15/08/2019 - SUMMER BREEZE OPEN AIR 2019 – 2° giorno @ Dinkelsbuhl - Dinkelsbuhl (Germania)

Pubblicato il 13/10/2019 da

A cura di Roberto Guerra

Dopo una prima trafila di band in grado di risultare ben più di un banale riscaldamento in vista delle tre giornate successive, nella giornata di Ferragosto siamo pronti ad inaugurare il Main Stage rotante del Summer Breeze in compagnia di una seconda carrellata di formazioni dedite ai generi più vari e disparati, e che vedranno negli In Flames e negli Avantasia i propri alfieri principali, affiancati tuttavia da diverse altre proposte che sicuramente sapranno sorprenderci in più di una maniera. Inoltre, le realtà inferiori non saranno certamente da meno, dandoci una valida ragione per intraprendere qualche sana camminata per passare prontamente da un palco all’altro. Nulla di particolare da segnalare per quel che concerne organizzazione e circostanze varie, tranne qualche singhiozzo del meteo. Buona lettura!

 


IRON REAGAN

Come darsi una sonora batosta la mattina con il principale scopo di farsi passare il sonno residuo? Ma naturalmente assistendo all’effettiva inaugurazione del Main Stage, affidata in questo caso alla seconda formazione guidata dal sempre più burbero vocalist Tony Foresta. Con gli Iron Reagan si parla di casino e macello, con più di un occhio strizzato in direzione del crossover thrash e dell’hardcore punk più cafone e antisociale, e in questo caso con una lunga setlist composta da brani diretti e dalla durata a dir poco infinitesimale, dando quasi allo show la parvenza di essere più lungo e duraturo rispetto ai miseri tre quarti d’ora previsti. Su un concerto con queste caratteristiche non c’è poi tantissimo da scrivere: quarantacinque minuti di aggressività urbana a suon di ritmiche taglienti, chitarroni pesanti e riff squisitamente semplici e d’impatto, abbinati ovviamente alla performance vocale grezza e rabbiosa del sopracitato frontman, che, in aggiunta, non perde occasione per scherzare ed ironizzare un po’ col pubblico presente, lanciando anche qualche frecciata a determinati soggetti e/o atteggiamenti di cui si sente spesso parlare oggigiorno in televisione o sui giornali. Tanto divertimento e una sveglia come poche se ne potrebbero avere sono due elementi che ci fanno iniziare letteralmente la giornata col massimo dell’entusiasmo, pronti a stravolgere più di una volta il sottogenere e le carte in tavola con la sola intenzione di saziare la nostra fame di musica in diverse sfumature.


TWILIGHT FORCE

Neanche il tempo di ribadire il concetto espresso poco fa, che è già il momento di abbandonare manganelli, bandane e fumogeni per imbracciare arco e spada, dopo aver indossato un’armatura scintillante ornata da un mantello decorato. Già, perché la tappa in prossimità del T-Stage prevede l’arrivo sul palco di quel piccolo squadrone di avventurieri che risponde al nome di Twilight Force, rappresentato da un po’ di tempo dal nostro affezionato e talentuoso vocalist Alessandro Conti, ora munito di pelliccia e abito nero, come se si trattasse di un Guardiano della Notte a protezione della Barriera a Nord. Come prevedibile, l’accoglienza sulle note di “Battles Of Arcane Might” appare piuttosto calorosa e solare, proseguendo con “To The Stars” e “Riders Of The Dawn”, fino ad arrivare alla nuovissime “Dawn Of The Dragonstar” e “Queen Of Eternity”, la quale giunge al momento del suo debutto in sede live. Il buon Ale appare sin da subito inserito nella parte, facendo sempre un ottimo sfoggio della sua ben nota e limpida ugola, rapportandosi con coinvolgimento e simpatia con il pubblico presente, soprattutto al momento della cosiddetta ‘corsa dei draghi’ in concomitanza di “Flight Of The Sapphire Dragon”, durante la quale ben due esponenti del pubblico si cimentano in un eroico atto di crowdsurfing a cavallo di un drago gonfiabile, nella speranza di arrivare primi vincendo così una copia dell’ultimo, gradevolissimo album “Dawn Of The Dragonstar”. Tutto questo fa parte del fanciullesco spettacolo fantasy messo in piedi dai Twilight Force, che comunque si destreggiano con capacità e doti esecutive, valorizzando una proposta decisamente incline all’intrattenimento della folla. Peccato solo per la decisione di includere la sola “The Power Of The Ancient Force”, in veste di traccia conclusiva, quale unico estratto dal primo lavoro “Tales Of The Ancient Prophecies”, tramite il quale molti di noi hanno avuto modo, a suo tempo, di avvicinarsi alla loro musica.

Setlist:

Battle Of Arcane Might
To The Stars
Riders Of The Dawn
Dawn Of The Dragonstar
Queen Of Eternity
Flight Of The Sapphire Dragon
Gates Of Glory
The Power Of The Ancient Force


AVATAR

Di nuovo all’ombra del Main Stage, mentre l’ormai ben noto Re e i suoi commilitoni si approcciano a palesarsi on stage al risonar dei rintocchi del peculiare riff introduttivo di “Hail The Apocalypse”, basato tutto su un gioco di leva delle chitarre prontamente munite di ponte mobile. Il tutto mentre quella sorta di portavoce folle e dipinto che risponde al nome di Johannes Eckerstrom inizia a intrattenere i presenti, facendo sfoggio della sua tipica espressività malata e accattivante e spiazzando tutti grazie alla sua inaspettata conoscenza della lingua tedesca, nonostante la provenienza svedese dell’intero combo. La presenza del Re si fa più evidente con “A Statue Of The King”, anche se la scaletta selezionata mira a citare un po’ tutti i lavori usciti negli ultimi otto anni, ovvero da quando è avvenuto il cambio stilistico che ha fatto la fortuna di questa band così schizzata e bizzarra. Per l’intrattenimento puro c’è moltissimo spazio, così come per lo stupore generale ogni qualvolta le immense capacità degli Avatar si rendono più riconoscibili ed identificabili: esecuzione e scena perfettamente amalgamate in un tripudio di colore e follia, così da rendere la nostra trasferta nella cosiddetta Avatar Country una sorta di vero e proprio freakshow, proposto però con intelligenza e talento indiscutibile; citazione voluta alle conclusive “The King Welcomes You To Avatar Country” e “Smells Like A Freakshow”. Poco da dire, gli Avatar meritano assolutamente la loro popolarità ormai sempre più massiccia e peculiare, anche perché nel panorama delle band moderne riteniamo sia giusto sapere in che modo vale la pena osare, e il buon Re Tim Ohrstrom sicuramente sa come proporre la sua creatura.

Setlist:

Hail The Apocalypse
A Statue Of The King
Paint Me Red
Bloody Angel
The Eagle Has Landed
Get In Line
Let It Burn
Tsar Bomba
The King Welcomes You To Avatar Country
Smells Like A Freakshow


DECAPITATED

Altra passeggiata verso il T-Stage, altro cambio repentino di genere trattato, in compagnia di una delle più iconiche e rappresentative technical death metal band dell’intera scena. Notoriamente con i Decapitated non c’è assolutamente da scherzare, e nonostante le recenti vicissitudini che hanno, in parte, rallentato la loro già brillante carriera, qui il quartetto polacco appare motivato e ruggente nella sua voglia di esprimere ferocia e violenza, con in più quella tipica capacità tecnica che da sempre ne contraddistingue lo stile esecutivo. L’accoppiata iniziale composta da “One-Eyed Nation” e “Kill The Cult” pesca a piè pari dal recente “Anticult”, così come anche quella successiva a base di “Never” e “Earth Scar”, con in più una discreta parentesi dedicata all’apprezzato “Carnival Is Forever” nel mezzo, con quelle “Pest” e “Homo Sum” già divenute dei veri e propri cult per tutti gli amanti del genere trattato. Soltanto nel finale ci è possibile ascoltare un po’ di Decapitated di inizio carriera, con le sempre immancabili “Spheres Of Madness” e “Winds Of Creation”, grazie alle quali anche il moshpit può animarsi e toccare livelli più elevati rispetto a quanto fatto precedentemente. Rafal Piotrowski è sempre e comunque l’anima della festa in questi momenti, anche se non poteva che essere Waclaw ‘Vogg’ Kieltyka con la sua sette corde ad attirare l’attenzione più di tutti, essendo ormai l’ultimo membro originale rimasto, nonché principale compositore di quelle miscele di collera e raffinatezza che abbiamo avuto modo di sentire in questi tre quarti d’ora. Prima di passare alla vera sorpresa del giorno, porgiamo i nostri saluti ai Decapitated che, nonostante tutti i problemi che hanno dovuto affrontare nel corso della propria attività, riescono sempre e comunque a colpirci in pieno grugno con la loro musica.

Setlist:

One-Eyed Nation
Kill The Cult
Pest
Homo Sum
Never
Earth Scar
Spheres Of Madness
Winds Of Creation


LIK

Un nome così breve ed apparentemente improbabile, per una formazione che sarebbe a dir poco un crimine sottovalutare: i Lik non sono infatti una realtà composta da novellini, bensì da musicisti capaci e navigati, con all’interno del proprio curriculum la partecipazione in entità del calibro di Katatonia, Bloodbath, Witchery, componendo così un interessante quadretto volto a rappresentare una potenziale stella nascente dello swedish death metal più puro. Il loro tutto sommato breve show si potrebbe riassumere velocemente, trattandosi di una vera e propria sassata inaspettata arrivata in pieno sui nostri denti sin dai primi terremotanti battiti, da parte di un quartetto di musicisti che in tempo zero conferma quelle che erano le nostre buone impressioni iniziali, fiocinandoci nelle budella con un death metal scandinavo classico, veloce e affilato come pochi altri; senza mai risultare casinisti o cacofonici, avendo comunque una musicalità molto marcata, che ci riporta alla mente rapidamente realtà come Carcass, Grave, The Crown e molte altre. Dire che siamo stupiti è poco, da una proposta dotata di un’efficacia ed una maturità esecutiva da fare invidia a svariate formazioni più navigate; a noi il death metal classico piace tantissimo, e imbatterci quasi per caso in uno show tra i migliori dell’intero festival, tenuto per giunta sul più piccolo dei tre palchi situati all’interno dell’area, è quanto di più fomentante potessimo desiderare. Solo trenta minuti intensi e fulminanti al massimo, che ci fanno immediatamente desiderare di fiondarci dal primo venditore per fare nostra una copia dell’ultimo lavoro “Carnage” e del suo predecessore “Mass Funeral Evocation”. Fidatevi di noi se vi piace il death metal, perché questi la sanno lunghissima!


TESTAMENT

Dopo una sana pausa dai concerti per metallari del meo carota, quali noi siamo, torniamo a sprigionare adrenalina con la quarta occasione, in pochissimi mesi, in cui possiamo assistere ad uno show dei granitici Testament, la cui essenza bestiale e proposta in modo impeccabile è sempre e comunque una vera e propria garanzia di successo. Sempre con “Brotherhood Of The Snake”, il ruggito della belva Chuck Billy si leva verso il cielo, protraendo la propria caccia famelica con “The Pale King” e “More Than Meets The Eye”, per la gioia di tutti i presenti più agguerriti. Tuttavia, è con “D.N.R.” che la Terra può effettivamente infrangersi sotto i colpi di Gene Hoglan dietro alle pelli, mentre il trittico di asce più indistruttibile del thrash metal miete vittime in prima linea, rigorosamente senza mai sbagliare un solo colpo, nemmeno quando “Low” scalda ulteriormente il fomento di alcuni presenti, prima del botto definitivo con “Into The Pit”. “Electric Crown” e “Practice What You Preach” quietano leggermente gli animi, dando più spazio alla voglia di sgolarsi degli estimatori, anche se ci vuole relativamente poco a raggiungere la massacrante accoppiata a base di “The New Order” e “Over The Wall”, che comunque ancora non rappresenta gli ultimi vagiti di quelle figure irate e di classe che si ergono di fronte a noi; sarà solo con “Disciples Of The Watch” e “The Formation Of Damnation” che la Terra cesserà il proprio moto sussultorio e tremante. Non c’è storia, dei Testament non è possibile stancarsi, e ogni volta che si palesano su un palco significa che si starà per assistere a un magnifico sfoggio di capacità e grinta, che col prossimo album potrà rinnovarsi nuovamente, per poi iniziare a far sgorgare sangue caldo in occasione del nuovo tour previsto per il nuovo anno, al fianco di Exodus e Death Angel. Ovviamente noi ci saremo!

Setlist:

Brotherhood Of The Snake
The Pale King
More Than Meets The Eye
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
Low
Into The Pit
Electric Crown
Practice What You Preach
The New Order
Over The Wall
Disciples Of The Watch
The Formation Of Damnation


IN FLAMES

L’ultimo album degli In Flames, “I, The Mask”, tutto sommato ci è piaciuto, soprattutto in paragone al curriculum degli ultimi otto anni, non propriamente in linea con quanto si desidererebbe da una formazione che in passato ha saputo darci non poche gioie. Inoltre, un’area concerti gremita e satura come mai nel corso della medesima edizione del Summer Breeze si aggiunge alla lista di motivi per cui questa volta potremmo rimanere piacevolmente colpiti dallo show ad opera di Anders Fridén e compagni. La comparsa sul palco dell’immenso Chris Broderick alla seconda chitarra rappresenta un’ulteriore potenziale garanzia di buona riuscita, anche se quest’ultimo, col trascorrere dei minuti, si rivelerà davvero sprecato come pochi altri prima di lui, anche perché le fasi soliste saranno interamente affidate a Bjorn Gelotte, che, per quanto membro della band da ormai venticinque anni, non può minimamente competere col suo collega statunitense in termini di tecnica. Dopo un prevedibile inizio con “Voices” e un prosieguo immediato discutibile con “Everything’s Gone”, un momento di goduria giunge con la mitica “Pinball Map”, che rimarrà anche l’unico brano antecedente il periodo più mainstream della band per tutta la prima parte dello show. Fortunatamente, con l’accoppiata “The Chosen Pessimist” / “Leeches” possiamo tornare a sorridere, dopo una prevalenza decisamente non proprio nelle nostre corde di estratti dai vari e mediocri “Sounds Of A Playground Fading” e “Siren Charms”. Fino ad ora la risposta del pubblico, malgrado le nostre perplessità, è stata dirompente e festaiola come prevedibile, con una marea di fan intenti a surfare sul pubblico incitati dallo stesso Anders Fridén, che ci fa davvero felici all’annuncio della attesa “Colony”, prima di una fase finale tutto sommato senza infamia e senza lode, sebbene da “Battles” noi personalmente avremmo fatto pure a meno di sentire alcunché. All’atto pratico, la band recita abbastanza bene la sua parte, pur avendo relegato un fenomeno come Chris Broderick alla sola ritmica e avendoci lasciato per l’ennesima volta l’amaro in bocca con la scaletta selezionata, proposta per giunta senza la cattiveria che ci saremmo aspettati; alla fine, gli In Flames ora sono questi e ci chiediamo se valga ancora la pena continuare a invocarne a gran voce la versione precedente. Dopotutto il pubblico gradisce e si diverte e noi, per quanto nuovamente delusi, ci accontentiamo di quanto abbiamo visto nell’ultima ora e mezza.

Setlist:

Voices
Everything’s Gone
Pinball Map
Where The Dead Ships Dwell
Call My Name
Monsters In The Ballroom
All For Me
(This Is Our) House
Deep Inside
The Chosen Pessimist
Leeches
Burn
Colony
The Truth
I Am Above
Cloud Connected
The Mirror’s Truth
The End


AVANTASIA

Anche del progetto power metal più ambizioso degli ultimi vent’anni si è fatto un gran parlare in diverse occasioni, tra cui la spettacolare data in quel di Milano in occasione del tour dedicato all’ultimo album “Moonglow”. In questa cornice purtroppo lo show sarà per forza di cose molto più breve e – ahinoi – sprovvisto del buon Ronnie Atkins, il quale ha probabilmente deciso di non partecipare per motivi anche abbastanza ipotizzabili, alla luce delle recenti notizie. Tuttavia, il fantasioso Tobias Sammet e la sua folta schiera di musicisti sono comunque carichi e vogliosi di incantarci nuovamente sin dalla caduta del telo sui primi rintocchi della iniziale “Ghost In The Moon”, seguita prontamente dalla grintosa “Book Of Shallows” e dalla ormai irrinunciabile e poetica “The Scarecrow”, sulla quale non può che essere sua maestà Jorn Lande il vero protagonista. In generale, lo show è quello che si può desiderare dagli Avantasia, nonostante le lievi mancanze sopra menzionate, con una trafila di vocalist incredibili intenti a susseguirsi e spalleggiarsi in una setlist colma di empatia ed emozione, che purtroppo termina inevitabilmente troppo presto e orfana anche di un paio di estratti che avremmo tanto voluto sentire nuovamente. Ciò nonostante, la nostra commozione in concomitanza delle varie “Lucifer”, “Invincible”, “The Story Ain’t Over”, “Dying For An Angel” rimane quella di sempre, ed è sempre un piacere vedere sul palco gente del calibro di Geoff Tate, Bob Catley ed Eric Martin tessere profonde linee vocali mentre un combo di musicisti di prim’ordine si destreggia sui propri strumenti. Anche il trittico di coristi, e occasionalmente voci soliste, svolge perfettamente il proprio incarico, permettendo alla notte di abbracciare definitivamente la location di Dinkelsbuhl alla tiepida luce della pallida luna, più o meno coperta dalle nuvole. Al momento di chiudere le danze con “Lost In Space” e “Sign Of The Cross” / “The Seven Angels” possiamo riconoscere di non aver visto i migliori Avantasia di sempre, ma comunque una valida versione di essi, il cui ricordo ci porterà con un sorriso fino al momento in cui dovremo chiudere gli occhi per dormire. Ma prima di allora, ci sono un altro paio di valutazioni che dobbiamo fare…

Setlist:

Ghost in the Moon
Book of Shallows
The Scarecrow
Lucifer
Reach Out for the Light
Alchemy
Invincible
The Story Ain’t Over
Dying for an Angel
Twisted Mind
Let the Storm Descend Upon You
Mystery of a Blood Red Rose
Lost in Space
Sign of the Cross / The Seven Angels


MESHUGGAH

Avendoli balzati a pié pari in quel di Wacken, rimediamo al Summer Breeze esprimendo il nostro parere sull’apparizione in sede live di una delle formazioni più apprezzate ed innovative dell’intero panorama estremo. I Meshuggah su un palco importante come questo possono davvero devastare tutto il possibile, sfoggiando ritmiche martellanti, complesse e caratterizzate da note basse e vibranti, al punto tale da portare nuovamente il suolo a tremare, seppur in modo differente rispetto a chi li ha preceduti. Con “Pavros” e “Born In Dissonance”, è proprio la dissonanza voluta a farla da padrone, partorita però da un combo di musicisti immensi e demolitivi nelle loro singole performance, anche se alle orecchie di alcuni ascoltatori la proposta dei Meshuggah può continuare a risultare a tratti un po’ prolissa. Momenti più cadenzati, alternati ad alcuni sfoghi di collera musicale, condiscono un’ora e un quarto di cervellotica violenza musicale ed artistica, che culmina nel finale sui cupi battiti di “Bleed” e “Demiurge”. A prescindere dalle opinioni personali, un concerto dei Meshuggah è prima di tutto un’esperienza elevata e stimolante, che non possiamo far altro che consigliare a chiunque abbia la pazienza e la resistenza uditiva sufficiente per non farsi uscire sangue dalle orecchie.

Setlist:

Pravus
Born in Dissonance
The Hurt That Finds You First
Rational Gaze
Future Breed Machine
Stengah
Straws Pulled at Random
Clockworks
Lethargica
Bleed
Demiurge


BATTLE BEAST

Ricordate cosa abbiamo detto in occasione del recente report dello show dei Battle Beast tenuto su uno dei main stage del Wacken Open Air? Ebbene, le nostre impressioni durante questo, almeno per noi, conclusivo concerto della serata in prossimità del T-Stage non sono poi molto diverse, poiché i pregi e i difetti sono all’incirca gli stessi della volta precedente: una setlist incentrata quasi esclusivamente sugli estratti più prevedibili dagli ultimi due prodotti in studio, eccezion fatta solo per la bella “Black Ninja”, che spezza un po’ la monotonia dei recenti concerti ad opera della band finlandese, e i soliti siparietti recitati nella stessa ed identica maniera. Tutto ciò è un male fino a un certo punto, dato che l’oretta di esibizione fluisce comunque in maniera divertente e ben confezionata, con un’intera band sul pezzo e sempre simpatica e preparata per quello che è il suo compito; ma continua a picchiettarci in testa quella sorta di uccellino che non può proprio fare a meno di rimandarci alla formazione nata dalla mente dell’ex leader, nonché compositore, cui si devono i primi tre bellissimi album. E in questo caso, dato che in precedenza si è parlato di confronti, tutto ciò viene ulteriormente enfatizzato dal fatto che nella giornata di domani toccherà proprio al buon Anton dire la sua, dinnanzi a un pubblico evidentemente curioso di poter mettere le due formazioni su un medesimo piano per poterle valutare. In ogni caso, questo è un argomento per il prossimo atto di questo report, per cui per il momento preferiamo fare un discreto applauso ai Battle Beast per averci comunque intrattenuto piacevolmente ancora una volta con brani gradevoli e orecchiabili, suonati certamente con grazia e capacità. Con ciò possiamo ritirarci nuovamente, in attesa di una terza giornata che sarà intensa almeno quanto quelle di cui abbiamo scritto fino ad ora.

Setlist:

Unbroken
Familiar Hell
Straight to the Heart
Black Ninja
Endless Summer
The Golden Horde
Bastard Son of Odin
The Hero
Eden
No More Hollywood Endings
King for a Day
Beyond the Burning Skies

 

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