18/08/2018 - SUMMER BREEZE OPEN AIR 2018 – 4° giorno @ Dinkelsbuhl - Dinkelsbuhl (Germania)

Pubblicato il 02/10/2018 da

Introduzione e report a cura di Roberto Guerra
Fotografie copyright del Summer Breeze Open Air

Con il quarto giorno giunge effettivamente la conclusione della ventunesima edizione del Summer Breeze Open Air, che si appresta a salutare le migliaia di estimatori presenti con un’ultima giornata ancora più variegata delle precedenti per quanto riguarda le numerose proposte volte a soddisfare ogni genere di palato: ci sarà infatti spazio per le sonorità old school, passando per l’estremo, fino a sfociare in due vere e proprie chicche appartenenti a un filone del tutto differente, ma contemporaneamente ricco di spunti in comune con la nostra musica preferita. E’ risaputo che, quando un evento di tale portata sta per concludersi, la priorità di tutti consiste senza dubbio nel rendere le ultime ore più memorabili e sopra le righe possibile, in modo da poter sostenere di aver chiuso in bellezza un periodo a base di musica e buona compagnia, prima di tornare alla vita di tutti giorni e/o, nel nostro caso, al totale relax degli ultimi giorni di vacanza. A livello di temperatura, inoltre, per quanto non si possa dire abbia fatto freddo, bisogna ammettere come il rovescio del giorno precedente abbia contribuito a rendere l’ambiente più fresco e vivibile, soprattutto tenendo conto dei numerosi spostamenti necessari per poter assistere a tutte le esibizioni interessanti in programma, il che non può che aver favorito il sopracitato concetto di ‘ultima giornata vissuta al massimo’. Con ciò, bando alle ciance e vi rimandiamo ai trafiletti riguardanti le esibizioni odierne, augurandovi, come sempre, una buona lettura!

 


ORIGIN

Cominciamo proprio parlando di metal estremo, e per l’esattezza quello più tecnico e brutale ad opera degli statunitensi Origin, giunti quest’anno, un po’ come il festival stesso, al ventunesimo anniversario dalla formazione. Con “Expulsion Of Fury” e “Accident And Error” cominciano a intravedersi i primi moshpit e crowdsurfing, mentre l’indiscusso leader Paul Ryan viaggia sul manico della sua chitarra con tutta la destrezza necessaria a proporre un genere così complesso, affiancato ovviamente da altri due musicisti preparati e muniti di tutte le doti tecniche richieste, compreso un Jason Keyser ruggente, nonostante il suo growl sia da sempre ritenuto un po’ piatto da molti ascoltatori. Su “Saligia” subentra il vero momento distintivo di questo show rispetto ad altri: viene infatti fatto salire sul palco un ragazzo dal pubblico, col compito di fare ‘air-bass’ per tutta la durata del brano, in vista anche dell’assenza del bassista Mike Flores, che ha costretto la band ad esibirsi come trio per l’occasione; una mossa distintiva degli Origin, che non può che renderli ulteriormente meritevoli di un applauso, dal momento che non tutte le band sarebbero disposte a stabilire un simile contatto coi fan. La seconda metà del concerto segue perfettamente la linea dettata dalla prima, fungendo quindi da colonna sonora per un potenziale massacro fino alla conclusiva “The Aftermath”, dopo la quale possiamo anche andare a pranzare prima di proseguire con una giornata che è solo all’inizio.


PHIL CAMPBELL & THE BASTARD SONS

Per l’ennesima volta in questo movimentato 2018 vi parliamo della nuova band composta dall’iconico ex-chitarrista dei Motorhead e dai suoi Figli, intenti a proporre un’oretta a base di numerosi inediti e, ovviamente, di una manciata di cover immancabili e richieste a gran voce da ogni rocker che si rispetti presente nel pubblico. Dopo due brani freschi e recenti come “Big Mouth” e “Welcome To Hell”, si inizia a stimolare la nostalgia con la coppia d’assi composta da “Rock Out” e “Going To Brazil”, abbinate successivamente a “Born To Raise Hell” e “Silver Machine” degli Hawkwind; tutto ciò volto a condire una setlist improntata decisamente più sulle produzioni recenti ad opera della band intenta a suonare on stage, che comprensibilmente appare intenzionata a farsi conoscere per quelle che sono le proprie capacità, piuttosto che per quelle di qualcun altro, venuto purtroppo a mancare meno di tre anni fa. Tuttavia, i ragazzi il regalino “Ace Of Spades” prima delle fine ce lo fanno lo stesso, portando l’intero pubblico presente a fare sfoggio di tutte le proprie energie in concomitanza di una delle tracce più rappresentative di tutto ciò che è anche solo accostabile al rock’n roll. Delle varie volte che abbiamo avuto modo di veder dal vivo Phil Campbell e i suoi, non ci sentiamo di etichettare questa come la migliore dal punto di vista sentimentale, ma la capacità e l’attitudine di ogni singolo musicista non sono comunque messe in discussione, così come la qualità delle canzoni nate dalla loro mente, che magari non raggiungeranno mai i livelli di certi inni immortali, ma rappresentano comunque un più che gradevole ripiego per tutti noi.

ORANGE GOBLIN

Ci discostiamo non di molto da ciò che abbiamo appena visto, spostandoci in fretta e furia verso il T Stage per giungere in tempo per l’esibizione degli Orange Goblin, già visibilmente carichi e pronti a dare una lezione di stoner metal ai presenti. Il vocalist Ben Ward è noto per le sue capacità di coinvolgimento, e non è infatti un caso che, sin da dopo l’inizio con “Sons Of Salem”, quest’ultimo inizi a dare sfoggio della sua voce graffiante, non solo per motivi musicali, ma anche per fomentare il pubblico inneggiando alla causa dell’heavy metal e invitando i presenti a scatenarsi sulle varie “The Devil’s Whip”, “Saruman’s Wish”, “The Filthy And The Few”. Molta importanza viene data ovviamente al nuovo album “The Wolf Bites Back”, pur non mancando apprezzati estratti appartenenti al repertorio degli ultimi diciotto anni della band, che vanno a toccare il punto più datato con “Scorpionica”, senza purtroppo farci dono di qualche parentesi dedicata al primissimo periodo risalente alla fine degli anni ’90. Nonostante ciò, è innegabile che lo show sorretto da Ben e soci sia decisamente convincente e carico di una visibile passione per la musica da parte di tutti i ragazzi presenti sul palco, che in un’oretta sono riusciti a imporsi tra le migliori band esibitesi nella giornata a suon di gomitate e chitarre distorte, anche grazie a un’attitudine generale che sarebbe da trasmettere a numerosi altri artisti, decisamente troppo impostati rispetto a quanto sarebbe richiesto.

WOLFHEART

Rimaniamo nella stessa identica posizione per fare una scampagnata glaciale nelle fredde terre finlandesi in compagnia dei Wolfheart che, nonostante siano attivi da appena cinque anni, sono già giunti al quarto album in studio, riuscendo nel frattempo a portare sotto la propria ombra un elevatissimo numero di ascoltatori affezionati alle sonorità melodic death tipiche del Nord Europa. Dopo l’intro “Everlasting Fall”, il corpulento Tuomas Saukkonen fa capolino sul palco prontamente armato di chitarra a sette corde e voglioso di intonare le prime note della violenta e apprezzata “Aeon Of Cold”, seguita a ruota dalle ancora più datate “Ghosts Of Karelia” e “The Hunt”, prima di deviare finalmente sull’ultimo album con il singolo “Breakwater”, estratto più recente di una setlist breve, ma evidentemente permeata della voglia dei nostri quattro finnici di attingere da ogni singolo lavoro prodotto fino ad ora, come si può notare anche dalla conclusione, che giunge rapida dopo “Zero Gravity” e “Boneyard”. Uno show decisamente troppo rapido, ma comunque carico di empatia e capacità evocativa da parte di una band che dimostra ogni volta di meritarsi le attenzioni ottenute; anche per questo non possiamo che augurarci che la scia positiva possa continuare, permettendo ai Wolfheart di avere un futuro degno del nome, senza possibilmente scadere in certe ingenuità commesse da alcuni connazionali che facciamo a meno di nominarvi per evitare qualsiasi polemica.

DIRKSCHNEIDER

Rimanendo in tema di evergreen, ancora una volta ci approcciamo a parlare di un nostalgico concerto ad opera del buon Udo Dirkschneider, intento da ormai quasi tre anni a riproporre la propria ‘età dell’oro’ in sede live, in attesa di tornare a dedicarsi agli inediti. Come detto anche in occasione del Wacken Open Air di quest’anno, è davvero difficile poter anche solo pensare di parlar male di un concerto composto esclusivamente da inni classici dell’heavy metal made in Europe, dal momento che, come scriviamo sempre, certe setlist sarebbero quasi da insegnare nelle scuole. In questa occasione, il piccolo ma corpulento vocalist ha pensato di cambiare leggermente le carte in tavola, aprendo il concerto con “Metal Heart”, generalmente parte immancabile dell’encore finale, proseguendo poi con “Livin’ For Tonite”, “London Leatherboys”, “Midnight Mover”, “Breaker” e avanti così fino alla fine, un classico intramontabile dopo l’altro. Ribadiamo nuovamente che la band, pur dotata di tutte le capacità e di tutto il talento necessario, non può minimamente pensare di competere con Wolf Hoffmann e compagni, nonostante l’indiscutibile carisma storico di Udo e del chitarrista Stefan Kaufmann, che ricordiamo essere anch’egli un tassello relativamente importante della storia degli Accept. Nonostante ciò, sentire brani con cui siamo cresciuti provenire dall’ugola originale non può che farci enormemente piacere, pur trattandosi ormai dell’ennesima volta cui assistiamo allo stesso concerto, seppur con qualche piccola variazione all’interno del tema; anche per questo ci auguriamo che, alla fine di questo tour, ci sia nuovamente la possibilità di assistere a degli spettacoli più incentrati sugli inediti: il nuovo album “Steelfactory” è infatti già uscito sul mercato ed è tutto fuorché sgradevole.


W.A.S.P.

Avete presente quando attendete con discreta trepidazione, per tutta la durata di un festival, un concerto che poi per qualche motivo finirà col farvi sentire delusi e amareggiati nonostante gli spunti positivi? Ecco, questo è esattamente il caso dell’esibizione attuale degli W.A.S.P. e del loro frontman Blackie Lawless; ma andiamo con ordine. Essendo terminato il tour dedicato alla commemorazione dell’album “The Crimson Idol”, la setlist odierna si tinge di un colore decisamente meno ‘cremisi’ orientandosi verso la riproposizione di un gran numero di brani provenienti dall’intero repertorio della band di Los Angeles, il che potrebbe in teoria fare la gioia di svariati appassionati del genere. I problemi iniziano a vedersi già dall’inizio, poiché due classici come “On Your Knees” e “Inside The Electric Circus” sarebbe opportuno eseguirli per intero e non tagliati e appiccicati in modo da formare un medley che abbiamo trovato, francamente, fuori luogo e di cattivo gusto. Anche la cover di “The Real Me”, per quanto indiscutibilmente ben fatta, avremmo preferito vederla sostituita con qualche altro estratto del periodo più storico dei Nostri, i quali comunque picchiano durissimo con le varie “L.o.v.e. Machine” e “Arena Of Pleasure”, pur continuando a lasciarci intendere che qualcosa non va: gli assoli di chitarra ad opera di Doug Blair vengono infatti allungati e protratti all’inverosimile, forse per permettere al corpulento Blackie di recuperare un po’ di fiato, col conseguente risultato, però, di ridurre irrimediabilmente il tempo a disposizione; bizzarra anche la scelta di inserire ben tre estratti dai recenti “Dominator” e “Babylon”, anche se è tutto sommato comprensibile che la band voglia proporre qualcosa di relativamente nuovo. Un altro gesto abbastanza discutibile consiste nel fatto di aver fatto durare la pausa prima dell’encore un tempo superiore ai dieci minuti, cosa che qualsiasi buon professionista non dovrebbe mai fare per non smorzare eccessivamente un entusiasmo già, in questo caso, alquanto penalizzato; senza tenere conto anche del contesto non propriamente indicato per inserire una realtà appartenente al filone degli W.A.S.P. in veste da headliner. Il prevedibile encore si compone del trittico “Chainsaw Charlie (Murders In The New Morgue)”, “Wild Child” e “I Wanna Be Somebody”, concludendo uno show composto da sole undici tracce complete nonostante l’ora e mezza abbondante a disposizione, il che ci lascia con più di qualche preoccupazione per quanto concerne lo stato attuale di una band che tanto amiamo e che tanto ci ha dato, ma che musicalmente e professionalmente sembra essere su una china non propriamente rassicurante; speriamo ovviamente di sbagliarci.

BLOODBATH

Ancora metal estremo e, soprattutto, ancora Nick Holmes, che abbiamo già visto poche ore fa in occasione dell’esibizione dei Paradise Lost, e che ora attendiamo nella sua nuova veste sanguinolenta e brutale. Le doti tecniche dei Bloodbath sono cosa ben nota, anche tenendo conto del ruolo dei musicisti coinvolti in progetti particolari come Katatonia e Opeth, e anche in questo caso il massacro non potrebbe essere riposto in mani più sapienti: le varie “Cry My Name”, “So You Die”, “Cancer Of The Soul” sono delle vere e proprie garanzie per ogni appassionato di violenza musicale, e non possiamo che essere entusiasti della scelta della band di dedicare quasi tutta la scaletta agli album “Resurrection Through Carnage” e “Nightmares Made Flesh”, quest’ultimo, ricordiamo, al compimento dei quindici anni nel 2019. L’esecuzione è pressoché maiuscola da parte di tutta la band, così come la risposta da parte degli estimatori, fra i quali alcuni prontamente agghindati a festa con tanto di abiti da chirurgo e litri di sangue finto per ricreare la giusta atmosfera. L’ultima, almeno per noi, esibizione estrema del Summer Breeze 2018 si conclude inevitabilmente con “Eaten”, prima di permetterci di esaurire definitivamente le nostre energie con i due artisti più particolari e inaspettatamente coinvolgenti dell’intero evento.

CARPENTER BRUT

Il full-length “Leather Teeth” ad opera del compositore francese Franck Hueso, alias Carpenter Brut, è stato promosso sulle nostre pagine con un voto al limite dello stellare per via della sua freschezza abbinata a quel gusto amarcord in riferimento alle colonne sonore dei film anni ’80 e alla musica synth di quel periodo, abbinata ovviamente ai numerosi orpelli visivi che da sempre ne contraddistinguono la proposta e, ovviamente, ai numerosi punti di contatto con la scena heavy metal degli stessi anni. La curiosità, così come anche lo scetticismo, la fanno quindi da padrone negli attimi precedenti lo scoppio delle luci al neon in concomitanza della titletrack del sopracitato album. Inutile dire che dello scetticismo non vi è immediatamente più traccia, sostituito da un fomento al limite dell’assurdo, prontamente da noi enfatizzato grazie a una improbabile combinazione di ballo ed headbanging, confermandoci ulteriormente che la synthwave è un movimento che ci piace, e non poco! Il disco più recente viene proposto nella sua interezza, con in più qualche parentesi sui primi EP, il tutto condito da un utilizzo maniacale delle luci e, soprattutto, di numerosi video realizzati ad hoc e stracolmi di riferimenti ai film d’azione e ai b-movie degli anni ’80, con in più tantissime immagini volte a rievocare la diffusione del movimento hard/heavy nella cultura pop; inutile dire che tutto ciò ci ha fatto letteralmente inturgidire dalla goduria, mentre il buon Franck e i due musicisti al suo fianco, aiutati da dei suoni perfetti, ricreano delle atmosfere al limite dello psichedelico e del tamarro, senza mai però scadere nella monotonia grazie a dei brani tutti ben differenziati e riconoscibili, composti con una cura e un’ispirazione che definiremmo da applausi. La finale cover di “Maniac” poi è la ciliegina sulla torta, che permette al gusto dell’intero dolce di esplodere al contatto con le papille gustative, mandandoci letteralmente in visibilio e concludendo lo show più sorprendente dell’intero festival, grazie al quale ci siamo innamorati ancora di più di Carpenter Brut e dell’intero movimento synthwave; tant’è che, a rischio di far infuriare certi metallari un po’ troppo chiusi, possiamo dichiarare senza particolari ripensamenti che con una console, una chitarra e una batteria, il nostro Franck e i suoi sono riusciti ad arare letteralmente un numero imprecisato di band metal fatte e finite che si sono esibite nelle ore precedenti. Magia pura, credeteci perché ne vale la pena!

PERTURBATOR

Rimaniamo sulla synthwave con il degno rivale di chi si è esibito prima: James Kent, alias Perturbator, è infatti un altro artista tra i più amati in assoluto tra quelli dediti al suddetto filone, pur prediligendo uno stile leggermente meno sopra le righe, ma comunque carico della giusta dose di essenza cyberpunk e di atmosfere riconducibili tanto ai film e ai videogiochi, quanto persino al black metal sotto alcuni punti di vista. La chitarra in questo caso non è presente, poiché James e il suo socio dietro alle pelli si applicano in modo da occuparsi di tutto il comparto sonoro necessario a rendere adeguatamente stimolanti brani come “Neo Tokyo”, “Satanic Rites”, “She Moves Like A Knife”, con risultati decisamente positivi e che non fanno sentire affatto la mancanza di altri elementi on stage. Purtroppo l’ora tarda, del quarto giorno di festival per giunta, ha reso più difficile la permanenza in prossimità del T Stage durante un concerto così particolare, decisamente più adatto a persone non del tutto esaurite e/o sprovviste dell’energia necessaria, costringendoci in un certo senso a rimandare una valutazione veramente completa dello show in questione, pur non potendo assolutamente non ammettere che Perturbator, come il suo collega Carpenter Brut, ci piaccia davvero tanto e che i suoi pezzi siano quanto di più evocativo e stimolante si possa trovare all’interno del settore in questione; chi conosce i suoi dischi sa bene di cosa stiamo parlando, tant’è che presto potrebbe giungere un’altra bella recensione sulle nostre pagine.

Con questo ultimo trafiletto, concludiamo definitivamente la nostra estate metallica e, ovviamente, il nostro report dedicato all’edizione 2018 del Summer Breeze Open Air, un evento che ha saputo regalarci numerosi attimi di divertimento ed esaltazione in compagnia degli amici e di un elevatissimo numero di artisti di talento; per questo vogliamo ancora una volta ringraziare l’organizzazione per averci ospitato e per averci permesso di dedicare queste parole a uno dei festival metal europei più importanti ed affermati.

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