Introduzione a cura di Enrico Dal Boni
Report a cura di Marco Gallarati e Giacomo Slongo
Fotografie a cura di Enrico Dal Boni ed Emanuela Giurano
INTRODUZIONE
Germania, l’Ultima Frontiera Metal. Data astrale 17082011.
I nostri Eroi continuano, per la decima volta, il viaggio alla scoperta di uno dei festival europei più importanti: il Summer Breeze Open Air, giunto alla sua quattordicesima edizione.
Per quest’anno la Redazione di Metalitalia.com ha deciso di fare cassa comune e partire compatta da Milano, un po’ pressata nell’automobile del Capo-Comitiva (il buon Marco Gallarati) ma comunque in buona ed eterogenea compagnia: un Redattore Principe, un Fotografo-barra-News Editor, un Signor Moderatore del Forum e una Fotografa Iper-Attiva. Arrivati all’area festival, qualche chilometro oltre il paese medievale di Dinkelsbuhl, ci si appresta subito a fare i confronti di rito con l’edizione precedente: area camping ulteriormente ampliata; docce e servizi igienici triplicati [erano una delle note dolenti del festival]; Party Stage decisamente migliore [tendone più grande e soprattutto un fondo di legno per evitare la ‘palude fangosa’ degli anni passati]. Una volta entrati, ci si trova di fronte ad uno stand EMP mastodontico e a punti di ristoro di ogni tipo: pizza, panini, cibo cinese, cibo vegetariano, kebab, gelati [non all’altezza di quelli italiani] e soprattutto ad una moltitudine di punti che forniscono la teutonica birra da festival, potentemente annacquata ma ben dissetante.
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Di fianco al Party Stage, anche quest’anno c’è il Camel Stage, piccolo palco su cui suonano band locali durante i tempi di attesa tra un gruppo e l’altro. Per arrivare all’area concerto principale si passa dalla zona mercato, dove sono presenti il merchandising ufficiale e una marea di altri stand, nei quali si può trovare qualsiasi cosa utile e non all’essere metallaro [segnaliamo l’ormai classica presenza della nostra Punishment 18 Records]. L’area concerto principale risulta pressoché invariata dall’anno precedente, con i due palchi Main e Pain Stage affiancati a far da padroni sul piazzale e di contorno altri punti di ristoro. La zona pubblico è stata ulteriormente divisa con barriere che dividono il piazzale in tre zone, per evitare che l’audience si pressi troppo sottopalco e per permettere ai moshers più incalliti di ritagliarsi uno spazio all’uopo.
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Le band presenti nel bill di questa edizione sono come al solito molto eterogenee: sui palchi principali sono stati piazzati i grossi nomi come é giusto che sia, mentre le formazioni con sonorità più estreme hanno intrattenuto il pubblico nel Party Stage. Come evidente, la presenza di questa situazione ha creato sovrapposizioni di esibizioni, per cui ci è stato impossibile riuscire a seguire tutto, sia a livello di report che di photoset, ma dalle 11 di mattina alle 4 di notte c’è stato sicuramente tempo per godersi dei buoni/ottimi spettacoli. Da segnalare, in negativo, la totale assenza di band italiane all’edizione 2011 del Summer Breeze, un input per nulla rassicurante, ma che non ci deve far dimenticare come anche da noi esistano realtà molto, molto valide.
Vi lasciamo ora ai soliti abbondanti trafiletti riguardanti le singole band e le loro rispettive gallerie fotografiche. Per i gruppi che abbiamo seguito con minore attenzione, in fondo all’articolo trovate le nostre Pillole di Summer Breeze.
Buona lettura, dunque!
(Enrico Dal Boni)
MERCOLEDI’ 17 AGOSTO 2011 – Prologo
MELECHESH
Ritirati gli accrediti, penetrati e perquisiti nella Camping Area, montate le tende: finalmente siamo pronti per entrare nel vivo della consueta serata-prologo del Summer Breeze, quella in cui solo l’affollatissimo Party Stage è funzionante e musicante. Purtroppo, non riusciamo a sistemarci in tempo per l’inizio della performance degli israelo-olandesi Melechesh, per cui arriviamo circa a metà esibizione, nell’esatto momento in cui parte la hit “Grand Gathas Of Baal Sin”. La tenda è piena per più della sua metà, i suoni sono già a bomba e il quartetto di origine mediorientale rovescia il suo black-death metal ondeggiante e particolare sulla folla già abbastanza scatenata. “Triangular Tattvic Fire” porta anche i meno smaliziati tedeschi a inneggiare il gruppo attraverso il segnale del triangolo, che spesso da noi è associato a ben altra sostanza… Tocca poi all’ipnotica e coinvolgente “Ghouls Of Nineveh” e al gran finale di “Rebirth Of The Nemesis” portare a conclusione uno spettacolo notevole per intensità e risposta dell’audience. Nonostante la nostra visione si sia limitata a mezzo show, Ashmedi e i suoi Melechesh ci hanno fatto una gran bella impressione. Li aspettiamo ora a fine estate in Italia, di supporto ai Samael!
(Marco Gallarati)
Setlist:
Illumination: The Face Of Shamash
Sacred Geometry
Deluge Of Delusional Dreams
Ladders To Sumeria
Grand Gathas Of Baal Sin
Triangular Tattvic Fire
Ghouls Of Nineveh
Rebirth Of The Nemesis
DESTRUCTION
Co-headliner del prologo del Summer Breeze 2011, assieme ai seguenti Vader (entrambi i gruppi hanno un’ora di tempo a disposizione), i teutonici Destruction giocano più che in casa e difatti il Party Stage risulta praticamente stracolmo e ribollente di gente. Lo storico combo di Weil am Rhein, piccola cittadina tedesca vicina al confine svizzero, non si lascia certo pregare e parte subito a tuono con la doppietta “Curse The Gods” / “Mad Butcher”, ben utile a fomentare – se mai ce ne fosse stato bisogno – il già pimpante animo alcolico del pubblico amico. Schmier e Mike, con alle spalle il nuovo batterista Vaaver, tengono il palco alla perfezione, attorniati da ghiaccio secco ovunque e fiancheggiati da un gioco di luci infernale: stiamo parlando di due vecchie volpi del thrash metal e dei palchi internazionali, quindi è ovvio come i Destruction non facciano fatica a surclassare, per impatto, qualità del materiale e ricezione dello show, tutte le altre band in programma questa sera. Dall’ultimo nato, “Day Of Reckoning”, vengono sparate in fretta “Armageddonizer” e “Hate Is My Fuel”, per poi colpire senza tregua tramite gli altri lavori dell’ormai ridondante discografia, scavando nel passato, antico o più recente che sia. “Nailed To The Cross”, “Bestial Invasion”, “Total Desaster” anticipano di poco il Big Bang finale promulgato dalla terremotante “The Butcher Strikes Back”. Non un attimo di tregua e un headbanging continuo hanno accompagnato i Destruction nel primo vero ottimo show della rassegna!
(Marco Gallarati)
Setlist:
Intro
Curse The Gods
Mad Butcher
Armageddonizer
Hate Is My Fuel
Eternal Ban
Life Without Sense
Thrash Till Death
Nailed To The Cross
Tears Of Blood
Bestial Invasion
Total Desaster
The Butcher Strikes Back
GIOVEDI’ 18 AGOSTO 2011 – 1^ giornata
A PALE HORSE NAMED DEATH
La prima giornata ufficiale del Summer Breeze – 14^ Edizione è una bellissima giornata, in cui solo poche nuvole osano mettere in discussione lo strapotere di un Sole caldissimo. E’ così che i vostri intrepidi reporter se ne andranno in giro per una manciata di ore a petto nudo, assicurandosi in seguito una bella ustioncina. Ma planiamo di nuovo sulla musica e, dopo aver scoperto che gli Steve From England, combo tedesco (!!) che propone un hardcore-punk non esattamente entusiasmante, ha vinto il New Blood Award andando ad inaugurare il festival, ci troviamo piazzati di fronte al Main Stage per l’esibizione degli A Pale Horse Named Death, sorta di supergruppo newyorchese che prevede alla voce e alla chitarra Sal Abruscato, drummer dei Life Of Agony ed ex dei Type O Negative, e alle pelli proprio Johnny Kelly, storico batterista della formazione del compianto Peter Steele. Ebbene, in solo 35 minuti di tempo, gli APHND hanno mostrato una classe sopraffina ed invidiabile, grazie ai convincenti pezzi del loro unico (finora) “And Hell Will Follow Me”: doom metal di chiaro stampo US, che deve moltissimo a Black Sabbath, TON, Life Of Agony ed in parte anche al grunge di Alice In Chains e Stone Temple Pilots, è ciò che la band propone e bisogna dire che, sebbene si sia sotto un Sole impietoso e le sonorità siano plumbee, l’ancora poco pubblico è parso apprezzare la performance.
(Marco Gallarati)
Setlist:
To Die In Your Arms
Devil In The Closet
As Black As My Heart
Heroine Train
Pill Head
Bath In My Blood (Schizophrenia In Me)
THE HAUNTED
Dopo una buona oretta e mezza in cui nulla attrae la nostra attenzione, la prima band a stuzzicarci l’appetito sono i The Haunted, spesso apparsi sulle nostre pagine-web, ma mai dopo la release dell’ultimo “Unseen”: Peter Dolving, oltre ad essere stranamente lungocrinito, ha anche maturato un barbone da redneck che lo rende quasi irriconoscibile; i fratelli Bjorler, invece, sembrano immutabili nel tempo. La formazione di Goteborg appare motivata e anche piuttosto in forma, sebbene giureremmo che l’opener del concerto, “Never Better”, sia stata sostenuta da delle udibilissime basi per la voce di Dolving, troppo roboante e perfetta per essere il primo brano (e sappiamo che il vocalist non è mai impeccabile on stage). Nella setlist di cinquanta minuti spicca la grave assenza di almeno un pezzo tratto dal debutto dei Nostri, mentre ci piace il fatto che i The Haunted tengano in grande considerazione il sottovalutato – ma molto bello – “The Dead Eye”, dal quale eseguono il medley “The Premonition”/”The Flood”, “The Medication”, “The Fallout” e “The Guilt Trip”. Gran tiro e gran enfasi per la chiusura affidata all’intro di “The Haunted Made Me Do It”, “Dark Intentions”, seguita a ruota dalla debordante “Bury Your Dead”. Ok, tutto ok, ma la manata di “Hate Song”…dove diavolo l’avete nascosta?
(Marco Gallarati)
Setlist:
Never Better
99
The Premonition / The Flood
The Medication
Unseen
D.O.A.
Trespass
The Fallout
No Compromise
The Guilt Trip
Dark Intentions
Bury Your Dead
KVELERTAK
Con soltanto l’omonimo full-length all’attivo, che ha portato loro un successo tanto meritato quanto inaspettato (basti pensare al disco d’oro strappato in terra natia o alla data tenuta in compagnia dei Foo Fighters), i norvegesi Kvelertak approdano sul Party Stage più determinati e agguerriti che mai, decisi ad incendiare gli animi della numerosa fetta di pubblico radunatasi per l’occasione. I Nostri, avvalendosi di suoni volutamente grezzi e approssimativi e di una presenza scenica su di giri (il cantante Erlend Hjelvik è arrivato ad arrampicarsi sulla struttura del palco, rischiando di spezzarsi l’osso del collo!), si rendono protagonisti di una performance folle e trascinante, che trasforma, con il passare dei minuti, l’interno del tendone in un vero e proprio marasma di corpi sudati e saltellanti. Difficile, in fin dei conti, rimanere indifferenti di fronte al black’n’roll – dagli esaltanti spunti melodici – che i sei ragazzi scaraventano sull’audience: molto più facile lasciarsi andare ad un po’ di sano headbanging…e pezzi come “Ulvetid” e “Fossegrim”, questo pomeriggio, hanno parlato chiaro. Primo, grande centro della giornata.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Sjohyenar (Havets Herrer)
Fossegrim
Blodtorst
Offernatt
Ulvetid
Nekroskop
Liktorn
Mjod
KAMPFAR
Tocca ai Kampfar, tra i nomi meno considerati della scena black metal norvegese (assieme agli Urgehal, oltretutto ospiti dell’edizione 2009 del festival), calcare le assi del Party Stage subito dopo la devastazione sonora firmata Kvelertak. Sulle note di un’intro marziale, emergendo da una luce sanguigna abbinata alla scenografia dell’ultimo disco “Mare”, Dolk e compagni fanno il loro ingresso sul palco apparendo fin da subito convintissimi dei propri mezzi. Se complessivamente è l’intera performance della band a convincere e divertire – con il batterista da menzionare anche alla seconda voce – è proprio il leader maximo Dolk a catalizzare su di sé l’attenzione della platea: aizzandola, muovendosi da una parte all’altra dello stage, annichilendola con uno screaming potente e lacerante. Un frontman di prim’ordine, insomma, capace di gestire il palco con una dimestichezza non esattamente propria di molti suoi colleghi bianco-pittati. Ed è anche grazie a lui che il nome dei Kampfar, quest’oggi, verrà ricordato.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Mare
Inferno
Troll, Dod Og Trolldom
Norse
Huldreland
Ravenheart
DECAPITATED
Alle 21.45, dopo lo show degli Arch Enemy, torniamo di buon grado al tendone del Party Stage, pronti per assistere a tre quarti d’ora di death metal made in Poland. Forte di un contratto con il colosso Nuclear Blast e di un nuovo disco – “Carnival Is Forever” – accolto alla grande sia dagli addetti ai lavori che dai fan, la band guidata dal chitarrista Vogg sembra essersi definitivamente ripresa dai tragici avvenimenti dell’ottobre 2007. E per fortuna, aggiungiamo noi, specie dopo un concerto come quello di questa sera. Di fronte ad una platea adorante, i quattro non ne hanno per nessuno: tutti, a partire dal vocalist Rafal Piotrowski, danno il meglio di sé, investendo gli astanti con l’ormai inconfondibile mix di death metal e andamenti meshugghiani che li contraddistingue dai tempi di “Organic Hallucinosis”. E sono proprio i riff sbilenchi, le ritmiche controtempate prese in prestito dalla band di Umea la vera forza dei Decapitated odierni. Molti gli estratti dall’ultima fatica in studio, tra i quali ha modo di spiccare la lunga e strutturata “A View From A Hole”, che con il suo intro lisergico ed ipnotico sembra trasportare tutti in una dimensione distorta e parallela. Finale affidato, come vuole la tradizione, a “Spheres Of Madness”, cantata a squarciagola dal pubblico, che congeda i Decapitated da veri trionfatori. Indispensabili.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Day 69
404
United
Mother War
A View From A Hole
Winds Of Creation
Carnival Is Forever
Revelation Of Existence
Spheres Of Madness
IN EXTREMO
Primo headliner del Summer Breeze ed in definitiva la band che ha raccolto l’audience più grande dei tre giorni e mezzo di festival: gli In Extremo in Germania sono una vera istituzione, più dei Corvus Corax, dei Subway To Sally e molto più dei Saltatio Mortis, le altre folk band che solitamente bazzicano gli happening germanici estivi. La potenza evocativa del settetto berlinese è proverbiale e l’esperienza accumulata in anni di spettacoli traspare tutta durante la performance: nonostante si esprima ovviamente in lingua madre, il frontman Das Letzte Einhorn risulta simpatico e coinvolgente anche ai non-autoctoni, mentre il triangolo di cornamusisti opera alla grande il proprio ruolo, muovendosi all’unisono e avendo nel sempre più grosso (e grasso) Dr. Pymonte il vertice solista e burlone allo stesso tempo; suoi, infatti, i siparietti introspettivi all’arpa celtica e alla ghironda e qualche battuta scambiata col pubblico. Scenografia abbastanza scarna per gli In Extremo, ma continue fiammate, fumate e fiammellate si alzano davanti al palco e sopra le prime file, tanto che anche noi, ad un centinaio di metri di distanza, ne sentiamo il calore. Setlist piuttosto tranquilla e rilassata, quella proposta dalla band, che non ha eseguito uno dei suoi migliori cavalli di battaglia, “Villeman Og Magnhild”, lasciando a “Herr Mannelig”, “Frei Zu Sein”, “Spielmannsfluch”, “Rasend Herz”, “Kuss Mich”, alla recente “Viva La Vida” (!!) e alla cantatissima “Vollmond” il compito di fomentare gli animi dei nostri compari crucchi. Saranno anche un tipico passatempo tedesco, ma il carisma di questi musicisti fa letteralmente scomparire sottoterra gente come i Korpiklaani, giusto per dire un nome farlocco che tanto tira da noi. Ottima resa d’insieme per gli In Extremo, dunque, nonostante le lacune tecniche di chitarrista e batterista, che si limitano allo stretto indispensabile. Ci tocca girare la testa di 45 gradi, ora, perchè i Marduk stanno per iniziare sul Pain Stage; ma nel frattempo, sul Party Stage…
(Marco Gallarati)
Setlist:
Sternenreise
Frei Zu Sein
Zigeunerskat
Vollmond
Herr Mannelig
Sangerkrieg
Flaschenpost
Unsichtbar
Stalker
Siehst Du Das Licht
Spielmannsfluch
Viva La Vida
Omnia Sol Temperat
HACKNEYED
Giovani, tedeschi e incazzati. Questi, fondamentalmente, sono gli Hackneyed che salgono sul palco stasera. Dopo due album su Nuclear Blast, “Death Prevails” e “Burn After Reaping”, il combo teutonico è pronto ad esordire su Lifeforce con “Carnival Cadavre”, disco iper-pubblicizzato dall’organizzazione del Summer Breeze con una serie di spot trasmessi sul maxi-schermo in prossimità dei due palchi principali. Il death metal del quintetto, a metà strada tra la tradizione americana e una giusta dose di modernità – presente in alcune aperture melodiche – intrattiene e coinvolge, anche grazie alla scatenata prova del chitarrista Devin Cox, vero e proprio animale da palco, che con il suo entusiasmo e la sua sincera passione per il genere trascina i compagni per l’abbondante tempo a loro disposizione. Promossi!
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Raze The Curtain
Bugging For Mercy
Worlds Collide
Axe Splatter
Damn (You’re Dead Again)
Holy Slapstick
Maculate Conception
Deatholution
Extra Terroristical
Feed The Lions
Gut Candy
MARDUK
Esibizione controversa, quella dei Marduk. I demoni svedesi irrompono sul Pain Stage nel cuore della notte, avendo a disposizione un’ora per diffondere il loro ventennale Verbo di odio e blasfemia. Qualcosa però, fin dalle prime battute, non torna. La voce di Mortuus – piatta all’inverosimile – e la chitarra zanzarosa di Morgan affossano i primi pezzi, castrati, come se non bastasse, da alcuni intermezzi atmosferici che scandiscono la setlist. A partire da “Womb Of Perishableness”, però, estratta dal (capo)lavoro “Rom 5:12”, la tendenza sembra invertirsi: il vocalist torna ad essere un mostro di inquietudine ed espressività, mentre i suoni della sei corde si aggiustano con il passare dei minuti. Il finale è dunque un crescendo, con una “Into Utter Madness” da far gelare il sangue nelle vene e una “Panzer Division Marduk” che scatena, come consuetudine, l’Inferno nel pit. Una performance caratterizzata da luci ed ombre, quindi, che permette ai Marduk di salvarsi – in extremis – in calcio d’angolo. Da loro era lecito aspettarsi dell’altro.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Phosphorous Redeemer
Still Fucking Dead (Here’s No Peace)
The Hangman Of Prague
Womb Of Perishableness
Bleached Bones
Warschau 2: Headhunter Halfmoon
Burn My Coffin
On Darkened Wings
Fistfucking God’s Planet
Panzer Division Marduk
Into Utter Madness
ABORTED
Gli Aborted, questa sera, hanno fatto paura. Precisi, brutali e terrificanti, guidati da uno Sven de Caluwé più in forma che mai, hanno raso al suolo qualsiasi cosa li si parasse contro, devastando l’audience con il loro collaudatissimo death/grind, chirurgico e spietato. Con una setlist per lo più votata all’intransigenza e all’ignoranza (parecchi gli estratti da “Goremageddon: The Saw And The Carnage Done” e dall’ultimo EP “Coronary Reconstruction”), i belgi trovano anche il tempo di presentare la title-track del pluri-annunciato “Global Flatline” – in uscita a fine anno su Century Media – che sembra sancire un effettivo ritorno alle origini, dopo un trittico di dischi più moderni e sperimentali. Impossibile, ad ogni modo, tentare di descrivere la furia omicida vomitata dagli amplificatori sul palco; lì per lì ci viene soltanto voglia di imbracciare una motosega e fare a pezzi il primo essere umano a portata di mano (in senso figurato, tranquilli). Mattatori della prima giornata, una spanna sopra tutti.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Dead Wreckoning
Coronary Reconstruction
Meticulous Invagination
Necro-Eroticism
Global Flatline
Sanguine Verses (…Of Extirpation)
Threading On Vermillion Deception
The Saw And The Carnage Done
VENERDI’ 19 AGOSTO 2011 – 2^ giornata
NERVECELL
Dopo la bufera che ha colpito l’area del festival ad inizio mattinata (probabilmente i residui affievoliti di quella tragica del Pukkelpop belga) e l’inizio di giornata non certo esaltante affidato ai mediocri Trigger The Bloodshed, ci incuriosiscono parecchio i Nervecell, formazione multirazziale con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. E porca miseria, ci tocca dire! Sebbene non particolarmente originali, con un songwriting che mescola agilmente Nile, Suffocation e Immolation, il combo guidato dal gigantesco bassista-vocalist James Khazaal è autore di un’ottima prestazione, che ci sveglia del tutto e ci tiene le orecchie incollate al Main Stage. Presenza scenica da navigata death metal band – ovvero headbanging e imperante staticità – suoni paurosamente potenti, una dimestichezza on stage che non ci si aspetterebbe da un gruppo asiatico, per di più proveniente da una zona dell’Asia quasi completamente taboo all’heavy metal, figuriamoci al death metal brutale e da carneficina… E dunque, in questa mezzora di tempo a disposizione, i Nervecell si sono rivelati certamente fra le migliori sorprese del Summer Breeze. Certo, sarebbe da verificare se la band sia in grado di reggere anche su un più lungo minutaggio…ma speriamo vivamente di avere modo di farlo presto!
(Marco Gallarati)
Setlist:
Non disponibile
SKELETONWITCH
Partiamo dal fondo, con i preziosi consigli degli Skeletonwitch: “Drink beer, smoke weed…and eat some fucking pussy!!”, per la gioia dei pranzanti astanti di un ventoso pomeriggio teutonico. Tralasciando la seconda direttiva, di cui chi scrive ha sempre fatto a meno senza troppi problemi, possiamo solo convenire col corpulento vocalist della band dell’Ohio, Chance Garnette. Gli Skeletonwitch sono parsi la versione edulcorata, più esperta e un po’ imbolsita dagli anni dei Kvelertak: il thrash metal imbastardito da vocalizzi e accelerazioni black, suonato con piglio da schiacciasassi e con una foga assoluta, rende praticamente impossibile bocciare il gruppo di Athens, in grado di gestire e portare ai propri piedi una buona fetta di folla semi-adorante. Brani quali “Beyond The Permafrost”, “Choke Upon Betrayal” e “Reduced To The Failure Of Prayer” hanno raso al suolo la resistenza dell’audience, condannandola ad un headbanging e ad accenni di pogo serrati. Davvero bravi e convincenti, per attitudine, parole e tiro esecutivo.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Upon Wings Of Black
Submit To The Suffering
Crushed Beyond Dust
Reduced To The Failure Of Prayer
Beyond The Permafrost
Sacrifice For The Slaughtergod
Strangled By Unseen Hands
Infernal Resurrection
Fire From The Sky
Vengeance Will Be Mine
Choke Upon Betrayal
Within My Blood
HAIL OF BULLETS
Quanto i tedeschi vadano pazzi per il death metal più tetragono e marziale non lo scopriamo certo oggi, basti pensare al successo riscosso da Bolt Thrower, Obituary e Six Feet Under da queste parti. Nessuna sorpresa, quindi, se per gli Hail Of Bullets si raduna un pienone degno dell’headliner più scafato (e orecchiabile). Ormai di casa al Summer Breeze – terza esibizione in quattro anni, se la memoria non ci inganna – la macchina da guerra olandese non impiega molto tempo per oliare i propri ingranaggi… La setlist, equamente divisa tra il materiale dell’ultimo “On Divine Winds” e quello del folgorante debutto “…Of Frost And War”, non lascia molto spazio a fraintendimenti: old school death metal, niente di più, niente di meno. Prendere o lasciare. E noi siamo qui per prendere, ovviamente! Dopo le varie “Operation Z”, “Red Wolves Of Stalin” e “General Winter” – che non ci stancheremo mai di elogiare – Martin Van Drunen e compagni concludono lo show con una trovata inaspettata: un medley, tanto ben fatto quanto esaltante, di “Tokyo Napalm Holocaust” e “Ordered Eastward”, che li congeda – senza timore d’essere smentiti – da veri trionfatori. Immensi, come sempre!
(Giacomo Slongo)
Setlist:
The Eve Of Battle
Operation Z
Red Wolves Of Stalin
Guadalcanal
On Coral Shores
General Winter
Kamikaze
Tokyo Napalm Holocaust
Ordered Eastward
INTERMENT
Terminati gli Hail Of Bullets, ci precipitiamo al Party Stage, dove gli Interment hanno cominciato a suonare da circa cinque minuti. Il colpo d’occhio, appena entrati, non è certo dei migliori, con un tendone praticamente vuoto e soltanto un pugno di fan in prossimità delle transenne. Un vero peccato, specie se si prende in considerazione la qualità del materiale dei Nostri (nelle cui fila militano Martin Schulman e Johan Jansson dei Demonical). Ad ogni modo, sorvolando sull’indifferenza del pubblico tedesco, non possiamo che parlar bene della prestazione degli svedesi: cruda, ignorante e senza orpelli. In fin dei conti, ai quattro musicisti sul palco, basta poco per tessere le proprie trame: chitarre ultra-distorte, ritmiche essenziali e growl infernale…e il gioco è bello che fatto. A noi non resta che lasciarci trasportare – con la mente, ovvio – in qualche cripta putrescente, tra bare divorate dai tarli e scheletri ammuffiti. Finale affidato, neanche a farlo apposta, alla cover di “Torn Apart” dei Carnage, che sigla nel migliore dei modi il concerto-ignoranza di questo Summer Breeze. E’ proprio vero, non ci stancheremo mai di musica del genere.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Eternal Darkness
Torn From The Grave
Where Death Will Increase
Infernal Damnation
Night Of The Undead
Morbid Death
Torn Apart
ENSLAVED
Dopo gli Interment, ci prendiamo una quarantina di minuti di pausa e ci congediamo per qualche ora dal Party Stage, di nuovo in vista solo a notte inoltrata. E’ infatti sul Main e sul Pain Stage che trascorriamo tutta la parte principale della seconda giornata, l’imbrunire e la serata, partendo dai progressive-blackster Enslaved, che il sottoscritto non aveva il piacere di vedere dal lontano 1997, quando scesero a Milano supportando i Dark Tranquillity e quando ancora suonavano viking-black metal soltanto. Ebbene, il combo di Ivar Bjornson e Grutle Kjellson non ha per nulla deluso le attese, regalando al pubblico presente poco meno di un’ora di grande musica, epica, di classe ed avvincente, scivolando con grazia e potenza fra gli ultimi cinque platter di una discografia ormai immensa, senza del resto dimenticare l’esecuzione della vecchissima “Allfadr Odinn”, recuperata addirittura dal demo “Yggdrasil” del 1992. Particolare nota di merito va al tastierista e clean vocalist Herbrand Larsen, certamente una delle migliori seconde voci di tutto il festival. Gli Enslaved hanno esperienza e carisma tali da porli nelle più alte posizioni di un’ipotetica Classifica delle Band da Assolutamente Non Perdere!
(Marco Gallarati)
Setlist:
Ethica Odini
Raidho
Ground
Ruun
As Fire Swept Clean The Earth
Allfadr Odinn
Isa
TURISAS
Sì, lo ammettiamo, abbiamo bigiato i ‘bellissimi’ J.B.O.: in queste cose ridanciane e pacchiane che capiscono solo i cruccolanders, è meglio lasciarli per conto loro. Si evita il rischio di brutte sorprese in fase di raccoglimento saponetta. E così, dal rosa-nero palermitano della band tedesca, si passa direttamente allo sfavillante rosso-nero milanista dei bellico-pittati Turisas. Il combo finnico è reduce dalla pubblicazione del terzo disco “Stand Up And Fight”, ancora più orientato verso il lato sinfonico della band che a quello metallico; siamo così molto curiosi di sapere come i pezzi nuovi funzionino dal vivo e, soprattutto, se Warlord Nygard e compagni puntino sul materiale più complesso oppure lascino alla tracklist dell’esordio “Battle Metal” il compito di intrattenere la folla. Ebbene, dopo avere aperto lo show con l’epicissima “To Holmgard And Beyond”, ecco una serie di tracce estrapolate dall’album più recente, tracce che sinceramente non ci aspettavamo così funzionali on stage. Bisogna dire che i Turisas sono molto bravi, tengono il palco più che bene e forniscono un bello spettacolo: il violino elettrico di Olli Vanska è talmente distorto che durante gli assoli pare di sentire una chitarra, mentre Netta Skog alla fisarmonica fa la sua carinissima figura tra sorrisi, saltelli e backing vocals – peccato abbia lasciato da qualche giorno la band; in definitiva, il punto debole della formazione sembra essere la voce di Nygard, un po’ troppo sgraziata e rozza, ma il leader maximo dei Turisas è prima di tutto un personaggio. La folla acclama il singolo “Rasputin” (una cover di Boney M), ma ecco partire la tremebonda “Sahti-Waari”, devastante nel suo folle incedere da balera. Tocca poi appunto a “Rasputin” e i germanici impazziscono di cori e balli, così come per la conclusiva “Battle Metal”, sorta di inno ufficiale di un’entità che in pochi anni ha saputo costruirsi e meritarsi un seguito davvero interessante. Bravi!
(Marco Gallarati)
Setlist:
To Holmgard And Beyond
One More
The March Of The Varangian Guard
The Great Escape
In The Court Of Jarisleif
Stand Up And Fight
Hunting Pirates
Sahti-Waari
Rasputin
Battle Metal
BOLT THROWER
I Bolt Thrower hanno spaccato. Sì, lo sappiamo, non è certo il modo più professionale di inaugurare un report, ma stando ai fatti è esattamente così che è andata. E’ bastato l’attacco di “The IVth Crusade”, dall’omonimo quarto disco degli inglesi, per mettere subito in chiaro le cose. I suoni potenti, calibrati alla perfezione, hanno permesso alla band di partire a razzo, lasciandosi alle spalle cumuli di macerie fumanti, e di procedere spedita verso una vittoria annunciata in partenza. Conclusa l’opener, infatti, il resto è soltanto una formalità, con le varie “Where Next To Conquer”, “Silent Demise” e “…For Victory” a stendere un lungo tappeto rosso (rosso sangue, of course) in vista del gran finale. Un’esibizione fiera e travolgente, quindi, come insegna la tradizione legata al loro nome. E a conti fatti non importa: non importa se e quando i Bolt Thrower daranno mai un seguito a “Those Once Loyal”, loro ultima fatica in studio; finchè i loro concerti si manterranno tali, nessuno oserà chiedere qualcosa in più.
“The last advance – One final chance – It now shall be…No guts, no glory!”.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Intro (Battle Of Britain)
The IVth Crusade
The Killchain
Powder Burns
When Glory Beckons
Mercenary
World Eater / Cenotaph
Anti-Tank (Dead Armour)
Where Next To Conquer
Silent Demise
Granite Wall
Salvo
…For Victory
No Guts, No Glory
When Cannons Fade
HAMMERFALL
Eccoci agli headliner del secondo giorno del Summer Breeze 2011! Chi scrive è parecchio che, esclusi Blind Guardian e Tyr, non segue con compitezza la scena classic/power metal, ma quando nella seconda metà degli anni ’90 gli svedesi Hammerfall trainarono da protagonisti la rinascita dei suddetti generi metallici, ebbene i primi due lavori del combo furono dei gran bei ascolti! E’ quindi con curiosità mista a senso del dovere che ci gustiamo lo spettacolo di Oscar Dronjak, Joacim Cans e compari: scenografia non esageratamente elaborata per il gruppo, con teli, teloni e i soliti giochi pirotecnici. I suoni non ci sembrano particolarmente potenti – almeno non se paragonati a quelli degli headliner degli altri due giorni – ma gli Hammerfall allietano la platea festante e parecchio su di giri con una setlist coraggiosamente bilanciata tra nuovo e recente materiale, classici più vecchi e alcune chicche, le più attese, dal passato remoto. E’ la prima volta che la band si esibisce al festival di Dinkelsbuhl e siamo certo convinti che Cans non abbia suscitato le simpatie di molti quando ha pronunciato: “Sappiamo bene che voi vorreste sentire tutto ‘Glory To The Brave’ e basta, ma ci spiace, andremo avanti per un bel po’ con altri pezzi”. Va bene, peggio per loro, soprattutto quando a fine concerto ci troviamo iper-delusi per non aver sentito la monumentale “The Dragon Lies Bleeding”. A parte gli scherzi e i gusti personali, gli Hammerfall sono stati fedeli a quanto detto dal loro vocalist e solo verso la chiusura dei 75 minuti a loro disposizione abbiamo avuto il piacere di ascoltare “Heeding The Call”, “Hammerfall” e la conclusiva “Let The Hammer Fall”. In precedenza buon responso dell’audience per pezzi quali “Renegade” e “Hearts On Fire” e comunque discreta prestazione, nel complesso, per la formazione scandinava.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Patient Zero
Renegade
Any Means Necessary
B.Y.H.
Blood Bound
Fury Of The Wild
Let’s Get It On
Heeding The Call
Hammerfall
One More Time
Hearts On Fire
Let The Hammer Fall
EINHERJER
Piuttosto stanchi e distrutti dalle ultime 4-5 ore trascorse in piedi e ammassati, ci fa piacere tornare da ‘reduci’ al Party Stage per il discretamente atteso slot dei norvegesi Einherjer, band piuttosto di nicchia che è sempre vissuta all’ombra dei suoi connazionali più rinomati, Enslaved, Ulver e Solefald fra gli altri. Scioltisi nel 2004 e riformatisi nel 2008, i nordici hanno all’attivo solo il recentissimo “Norron” dopo la reunion, ma possiamo tranquillamente affermare come non si siano affatto arrugginiti, anzi! Il black metal progressivo, riflessivo e folkeggiante dei ragazzi di Haugesund riesce a stregare e ipnotizzare un’audience abbastanza numerosa, ma non quanto ci si aspettava. La vecchia “Dragons Of The North” ha aperto lo spettacolo, con cadenze atipiche e violenza solo accennata, mentre la più cadenzata e sinistra “Ironbound” ne ha dichiarato la fine. Nel mezzo, una dimostrazione di qualità e capacità di songwriting sopra la media, per un gruppo che andrebbe riscoperto ad occhi chiusi.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Dragons Of The North
Berserkergang
Norron Kraft
Balladen Om Bifrost
Far Far North
Ironbound
SABATO 20 AGOSTO 2011 – 3^ giornata
BENIGHTED
Spetta ai Benighted, tra i gruppi più brutali dell’intera manifestazione, inaugurare il Main Stage nel terzo ed ultimo giorno di concerti. I francesi salgono sul palco in prossimità dell’ora di pranzo, davanti ad una discreta fetta di pubblico, e senza lasciarsi intimorire dalla calura del Sole di mezzogiorno danno a tutti lo scossone necessario per destarsi dal torpore mattutino. “Prey” e soprattutto la marcissima “Let The Blood Spill Between My Broken Teeth” scatenano i primi focolai di pogo della giornata, esaltando la straordinaria preparazione tecnica del quintetto d’Oltralpe, oggi più che mai in grado di gestire a proprio piacimento la frenesia della proposta suonata, sospesa tra la schizofrenia dei Cephalic Carnage e il groove senza compromessi dei Despised Icon. La mezzora di concerto vola, incentrata prevalentemente sul materiale di “Icon” – il disco della svolta – e dell’ultimo “Asylum Cave”, la cui title-track saluta i presenti nel tripudio. Una formazione che – possiamo dirlo – dopo tredici anni di carriera e sei full-length all’attivo non ha più nulla da imparare.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Prey
Let The Blood Spill Between My Broken Teeth
Saw It All
Collapse
Lethal Merycism
Slut
Asylum Cave
ENGEL
E’ ancora un Sole imperituro a guidarci per l’ennesima volta verso il Main Stage, dove stanno per andare in scena gli svedesi Engel, la band messa in piedi qualche anno fa dal nuovo chitarrista degli In Flames – ed ex-Gardenian – Niclas Engelin. Ebbene, fa parecchio strano non vedere proprio Niclas sul palco, in quanto impegnato con quella che è nel frattempo diventata la sua band principale. I quattro Engel superstiti, comunque, nei quaranta minuti a loro disposizione, ce la mettono tutta per convincere l’ancora stordito pubblico della Brezza d’Estate. Il loro suono a cavallo tra In Flames, Soilwork, Rammstein e Deathstars è bello accattivante e col passare del tempo pare venire apprezzato sempre più dai ragazzi presenti, soprattutto all’altezza di vere e proprie hit quali “Casket Closing” e “Sense The Fire”. Il vocalist Magnus Klavborn sale d’impatto e qualità anch’egli assieme a tutta la band, che nonostante la pesante assenza del proprio leader ha saputo quindi cavarsela molto bene. Bravi, in un difficile contesto.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Six Feet Deep
Casket Closing
Heartsick
Propaganda
Sense The Fire
Feed The Weak
In Splendour
DEADLOCK
I Deadlock stanno particolarmente a cuore di chi scrive, vuoi per le gradite sonorità, vuoi per i gusti personali, vuoi soprattutto per la carinità della minuscola Sabine Weniger-Scherer, voce incredibile nonostante l’apparente fragilità. Il Summer Breeze si ostina a proporli ad orari deficitari quando, vista l’evidente mole di spettatori che accorrono ogni volta, forse sarebbe il caso di portarli un po’ più verso il pomeriggio/serata. Ma siamo di parte, quindi potremmo sbagliarci della grossa. Non ci sbagliamo, però, dicendovi che il gruppo tedesco è apparso molto in forma, motivato e sostenuto da una vocalist che, risolto qualche problemino di ‘timidezza da palco’, si è fatta più intraprendente, sciolta e coinvolgente. Dobbiamo ammettere che ormai il pur bravo Johannes Prem passa un po’ in secondo piano col suo growl, in quanto appena la Scherer attacca le sue parti il livello del combo sale di colpo. Setlist condensata ma assolutamente non deludente, con alcuni brani dell’ultimo “Bizarro World” che dal vivo funzionano a meraviglia, soprattutto la trascinante “Renegade”. Sono però “Code Of Honor”, “Awakened By Sirens” e la folle “End Begins” – con il suo spezzone techno-trance a centro canzone a scatenare l’euforia in platea – ad ottenere i migliori responsi, figli di un concerto energico e corroborante. Ultimamente non rispondono alle interviste, ma perlomeno suonano bene.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Bizarro World
Earthlings
The Brave / Agony Applause
Virus Jones
Code Of Honor
Brutal Romance
Renegade
Awakened By Sirens
End Begins
DEMONICAL
Il compito di tenere alta la bandiera del death metal svedese, dopo l’ottima prova di ieri degli Interment, passa per i cugini Demonical, autori quest’anno di un disco particolarmente apprezzato quale “Death Infernal”. Fortunatamente, a differenza di quanto successo la giornata precedente, il trattamento riservato dal pubblico è ben diverso, con un cospicuo numero di persone ad affollare il Party Stage e una risposta senza dubbio più calorosa al sudore versato dai musicisti sul palco. I quattro vichinghi, penalizzati soltanto da dei suoni altalenanti ad inizio performance, non si fanno pregare e guidati dal vocalist Sverker Widgren (la copia abbruttita di Johan Hegg) devastano l’audience a colpi di scure e ignoranza, dando largo spazio al materiale dell’ultima pubblicazione: “The Arrival Of Armageddon”, “Ravenous” e – soprattutto – “All Shall Perish (The Final Liberation)” esaltano e stra-convincono, con quest’ultima che fa uscire letteralmente di testa gli astanti. Finale affidato all’epica “March For Victory” e al velenosissimo inno “Death Metal Darkness”, sulle cui note i Demonical salutano la platea. Missione compiuta, ancora una volta.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
The Arrival Of Armageddon
World Serpent
Ravenous
Gotter Des Nordens
All Will Perish (The Final Liberation)
Baptized In Fire
March For Victory
Death Metal Darkness
OBSCURA
Di un altro pianeta, esattamente come i versi delle loro liriche. Questo sono diventati, nel giro di qualche anno, gli Obscura. Chi scrive è la terza volta che assiste ad un loro show, la seconda nell’arco di pochi mesi, e l’impressione è quella di una band sempre più padrona e consapevole di sé stessa. Il loro è un concerto formalmente perfetto e inattaccabile: non una sbavatura, non una nota fuori posto, il tutto supportato da suoni potenti e cristallini, calibrati ad hoc. A noi non resta che godere di tanta opulenza, lasciandoci ammaliare dal death metal progressivo e sognante del quartetto di Monaco di Baviera. “Septuagint” e “The Anticosmic Overload”, tracce di apertura di “Omnivium” e “Cosmogenesis”, inaugurano le danze, seguite dai migliori pezzi dei rispettivi full-length (tra cui l’abissale “Ocean Gateways”, vero e proprio omaggio all’Angelo Morboso). Un flusso magnetico, inarrestabile, concluso sulle note di “Centric Flow”, il cui stacco finale – letteralmente da pelle d’oca – zittisce tutti in un trionfo di emozioni e lacrime (ok, forse stiamo un attimino esagerando…). Nulla da aggiungere quindi, gli Obscura se ne escono a testa alta, dimostrando di avere ben pochi rivali in ambito technical death e di meritare il grandioso successo fin qui ottenuto. Una delle migliori prove del Summer Breeze, senza dubbio.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Septuagint
The Anticosmic Overload
Incarnated
Vortex Omnivium
Ocean Gateways
Euclidean Elements
Centric Flow
THE OCEAN
Anche per i The Ocean, dopo i Kataklysm di Maurizio Iacono, arriva il momento di registrare un dvd (il primo della loro decennale carriera) nella splendida cornice offerta dal Summer Breeze. Dagli esordi prettamente underground di “Fluxion” e “Aeolian”, violentissimi e debitori della lezione impartita dai maestri Meshuggah, all’apoteosi di “Precambrian”, arrivando all’accoppiata “Heliocentric”/”Anthropocentric”, progressiva e melodica, l’ensemble berlinese ha sempre giocato con la propria versatilità, affermandosi come uno dei migliori interpreti del post-metal lanciato dai Neurosis prima e sviscerato dagli Isis poi. In un Party Stage palpitante, con volumi e suoni mostruosi (nell’accezione migliore del termine), il gruppo di Robin Staps attacca furiosamente i propri strumenti, saccheggiando in lungo e in largo gli ultimi due full-length, supportato da un Loic Rossetti in stato di grazia. Ed è proprio questa l’unica critica che possiamo muovere nei loro confronti: su sei pezzi suonati, ben cinque provengono dai già citati “Heliocentric” e “Anthropecentric”, con la sola “Ectasian: De Profundis” ad immortalare il passato della band. Un vero peccato, specie per chi ha amato le bordate di una “The City In The Sea” o di una “Orosirian: For The Great Blue Cold Now Reigns”… Poco altro da appuntare, ad ogni modo. Prova dvd superata con disinvoltura e a pieni voti.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Anthropocentric
The Grand Inquisitor I: Karamazov Baseness
The Grand Inquisitor II: Roots & Locusts
Ecstasian: De Profundis
The Origin Of Species
The Origin Of God
TYR
Da bravi amanti del puzzolente (e non) underground metallico, ci rifiutiamo di presenziare agli eventi dei palchi principali – Tarja e Sodom, per la precisione – e restiamo nel tendone del Party Stage, dove scendono ora in campo i faroesi Tyr, che con il loro recentissimo “The Lay Of Thrym” si sono guadagnati un Top Album di Metalitalia.com. La band in Germania è apprezzata moltissimo e quindi non ci stupiamo se, in dirittura d’arrivo del festival, il Party Stage torni a riempirsi per un’altra volta. Ci posizionamo in fondo e la band di Heri Joensen ci mette tempo zero a travolgere tutti con il tiro micidiale della nuova “Flames Of The Free”. Con uno ‘skal’ (il salute scandinavo) ogni paio di brani, il concerto si sviluppa con epicità e potenza deflagranti, soprattutto all’altezza dei pezzi più richiamanti le tradizioni folk dell’arcipelago con capitale Torshavn, come ad esempio “Trondur I Gotu” e “Sinklars Visa” – da brividi l’incipit a cappella di quest’ultima, eseguito da tutti i Tyr. E’ però con le incessanti e finali “Hold The Heathen Hammer High” e “By The Sword In My Hand” che l’apoteosi ha compimento, grazie alla degnissima conclusione di uno show semplice e diretto, ma di una forza e di una limpidezza devastanti. Una delle formazioni più valide e originali del filone folk metal: non imitano e non possono essere imitati; Odino andrà fiero di loro.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Flames Of The Free
Sinklars Visa
Northern Gate
Shadows Of The Swastika
Hall Of Freedom
The Rage Of The Skullgaffer
Trondur I Gotu
Hold The Heathen Hammer High
By The Sword In My Hand
HATEBREED
Ogni anno, al Summer Breeze, chi scrive si fa la sua pogata rituale – giusto per scongiurare i principi artritoidi alle porte. Headliner dell’ultimo giorno dell’edizione 2011 del festival sono gli Hatebreed: quale migliore occasione, quindi, non trovate? Difficile scrivere di un concerto, quando si ricorda a malapena l’intro perchè si attende spasmodicamente l’esplosione-in-faccia della setlist. E insomma termina l’intro, arrivano i quattro Hatebreed, due-tre colpi alle pelli, Jasta che grida ‘you fuckin’ bleed now!’ e all’unisono la platea si anima, scaraventando corpi su corpi e generando ondate di gente, sia nel moshpit, sia in misura minore dove siamo noi, ovvero pochissimo avanti al mixer. “Everyone Bleeds Now” è solo l’antipasto di un set pauroso, con pochissimi e brevissimi attimi di respiro, nei quali si cerca di asciugare in fretta le membra pezzate di sudore. Lo ammettiamo, avevamo un po’ di paura: un’ora e un quarto di Hatebreed sarebbe stata rischiosa soprattutto per la tenuta della voce di Jamey Jasta, invece il frontman-dai-mille-impegni ha reso giustizia ai suoi compari, cedendo un pochetto soltanto nella finale e sfiancante “Destroy Everything”, che ha chiuso una sezione di encore davvero per primitivi del pogo, con “I Will Be Heard”, “This Is Now” e “Perseverance”. Prima, in una setlist terrificante, le botte anthemiche di “To The Threshold”, “In Ashes They Shall Reap” e soprattutto “Proven” e la debordante “Doomsayer” avevano atomizzato ogni resistenza, creando notevole dosi di caos e confermando come la band sia regina incontrastata del breakdown e del saperne creare l’attesa. Pesanti come loro, insomma, solo in pochi. Pezzi enormi, suoni pazzeschi = gran massacro. As diehard as they come.
(Marco Gallarati)
Setlist:
Everyone Bleeds Now
Hands Of A Dying Man
Merciless Tide
In Ashes They Shall Reap
To The Threshold
Beholder Of Justice
A Call For Blood
Last Breath
Tear It Down
You’re Never Alone
Before Dishonor
Doomsayer
As Diehard As They Come
Straight To Your Face
Empty Promises
Never Let It Die
Proven
Betrayed By Life
Defeatist
Live For This
This Is Now
Perseverance
I Will Be Heard
Destroy Everything
PRIMORDIAL
Magico. Senza troppi giri di parole è così che definiremmo lo show dei Primordial. Un’esperienza da vivere, sforzandosi di liberare la mente, per lasciarsi trasportare in qualche campo di battaglia abbandonato, tra i vessilli agitati dal vento. E’ sufficiente l’attacco di “No Grave Deep Enough”, dall’ultimo, magnifico disco degli irlandesi, per andare in estasi. I cinque di Dublino, dall’uscita di “To The Nameless Dead”, stanno attraversando un momento di grazia senza eguali, e si vede. Il trasporto, la convinzione che animano le loro gesta sul palco sono di un’altra categoria, passionali come non si era ancora visto in quest’edizione del Summer Breeze. Merito soprattutto del ‘solito’ Alan Nemtheanga, frontman di una caratura semplicemente superiore. Agghindato come un reduce dall’Inferno, con tanto di vestiti laceri e face-painting, il vocalist è protagonista di una performance meravigliosa, gonfia di pathos ed eroismo. Da lacrime agli occhi. Altri sei brani si succedono alla mastodontica opener (con un occhio di riguardo al recente “Redemption At The Puritan’s Hand”), per un’ora di catarsi vissuta con il cuore di un guerriero. E all’urlo di “Empire Falls”, degno epitaffio del concerto, non è certo il freddo della notte tedesca a farci rabbrividire. Fieri. Epici. Immortali. I migliori sono loro. Indimenticabili.
(Giacomo Slongo)
Setlist:
No Grave Deep Enough
Gods To The Godless
Lain With The Wolf
As Rome Burns
Bloodied Yet Unbowed
The Coffin Ships
Empire Falls
MOONSORROW
Nell’area festival principale i Primordial hanno da poco chiuso le danze in modo eroicamente commovente. Tutto si transenna, tutto si smonta. Ma restano ancora delle briciole d’energia per seguire due degli ultimi tre concerti del festival – i conclusivi Burden Of Grief ci hanno colto nel sonno, purtroppo. Dai Primordial ai finnici Moonsorrow il passo è talmente breve che Dublino ed Helsinki paiono città gemelle: folk-pagan metal epico e guerriero, ma riflessivo e dai profondi connotati atmosferici ed emotivi. E ci stupiscono i Moonsorrow, in quanto mai visti prima: l’opener “Tahdeton” ci trasporta in un’ipnosi gelida e ustionante allo stesso tempo, riffing liquido e sognante e melodie folkish d’ere passate e ormai andate. Il vocalismo black è fondamentale per la band, che catalizza l’attenzione dei presenti con disarmante bravura. Come vedete dalla setlist, in tre quarti d’ora di tempo, i finlandesi regalano solo quattro perle dal minutaggio lungo-lunghissimo, ma sono in grado abilmente di non annoiare e non risultare prolissi dando dimostrazione di grande maturità e capacità compositive non comuni. Bravissimi davvero. E ora si vola velocemente verso il Sud Europa, terra d’Ellenia…
(Marco Gallarati)
Setlist:
Tahdeton
Kivenkantaja
Aurinko Ja Kuu
Kuolleiden Maa
ROTTING CHRIST
Non lo nascondiamo: è con una certa emozione che ci apprestiamo ad assistere allo show dei Rotting Christ: forse perchè é l’ultimo prima di salutare le campagne di Dinkelsbühl? Probabile. Con le gelide sferzate dei Moonsorrow che ancora riecheggiano nell’aria del Party Stage, ci spostiamo in prossimità delle transenne, pronti all’ennesimo, graditissimo massacro. Basta aspettare qualche minuto: le luci si abbassano, parte l’intro estratto dalla colonna sonora di “300”, ed è subito putiferio. “Aealo” ed “Eon Aenaos”, tracce d’apertura dell’ultimo full-length, travolgono i pochi superstiti con la furia di un’idra incazzata e poco avvezza ai convenevoli, permettendo ai quattro ellenici di imporsi prepotentemente all’attenzione di tutti. Sakis e compagni, affiatatissimi dopo mesi di concerti, non risparmiano un briciolo di energia, palesando tutto l’amore nutrito per la propria musica, oggi più marziale ed epica che mai (“Dub-Sag-Ta-Ke” e “Noctis Era” docet). Unico sussulto della setlist – per il resto identica a quella degli ultimi due anni – l’esecuzione di “Transform All Suffering Into Plagues”, dal debutto “Thy Mighty Contract”, che di sicuro avrà fatto la felicità dei fan di vecchia data. Gli ultimi minuti del Summer Breeze li trascorriamo così, dunque, tra le file di una falange oplitica, costretti nelle nostre armature, versando sangue sul terreno di guerra. E se non c’è gloria in questo vi sfidiamo a trovarla altrove!
(Giacomo Slongo)
Setlist:
Aealo
Eon Aenaos
Athanati Este
Fire Death And Fear
The Sign Of Evil Existence
Transform All Suffering Into Plagues
The Sign Of Prime Creation
Phobos’ Synagogue
Dub-sag-ta-ke
Noctis Era
PILLOLE DI SUMMER BREEZE
SCAR SYMMETRY
Male, molto male gli Scar Symmetry. E potremmo anche decidere di fermarci qui, per non infierire più di quel tanto. Il death melodico della band (sempre che di ciò si tratti), riempito fino allo sfinimento da banali ritornelli puliti, annoia e avvilisce, facendo piangere il cuore a chiunque apprezzi il genere. Certo, nessuno discute la performance dal punto di vista tecnico, né tanto meno la preparazione dei musicisti sul palco, ma è difficile che qualcuno possa fare di peggio.
(Giacomo Slongo)
VADER
Non ce ne vogliano i Vader – per cui nutriamo un profondo rispetto – ma il loro show, questa sera, ha fatto scappare più di uno sbadiglio ai presenti. Vuoi per la stanchezza del viaggio, vuoi per dei suoni lontani dall’essere perfetti, lo spettacolo dei polacchi ci è sembrato trascinarsi, affannoso e privo di mordente. E la scelta di chiudere con le cover di “Black Sabbath” dei Black Sabbath e di “Raining Blood” degli Slayer, dopo nove dischi e vent’anni di carriera, di certo non li aiuta a salvarsi dal nostro giudizio non positivo.
(Giacomo Slongo)
THE SORROW
Ci ricordavamo gli austriaci The Sorrow, due anni fa sotto il Party Stage, autori di una bella prova: non possiamo dire che, a questo giro esibitisi sul Pain Stage, i metal-corer abbiano sfigurato del tutto, ma nonostante protagonisti di uno spettacolo che ha ben intrattenuto i fan tedeschi, abbiamo anche il dovere di segnalare come il loro stile sia ormai talmente trito e ritrito da venire a noia dopo soli 3-4 brani. Bravo il vocalist Mathias Schlegl, che da solo imbastisce bene il binomio scream-clean vocals con risultati positivi, ma per il resto i The Sorrow ci hanno detto pochissimo altro.
(Marco Gallarati)
ARCH ENEMY
Sinceramente abbiamo difficoltà a capire. Posizionati come pre-headliner della prima giornata, gli Arch Enemy della Coppia d’Oro Gossow-AmottMichael possono avvalersi di un impianto luci e pirotecnico di livello, di un’audience straordinariamente ampia e attenta, di un’esposizione praticamente perfetta. Ebbene…ma perché? Percome? Sono anni che la band vive di rendita e sull’immagine della Angela Uber Alles, ma on stage la perfezione è sempre lontanissima dal divenire, a causa della masturbazione chitarristica a cui sembra siano in debito i fratelli Amott e a causa dell’inadeguatezza vocale di una frontgirl brava e trascinante ma dal fiato cortissimo. Ennesima prova non all’altezza, ci spiace.
(Marco Gallarati)
WITCHERY
Esattamente un anno fa, dai palchi di questo stesso festival, Emperor Magus Caligula tenne il suo ultimo, satanico show alla guida dei Dark Funeral. Oggi lo ritroviamo (con tanto di armatura e face painting?!?) assieme agli Witchery, band guidata dal chitarrista dei The Haunted Patrik Jensen e completata da Martin Axenrot degli Opeth alla batteria e Sharlee D’Angelo degli Arch Enemy al basso. Il thrash-black metal degli svedesi intrattiene e diverte, aiutando i presenti a scacciare la stanchezza…perché sono pur sempre le 2 di notte!
(Giacomo Slongo)
TRIGGER THE BLOODSHED
I Trigger The Bloodshed salgono sul palco alle 11.00 del mattino della seconda giornata del festival, dopo che un nubifragio ha messo a ferro e fuoco l’intera camping area. I quattro inglesi, autori di un death metal moderno e muscolare, intrattengono quanto basta, senza riservare particolari sussulti. Discreti e abili ma niente di più, soprattutto a quest’ora del giorno.
(Giacomo Slongo)
KALMAH
Il primo pomeriggio prosegue in modo intenso sui palchi principali con l’esibizione dei finlandesi Kalmah, in passato quasi nominati eredi dei Children Of Bodom, ma poi andati un po’ alla deriva e assestatisi su un piglio qualitativo discreto ma non eccezionale. Esattamente come la performance di quest’oggi, che pur avendo riscosso buon successo fra l’audience, ha alternato alti e bassi esecutivi condizionati anche da una resa sonora non potente quanto si avrebbe voluto. Epiche e roboanti “The Black Waltz” e “Heroes To Us”, che però non sono bastate a farci applaudire con maggiore convinzione il combo guidato dai fratelli Pekka e Antti Kokko (eh sì, ridete pure, vi capiamo…).
(Marco Gallarati)
AMORPHIS
Ci spiace relegare gli ormai gloriosi Amorphis in queste Pillole di Summer Breeze, ma negli ultimi anni la band di Esa Holopainen e Tomi Koivusaari è stata talmente presente nelle nostre pagine-web che, anche se le facciamo un tale minuscolo torto, non crediamo i ragazzi se la prendano a male. Anche perché la performance dei sei di Helsinki è ormai una garanzia, da quando è Tomi Joutsen a presiedere i doveri vocali. Setlist incentrata sugli ultimi due fortunati lavori, “The Beginning Of Times” e “Skyforger”, mentre alle immancabili “Against Widows”, “My Kantele” e “The Castaway” è toccato il compito di rappresentare il passato. Grave e ingiustificata assente: “Black Winter Day”. Show pulito e onesto, come al solito.
(Marco Gallarati)
KATAKLYSM
Venti candeline, vent’anni di carriera all’insegna del death metal. Un traguardo considerevole, specie per i Kataklysm, gruppo che ha dovuto sgomitare parecchio per emergere dalle nebbie dell’underground canadese. Tempo di celebrazioni, quindi, con una setlist speciale e la registrazione di un dvd. Un piccolo evento, che attira – nonostante l’ora tarda – un gran numero di persone. La band non delude le aspettative dei fan e li ricompensa con uno show di primissimo livello, concluso sulle note di un trittico da infarto composto da “In Shadows And Dust”, “Crippled And Broken” e l’anthemica “Push The Venom”. Avanti così, per altri vent’anni.
(Giacomo Slongo)
ADEPT
Ci avviciniamo al Party Stage, una delle zone più ricercate per ottenere un po’ di rinfresco dal calore opprimente, in attesa dei Demonical e ci imbattiamo quindi negli svedesi Adept, giovane (ma attivo dal 2004) combo che suona il più stereotipato dei metal-core mai udito negli ultimi tempi. Ascoltiamo con attenzione altalenante i brani della setlist e sinceramente ci divertiamo abbastanza ad intuire in che momento della canzone ci sarà l’obbligatorio breakdown-mosh. A fine concerto, esce soddisfatta dal tendone una masnada di teenager, segno evidente che gli Adept fanno solo parte della moda, peraltro calante, del momento. Neanche un rantolo di personalità.
(Marco Gallarati)
AS I LAY DYING
Anche per gli As I Lay Dying vale un po’ lo stesso discorso fatto per gli Amorphis: seguita parecchio negli ultimi anni dal nostro portale, releghiamo la band di Tim Lambesis e Jordan Mancino fra le Pillole, ma non certo per demerito. Uno dei gruppi che sicuramente perdurerà alla moria delle band metal-core sa ancora intrattenere alla grande un’audience veramente cospicua accorsa all’altezza del Main Stage. E il quintetto di San Diego, infatti, la ripaga senza risparmiarsi, fra brani dell’ultimo “The Powerless Rise” e grandi classici dei dischi precedenti, con un finale roboante che prevede di seguito “Nothing Left”, “Forever”, “Confined” e “94 Hours”. Ottimi.
(Marco Gallarati)
ALTRI PHOTOSET
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