Introduzione e report a cura di Roberto Guerra
Fotografie copyright del Summer Breeze Open Air
Dopo una giornata di apertura ricca di band di tutto rispetto, nonché di molteplici contesti in cui festeggiare l’inizio di un festival rock/metal così atteso da una folta schiera di appassionati, è giunto ora il momento di iniziare a fare sul serio grazie all’inaugurazione del Main Stage rotante del quale, come accennato anche nel report precedente, si è fatto davvero un gran parlare sin da quando è stato deciso di optare per una soluzione così particolare, a scapito dei due palchi affiancati che ormai da diversi anni erano divenuti simbolo del Summer Breeze Open Air. Come di consueto, il bill odierno è studiato in modo da accontentare potenzialmente qualsiasi palato musicale, con una forte presenza di realtà estreme, senza però trascurare anche proposte più melodiche e cantabili, con in più qualche chicca sfiziosa a condire il tutto. Inutile far presente che anche oggi il Sole non vorrà saperne di dare un accenno di tregua fino al tramonto, rendendo così di fatto un po’ ostica la permanenza in alcune determinate zone del festival; tuttavia, la disposizione delle zone d’ombra permetterà di poter assistere a un discreto numero di esibizioni anche rimanendo al riparo, con una birra fresca in mano e gli immancabili occhiali da sole in veste di talismano salvavita. Detto questo, non vogliamo spoilerarvi nulla e per questo vi rimandiamo ai nostri trafiletti sulle varie esibizioni che abbiamo avuto modo di visionare, augurandovi ovviamente buona lettura!
PRO-PAIN
Cominciamo proprio con un’esibizione in programma sul Main Stage! Gli americani Pro-Pain non sono certo degli sconosciuti per chiunque si diletti con l’ascolto di sonorità di matrice groove/thrash metal e, nonostante l’orario parecchio caldo e soleggiato, sin dalla iniziale “Unrestrained”, la band si appresta a far valere tutte le proprie influenze hardcore invitando il pubblico presente a un po’ di sano moshpit mattutino, rallentando leggermente con le successive “Three Minutes Of Hate” e “Stand Tall”, per poi tornare a menare pesante con “Un-American”, sulla quale un filo di ‘anti-Trumpismo’ non guasta. E’ cosa ben nota che i Pro-Pain diano sempre la priorità alla propria esibizione, senza curarsi particolarmente dell’affluenza o dell’orario, e anche in questa sede sembra che Gary Meskil e compagni abbiano tutta l’intenzione di scaldare ulteriormente i presenti al meglio delle proprie possibilità, con un discreto successo per giunta, a quanto si può dedurre dalla reazione, comunque relativamente entusiasta, da parte di un pubblico ancora non particolarmente corposo ma adeguatamente fomentato in concomitanza delle varie “Deathwish”, “Draw Love”, “Shipe” e quant’altro. Anche i suoni si presentano ben curati e dotati del giusto impatto, il che lascia ben trasparire l’ottimo lavoro svolto dai tecnici per valorizzare le potenzialità del palco principale del Summer Breeze: chitarre ben definite, un volume della voce più che adeguato e una sezione ritmica in grado di trasmettere il giusto feedback non possono che stimolare la gioia di chiunque non possa immaginare un festival metal con dei suoni deboli o male equalizzati. Salutiamo i Pro-Pain sulle note di “Make War Not Love” e facciamogli i complimenti per averci fatto iniziare bene la giornata, che ci apprestiamo ad affrontare con tutto l’entusiasmo.
BACKYARD BABIES
Cambiamo totalmente genere con i rocker scandinavi Backyard Babies, caratterizzati da una formazione che è ancora unita on stage dopo quasi trent’anni di attività musicale insieme. Le prime file sono letteralmente gremite di estimatori ed estimatrici urlanti alla vista di Nicke Borg e Johan Blomqvist che, insieme ad Andreas “Dregen” Svensson e Peder Carlsson, subito fanno sfoggio di tutta la loro proverbiale attitudine sulle note di “Made Me Madman” e “Dysfunctional Professional”. Il divertimento generale che permea le esibizioni di questi quattro ragazzoni svedesi ha contribuito enormemente a far conoscere il loro nome al mondo intero, così come l’atmosfera festaiola e goliardica che si può percepire ad ogni accordo durante brani come “The Clash”, “Brand New Hate” o la recente “Shovin’ Rocks”, sulle quali molte fanciulle presenti fanno ondeggiare il fondoschiena mentre i maschietti si limitano a cantare e scuotere i capelli. Solo dieci pezzi purtroppo nella scaletta dei Backyard Babies quest’oggi, con una conclusione che giunge piuttosto in fretta accompagnata dalle note “Minus Celsius” e “Look At You”, dopo la quale possiamo fare i complimenti anche a ‘Dregen’ e soci, che ci hanno regalato un’oretta di ottimo rock’n roll senza fronzoli, prima di passare a qualcosa di decisamente più raffinato con l’esibizione successiva.
ORDEN OGAN
Parlando di power metal, è innegabile che i teutonici Orden Ogan rappresentino una delle realtà più popolari e distinguibili del momento, con all’attivo lavori di qualità inestimabile e caratterizzati ognuno da un concept proprio e riconoscibile. L’ultimo arrivato è ancora il fantastico “Gunmen”, anche se l’apertura del concerto odierno con “The New Shores Of Sadness” pesca da ben più indietro, e sin da subito si può notare la prima novità principale: il buon Sebastian Levermann, per la prima volta, non impugna uno strumento, limitandosi a tenere in mano unicamente il microfono; mentre invece Niels Loffler, che da diversi anni è riconosciuto come il bassista della band, sfoggia invece una chitarra nuova di zecca, affiancato dal sempre presente Tobias Kersting. Del basso non vi è traccia, così come della tastiera che molti fan chiedono a gran voce ormai da anni, il che potrebbe far storcere il naso a chi non è propriamente un estimatore della strumentazione in base, ma c’è anche da dire che la resa generale sembra averne guadagnato non poco: il trittico “F.E.V.E.R.”, “Gunman” e “Deaf Among The Blind” viene eseguito in maniera pressoché impeccabile, con un guitarwork curato meglio del solito, soprattutto per quanto riguarda gli assoli, e una presenza scenica del sopracitato frontman Seb decisamente più in linea con quanto ci si aspetta da una band così carica di energia. L’headbanging la fa da padrone per buona parte dell’esibizione, così come lo sfoggio vocale di una foltissima schiera di presenti in concomitanza dei famosi ritornelli di “Sorrow Is Your Tale”, “The Lord Of The Flies” e “We Are Pirates”, senza nulla togliere anche alle splendide “Come With Me To The Other Side” e “Forlorn And Forsaken”. La chiusura è affidata, come di consueto, a “The Things We Believe In”, anch’essa cantata a gran voce prima di dedicare un fragoroso applauso a una delle band più talentuose del momento, che tuttavia preferiremmo vedere dal vivo con qualche strumento in più e qualche base in meno, come anche svariati loro colleghi. Ci auguriamo che in futuro gli Orden Ogan possano accontentare questo nostro desiderio.
OBSCURA
Iniziamo effettivamente a parlare di metal estremo spostandoci sotto al T Stage insieme agli Obscura, e naturalmente parliamo del death metal più tecnico ed elaborato cui Steffen Kummerer e compagni ci hanno abituato da sempre. Il nuovo album “Diluvium” si è già aperto una breccia nel cuore di molti appassionati che confidavano in un degno seguito del già fantastico “Akròasis”; proprio da quest’ultimo proviene la devastante apertura a base di “Ten Sepiroth” e della title-track stessa dell’album in questione, seguita dal primo estratto del nuovo lavoro presente in scaletta: “Mortification Of The Vulgar Sun”. I quattro ‘mostri’ presenti on stage non fanno sconti a nessuno, riversando tutte le proprie strabilianti doti di tecnica strumentale, macinando note e arrivando quasi a provocare una crisi epilettica a chi non è abituato ad udire tali sfoggi di capacità esecutive e compositive. “The Anticosmic Overload” e la conclusiva “Centric Flow” rappresentano i picchi più datati dell’esibizione odierna, in quanto provenienti dall’album “Cosmogenesis” uscito ormai quasi dieci anni fa, mentre del nuovo arrivato viene proposta anche la title-track come penultimo brano presente in setlist. Quest’ultima purtroppo dura relativamente poco, costringendo i quattro deathster teutonici a congedarsi dopo appena tre quarti d’ora di show, per quanto non si possa negare che il minutaggio in questione sia stato davvero intenso e ricco di materiale su cui scervellarsi. Attendiamo ora la loro data italiana in compagnia dei Fallujah prevista per il prossimo 16 febbraio.
MUNICIPAL WASTE
Passiamo dalla tecnica strumentale più sopraffina all’ignoranza musicale più becera e, per questo, più appetitosa e fomentante per tutti coloro che da sempre amano il thrash metal anche nelle sue versioni meno pretenziose. I Municipal Waste sono maestri se si tratta di fare festa tra fiumi di birra e moshpit violento, e il loro ultimo album “Slime And Punishment” non ha deluso le aspettative, migliorando decisamente l’andamento generale della band dopo un predecessore non proprio convincente per tutti. Considerando la durata piuttosto breve di gran parte dei loro brani, la scaletta odierna può vantare dimensioni di tutto rispetto, nonostante anche qui i soli quarantacinque minuti a disposizione: un setlist ricca di estratti dediti al massacro come le recenti “Breathe Grase” e “Amateur Sketch”, senza trascurare ovviamente cavalli di battaglia tra cui “Sadistic Magician”, “Terror Shark” oppure l’emblematica “I Want To Kill The President”, con la quale un altro po’ di sano ‘anti-Trumpismo’ può farla da padrone, come ben si può dedurre anche da molte magliette indossate dagli estimatori presenti. Non c’è poi molto da dire su uno show ad opera di Tony Foresta, Ryan Waste e compagnia distruttiva, se non che quello che i fan si aspettano è esattamente ciò che riceveranno, dato che in tre quarti d’ora ci sono stati ben pochi attimi di respiro, in favore piuttosto di tanta adrenalina da sfogare all’interno di un circle-pit in buona compagnia, mentre cinque pazzoidi on stage triturano riff e sfuriate come se non ci fosse un domani. Se vi piace divertirvi procurandovi qualche livido, questa sarà sempre la band per voi!
BEHEMOTH
Torniamo all’ombra del Main Stage per l’irrinunciabile appuntamento con Nergal, Orion, Seth e Inferno, che vogliamo ringraziare anche per averci invitato alla degustazione della loro birra artigianale, da noi assaggiata con sommo apprezzamento. Come abbiamo avuto modo di enunciarvi anche in occasione del report dell’edizione appena trascorsa del Wacken Open Air, lo show che attualmente vede protagonisti i Behemoth è quanto di più suggestivo e magistralmente suonato si possa immaginare da parte di una delle band estreme più popolari del momento. Non ci sono particolari differenze da enfatizzare tra questa esibizione e quella cui abbiamo assistito un paio di settimane prima, il che tuttavia non rappresenta affatto un male, considerando l’incredibile fomento che ci pervade allo scoppio dei primi rintocchi di “Ov Fire And The Void”, seguita a ruota da “Demigod” e dalla oscura “Ora Pro Nobis Lucifer”; come quest’ultima, anche “Messe Noire”, “Blow Your Trumpets Gabriel” e la conclusiva “O Father O Satan O Sun” provengono dal discusso album “The Satanist”, che per quanto non abbia incontrato i gusti di molti ascoltatori, è innegabile che in sede live risulti oltremodo azzeccato per trasmettere la giusta atmosfera che i nostri quattro polacchi da sempre ricercano nelle loro composizioni. Senza tralasciare classici come “Conquer All”, “Decade Of Therion” o l’accoppiata “At The Left Hand Ov God” e “Slaves Shall Serve”, le attenzioni maggiori sono tutte per i due nuovi estratti provenienti dall’album di prossima uscita: sia “God=Dog” che “Wolves Of Siberia” rappresentano una succosa anteprima di ciò che avremo modo di sentire tra pochi mesi, le cui premesse sono decisamente positive e potenzialmente esaltanti. Il tramonto accompagna nuovamente un’esibizione pressoché impeccabile, ricca della giusta dose di cattiveria e blasfemia, che tutti noi apprezziamo e che ci permette di stabilire senza particolari ripensamenti che il concerto dei Behemoth quest’oggi difficilmente avrà rivali al momento di tirare le somme; una delle migliori band in assoluto in circolazione, in grado di fornire ogni volta una prova teatrale e curata nei minimi dettagli, anche grazie a un utilizzo ben studiato di fiamme e oggetti di scena. Il fermento, in attesa del tour in compagnia di At The Gates e Wolves In The Throne Room, si fa sempre più palpabile.
POWERWOLF
I teutonici Powerwolf sono ormai divenuti una vera e propria realtà di proporzioni mastodontiche all’interno del panorama metal mondiale, grazie alla loro particolare formula, in grado di unire il power metal alle atmosfere horror e clericali, che ormai da anni ha ottenuto i consensi di un numero spropositato di ascoltatori, tanto da permettere ad Attila e soci di ricoprire la posizione più alta all’interno dei bill di svariati eventi più o meno importanti. Con “Blessed & Possessed” e “Army Of The Night”, entrambe provenienti dal penultimo album, inizia il concerto più atteso della giornata, con una setlist in grado potenzialmente di attingere da ogni singolo lavoro della apprezzata band tedesca: immancabili le varie “Amen & Attack”, “Dead Boys Don’t Cry”, “All We Need Is Blood” e “Werewolves Of Armenia”, tutte perfettamente enfatizzate da un abbondante utilizzo di luci, fiamme e oggettistica varia. Sono solo tre gli estratti dall’ultimo arrivato “The Sacrament Of Sin”, rappresentato dai singoli “Demons Are A Girl’s Best Friend” e “Fire & Forgive”, nonché dalla ballabile “Incense & Iron”; forse ci saremmo aspettati qualche brano in più da un album che ha comunque ottenuto fior di consensi da parte di pubblico e critica, ma considerando la sola ora e mezza a disposizione non ci sentiamo di poterci lamentare. Allo stesso modo vogliamo chiudere un occhio sullo strafalcione dello smemorato Attila in concomitanza di “Armata Strigoi”, della quale viene cantata per due volte di fila la stessa identica strofa; un errore tutto sommato comune, che non ha influito sulla buona riuscita di uno show che raggiunge il suo apice al momento del trittico “Resurrection By Erection”, “Sanctified With Dynamite” e “We Drink Your Blood”, cui segue l’inevitabile chiusura con “Lupus Dei”. Indubbiamente non si tratta della band più varia e/o genuina in circolazione, anche per quanto riguarda le tecniche di resa sonora, ma è comunque difficile non ammettere che gli show dei Powerwolf riescano spesso ad esaltare e divertire chiunque abbia un palato adatto alla loro musica, e anche questa volta un sonoro cocktail a base di applausi e ovazioni non glielo nega nessuno. Anche loro passeranno a breve dalle nostre parti, se siete interessati vi suggeriamo di cogliere al volo l’occasione!
SUICIDAL TENDENCIES
Torniamo a parlare di crossover thrash con una delle band più emblematiche e rappresentative del genere: sin dagli anni ’80, infatti, i Suicidal Tendencies rappresentano una vera e propria istituzione per chiunque sia appassionato di certi tipi di sonorità influenzate tanto dal metal quanto dall’hardcore punk; tutto questo grazie anche alla peculiare attitudine, abbinata a dischi e concerti carichi di grinta e capacità di intrattenimento. Il nerboruto frontman Mike Muir è l’unico membro originale rimasto attivo all’interno della formazione, ed è proprio lui a dare il via al fomento generale dei presenti all’attacco delle note “You Can’t Bring Me Down” e “I Shot The Devil”, affiancato da altri quattro musicisti più giovani, ma indubbiamente talentuosi e dotati della giusta approccio on stage. Inutile dire che il moshpit e il movimento in generale diventano l’elemento predominante, e tutto ciò prosegue anche con le più recenti “Clap Like Ozzy” e “Freedumb”, prima di dedicarsi al quartetto di classici composto da “War Inside My Head”, “Subliminal”, “Possessed To Skate” e “Send Me Your Money”; durante il quale vengono persino fatti salire due fan sul palco, ben riconoscibili per via delle massicce scarpe da ginnastica bianche abbinate ai gilet di jeans strabordanti di toppe dedicate interamente al genere thrash. Questo non è altro che un assaggio in vista dell’attesissima invasione di palco in concomitanza delle fasi finali: in corrispondenza di “Cyco Vision” e della distruttiva “Pledge Your Allegiance”, il palco si riempie letteralmente di estimatori scatenati e intenti a rompersi l’osso del collo a forza di headbanging sfrenato, prima di permettere a Mike e compagni di congedarsi con la consapevolezza di aver regalato ai presenti un’oretta di sana goliardia musicale, abbinata ovviamente alla giusta dose di critica sociale che da sempre permea il filone d’appartenenza. Sebbene la formazione non sia più quella che è rimasta impressa nella storia, bisogna ammettere che, se tutti i loro concerti sono così carichi di energia, c’è solo di che essere entusiasti!
DIE APOKALYPTISCHEN REITER
Concludiamo la carrellata odierna spendendo qualche parola sui Cavalieri dell’Apocalisse teutonici più famosi al mondo. E’ risaputo che in Germania le realtà autoctone, soprattutto nel momento in cui cantano in lingua madre, tendano a ricevere un’accoglienza a dir poco speciale da parte di tutti gli estimatori presenti, il che si può ben identificare dal delirio più totale che viene a crearsi in concomitanza delle iniziali “Wir Sind Zuruck”, “Es Wird Schlimmer” e “Der Adler”: tra moshpit, crowdsurfing e canto fino allo sfinimento c’è davvero di che divertirsi durante l’esibizione dei Die Apokalyptischen Reiter, anche se si notano un paio di punti morti che si sarebbero potuti evitare, soprattutto nella fase centrale, resa volontariamente più lugubre e introspettiva. Facciamo a meno di dirvi che l’intera scaletta si compone interamente di brani cantati in tedesco, fatta eccezione per la breve “The Fire”, il che potrebbe volendo far storcere il naso a chi non riesce a capacitarsi di assistere a un concerto metal in una lingua diversa dall’inglese; ma è anche vero che il format è questo ed è indiscutibile che le carte in regola per permettere a questa band di godere della propria reputazione ci siano tutte. Dopo l’accoppiata “Wir” e “…Vom Ende Der Welt” possiamo finalmente lasciare l’area concerti per tornare in tenda a crollare dopo aver bevuto l’ultima birretta in compagnia, anche perché mancano ancora due giornate intere, e ci sarà sicuramente parecchio da visionare/ascoltare!