello di essere al chiuso e di essere perfettamente adatta a concerti di questo tipo che, ad un festival normale, probabilmente non ci godremmo appieno. Logicamente gli Swallow The Sun decidono di dare ampio spazio ai brani estratti da “New Moon”, ultimo studio album della band, e dal vivo dobbiamo dire che i brani estratti (le prime tre più la title-track) ci sono risultati maggiormente evocativi che su disco. Mikko Kotamaki si presenta sul palco con tanto di maglia commemorativa in onore a Peter Steele, e ci regala poco più di quaranta minuti di musica di ottimo livello, trasportandoci in valli di suono decadente e raggiungendo il picco emotivo del concerto proprio sulle note di “Plague Of Butterflies”. Si conclude con “Swallow”, e veniamo lasciati in balia della notte con uno stato d’animo tra il confuso e l’annichilito. Applausi scroscianti.
(Emilio Cortese)
DARK TRANQUILLITY
Dopo il pesante headbanging degli Obituary, ci troviamo di fronte ad un bel dilemma: i classici Dark Tranquillity sul Pain Stage o i nuovi Triptykon di Tom Gabriel Fischer sul Party Stage? Qui facciamo decidere al cuore e siccome siamo curiosissimi di sentire quanto rendono dal vivo i brani di “We Are The Void”, optiamo per seguire la band svedese, vista tantissime altre volte ma ancora mai con alle spalle un disco molto bello ma di lenta assimilazione quale l’ultimo. Al posto del solito telone con il logo del gruppo, appeso al fondopalco c’è un grosso drappo quadrato utile alla proiezione di immagini richiamanti i vari periodi trascorsi dalla formazione di Mikael Stanne e Niklas Sundin. “At The Point Of Ignition” deflagra subito dopo l’intro e diciamo pure che non ci fa impazzire, con ancora tutti i suoni da aggiustare ed uno Stanne fin troppo aggraziato e sorridente nel suo personale frontman-style. Con “The Fatalist”, però, uno degli episodi migliori di “We Are The Void”, i Dark Tranquillity si tirano subito su, per poi piazzare la doppietta “Focus Shift”/”The Wonders At Your Feet” che conquista tutto il pubblico, anche quello all’oscuro di quanto combinato dagli scandinavi negli ultimi tempi. Poi arriva “Final Resistance”, presentata da uno strano ammonimento del rosso-crinito singer: “Potrebbe essere l’ultima volta che la suoniamo, quindi fate casino!”. E perché diavolo mai, che dal vivo è sempre una garanzia? “Therein”, “Lost To Apathy”, “Misery’s Crown”: si va sul sicuro e sul tranquillo, prima di tirar fuori dal cilindro l’inossidabile “Punish My Heaven”. Un po’ di sorpresa per la sentita esecuzione di “Iridium”, dal nuovo disco non ce l’aspettavamo; mentre assolutamente ottimo il riscontro ottenuto da “Dream Oblivion”, ennesimo futuro must dei concerti degli svedesi più amati d’Italia. “Terminus (Where Death Is Most Alive)” chiude a tutta birra una performance discreta – ammosciata un po’ solo dalle solite chitarre bassine di volume dei Dark Tranquillity – e che ci fa ben sperare per le esibizioni italiane in programma nella prima metà di ottobre, a cui di certo non mancheremo!
(Marco Gallarati)
SETLIST
At The Point Of Ignition
The Fatalist
Focus Shift
The Wonders At Your Feet
Final Resistance
Therein
Lost To Apathy
Misery’s Crown
Punish My Heaven
Iridium
Dream Oblivion
Terminus (Where Death Is Most Alive)
RAISED FIST
La nefasta cancellazione dei Behemoth a causa della grave malattia che ha colpito Nergal comporta un paio di spostamenti nel programma: al posto dei polacchi entrano i blackster Endstille – il cui show immaginiamo sia stato seguito da miriadi di tedeschi adoranti – che vanno ad occupare lo strettissimo (per loro) Party Stage, mentre gli hardcorers svedesi Raised Fist vengono promossi sul Pain Stage, dove trovano un buon numero di fans ad accoglierli. Lo show da headliners dei Subway To Sally è appena finito e si cambia completamente approccio quando gli iper-dinamici scandinavi irrompono sul palco al suono di “You Ignore Them All”: l’hardcore-punk metallizzato del Pugno Alzato è una botta d’adrenalina notevole per chi già immaginava di imbucarsi in tenda a mezzanotte. Ma anche oggi c’è da stare alzati fino a notte fonda e quindi ben vengano le bordate “Perfectly Broken”, “Friends And Traitors” e “Sound Of The Republic”, inferte da una band che non sta ferma un secondo sul palco e guidata dal fisicato Alexander ‘Alle’ Rajkovic, in grado di proporre dei salti in alto e delle sforbiciate veramente impressionanti. Un’ora di intensi movimenti, dunque, per il parterre assegnato ai Raised Fist, che per chi scrive hanno offerto uno degli spettacoli più belli e convincenti di tutto il festival. Con “Breaking Me Up”, ultima song proposta, perfetta nel compito di spazzare via tutto quello ancora rimasto in piedi.
(Marco Gallarati)