Report a cura di Roberto Guerra
Ebbene sì, la nostra maratona di eventi metallari estivi sta per giungere al termine, con una quarta giornata di Summer Breeze apparentemente più rilassata rispetto alle precedenti, almeno per quel che concerne i nostri gusti personali. Tuttavia, a parte la scelta degli headliner non del tutto inerente alle nostre preferenze, non mancheranno un paio di chicche che saranno certamente in grado di dare un sapore sfizioso ed appagante alle nostre prossime e ultime ore in territorio germanico. Con questo approfittiamo per ringraziare nuovamente l’organizzazione per averci accolti, augurandoci che il prossimo anno il bill possa essere soddisfacente almeno quanto quello attuale. Buona lettura!
BRAINSTORM
Formazione sottovalutatissima in pressoché ogni angolo del globo, i Brainstorm ci hanno deliziato un annetto fa grazie ad un ultimo album davvero ispirato e in linea con i duri standard richiesti dalla scena power metal attuale. L’intera scaletta è dedicata proprio al recentissimo lavoro in studio “Midnight Ghost”, con in più un paio di estratti dall’apprezzato “Liquid Monster” e la sola title-track del meno datato “Firesoul”. Sebbene si tratti di brani assolutamente genuini e qualitativamente indiscutibili, non ci avrebbe fatto dispiacere trovare anche un richiamo o due ai primissimi prodotti usciti col nome dei Brainstorm scritto in copertina. Ciò nonostante, Andy Franck rende giustizia alla propria popolarità come vocalist, interagendo anche discretamente bene con un pubblico non particolarmente nutrito, complice anche l’orario non propriamente comodo in circostanze come quelle di un festival di questo spessore. Anche il resto della line-up si destreggia tutto sommato bene, pur senza mai lasciarsi andare a chissà quale guizzo di grinta e capacità esecutiva; ma a questo interviene in aiuto l’ispirazione delle tracce selezionate, che seppur ancora abbastanza fresche, si dimostrano efficaci in sede live tanto quanto su disco. In conclusione, un piacevolissimo inizio di giornata.
Setlist:
Devil’s Eye
Worlds Are Comin’ Through
Revealing the Darkness
Jeanne Boulet (1764)
All Those Words
The Pyre
Firesoul
Ravenous Minds
FINAL BREATH
Parlando di formazioni di nicchia degli anni 2000, i teutonici Final Breath aderiscono perfettamente al profilo di una line-up rimasta sempre all’interno dell’underground, ma che tutto sommato è stata più di una volta in grado di attirare l’attenzione degli amanti più curiosi delle sonorità death/thrash. In particolare quel “Let Me Be Your Tank” di quindici anni fa viene spesso etichettato sul web come una piccola perla incompresa, anche pensando al lungo silenzio che ne è seguito fino allo scorso anno, in cui finalmente la band è tornata sul mercato con il quarto lavoro “Of Death And Sin”. Al di fuori del primissimo e relativamente dimenticato lavoro, la breve setlist ricopre un po’ tutto il corso della carriera dei Final Breath, con una particolare enfasi riservata a quella “Eyes Of Horror” divenuta tanto popolare nel corso degli anni tra gli svisceratori del sottobosco. Il recente acquisto dietro al microfono, Patrick Gajda, fornisce una buona prova, così come tutta la formazione, che nel poco tempo a disposizione stimola headbanging e moshpit a chi ha deciso di darsi appuntamento sotto la tettoia del palco sponsor. Seppur manchi, volendo, un po’ di scioltezza e non si raggiunga mai l’eccellenza, una mezz’oretta di metal estremo alla vecchia maniera non può che farci piacere.
Setlist:
Babylon
Yearning for Next Murder
Eyes of Horror
Agonized, Zombiefied, Necrotized
Let Me Be Your Tank
To Live and to Die
SKALMOLD
In mancanza d’altro, la particolare folk metal band islandese rappresenta sicuramente una discreta fonte di intrattenimento, anche grazie al peculiare triangolo di chitarre che comunque fa sempre piacere vedere in azione. Tendenzialmente i loro concerti non si elevano mai oltre certe vette, ma la professionalità del sestetto scandinavo è cosa ben nota all’interno della scena e l’accoglienza del pubblico alle varie e divertenti “Gleipnir”, “Narfi” e “Mòri” ne è indice non indifferente, anche se lo stile che da sempre contraddistingue le loro esibizioni non sempre è venuto incontro alle nostre personali esigenze. Il risultato non può altro essere che un paio di sbadigli di troppo, ma si tratta in questo caso di un parere strettamente soggettivo e legato a quella che secondo noi non è sempre e comunque una proposta efficace. In ogni caso, rispetto a ciò che viene immediatamente dopo nella nostra tabella di marcia, l’intrattenimento è sicuramente minore, ma a livello di anima e applicazione un applauso agli islandesi va senza subbio.
Setlist:
Gleipnir
Narfi
Miðgarðsormur
Niflheimur
Móri
Niðavellir
Að vetri
Kvaðning
EQUILIBRIUM
Ed ecco a cosa ci stavamo riferendo nella conclusione del trafiletto precedente: come abbiamo affermato ormai già parecchie volte, gli Equilibrium sono una band che ci fa sempre divertire parecchio, ma che nonostante questo ha sempre suscitato in noi una leggerissima punta di antipatia a causa di quella sorta di alone artefatto e con relativamente poca anima che ogni tanto si manifesta mentre ascoltiamo un loro album (o almeno uno degli ultimi). Un po’ come a Wacken, anche nella cornice attuale lo show degli Equilibrium si presenta ‘zarro’ e fomentante come al solito, ma sempre e comunque a fasi alterne, dal momento che non ogni estratto collocato in scaletta riesce a risultare efficiente come altri. Anzi, per quel che ci riguarda, gli Equilibrium forniscono il meglio di loro al momento di rispolverare le loro origini epic folk-melodeath, mettendo da parte quella verve al limite dell’industrial che caratterizza ad esempio l’ultimo lavoro “Renegades”. Nel nostro caso giunge in aiuto anche la nostra essenza nerd, che ben si sposa con la proposta, degna di un videogioco, che gli Equilibrium sviscerano ormai da anni; perciò, in concomitanza di tamarrate come “Born To Be Epic”, “Waldschrein”, “Heimat” o la più genuina e sempre apprezzata “Blut Im Auge”, l’esaltazione è comunque assicurata. Sulla bizzarra cover di “Johnny B”, per quanto simpatica possa risultare, preferiamo non esprimerci.
Setlist:
Prey
Born to Be Epic
Waldschrein
Karawane
Heimat
Renegades – A Lost Generation
Rise Again
Heimat
Johnny B (The Hooters cover)
Blut Im Auge
Apokalypse
LORDI
Un piccolo ritorno alla nostra infanzia che non tarda a rivelarsi una conferma di quelle che erano le nostre sensazioni recenti in merito al prosieguo di carriera dei Mostri del metal finlandese per antonomasia. I Lordi hanno sempre saputo divertirci risultando nel contempo piacevoli all’ascolto, grazie alla loro proposta semplice ed orecchiabile nel suo andare dritta al punto proponendo anche dei ritornelli assimilabili e cantabili come pochi; anche se negli ultimi anni è divenuta sempre più palese la totale perdita di interesse di buona parte del pubblico nei confronti di una band che sembra ormai aver esaurito le proprie idee vincenti. Dal vivo questa mancanza di ispirazione si fa sentire ancora di più, insieme alla perdita di mordente: per quanto ci faccia sorridere la possibilità di cantare nuovamente “Would You Love A Monsterman?”, “Blood Red Sandman” e “It Snows In Hell”, non possiamo fare a meno di notare che il nostro livello di esaltazione non si manifesta minimamente ad un livello pari a quello di cui potevamo fare sfoggio fino ad alcuni anni fa durante un loro concerto. A questo aggiungete degli estratti recenti che continuiamo a trovare anonimi, ed avrete la ricetta perfetta per un concerto che ricorderemo come la vera delusione della giornata; con una consolazione solo parziale riscontrabile nel trittico finale, a dir poco iconico per qualsiasi metallaro che andava ancora al liceo ai tempi in cui tutti apprezzavano ed acclamavano a gran voce i Lordi, prima del loro inevitabile declino.
Setlist:
Sexorcism
Would You Love a Monsterman?
Missing Miss Charlene
Your Tongue’s Got the Cat
Blood Red Sandman
It Snows in Hell
Rock Police
Naked in My Cellar
Hug You Hardcore
The Riff
Who’s Your Daddy?
Devil Is a Loser
Hard Rock Hallelujah
BURNING WITCHES
Cinque metallare agghindate e discretamente di bell’aspetto che suonano heavy metal classico dal retrogusto epico: esiste forse una premessa migliore? Scherziamo, naturalmente, ma effettivamente sin dal loro esordio sulle scene le Burning Wicthes hanno saputo dividere in due il pubblico e la critica, tra chi le etichetta come una mera operazione commerciale ed architettata ad arte e chi invece le ritiene un valido quintetto rivolto a buona parte di quegli ascoltatori old school che possono apprezzare sia la loro presentazione, sia la loro musica. La maturazione delle ragazze si è fatta evidente già solo nel passaggio tra il primo e il secondo disco e l’arrivo di due nuove adepte nell’arco degli ultimi due anni ha arricchito ulteriormente la compattezza del combo. La nuova Laura Guldemond fa sfoggio di una grinta non indifferente, perfettamente in linea con quello che un quintetto puramente heavy metal dovrebbe sfoggiare, e questo si rende palese già nelle iniziali “Executed” e “We Eat Your Children”, malgrado il testo abbastanza stupido e al limite del parodistico di quest’ultima. Con “Hexenhammer” e “Black Widow” prosegue una setlist colma di ignoranza metallica, che alcuni sembrano trovare molto invitante, anche se bisogna ammettere che su “Wings Of Steel” nemmeno noi abbiamo potuto trattenere l’headbanging. Con il brano che dà il nome alla band, le Streghe in Fiamme si congedano, e noi vogliamo ricambiare con tutta la simpatia che abbiamo in corpo, consci che si tratti sicuramente di un progetto un po’ sopravvalutato e con più di un risvolto comico, ma nel quale la qualità non manca e nemmeno il divertimento, termine che è stato probabilmente il più utilizzato nel report fino ad ora.
Setlist:
Executed
We Eat Your Children
Hexenhammer
Black Widow
Wings of Steel
Burning Witches
GRAND MAGUS
Rimaniamo in ambito di sonorità fortemente legate al classico e provenienti dalle fredde terre del Nord Europa, ma virando in direzione di qualcosa di ben più serio e culturalmente approfondito. Gli svedesi Grand Magus rappresentano a tutti gli effetti una di quelle formazioni evidenziata da molti come una delle più sorprendenti, convincenti e qualitativamente ineccepibili, grazie alla loro particolare combinazione di heavy metal, doom e viking magistralmente interpretata da un trio di professionisti assoluti, affezionati tanto alla propria storia quanto all’acciaio più inossidabile. Il risultato si è sempre tradotto in album difficilmente criticabili, nonché in concerti emozionanti e ottimamente eseguiti nella loro semplicità, e in questa cornice i Grand Magus non vogliono certo smentire questa considerazione. L’apertura è come sempre riservata ad “I, The Jury” e “Sword Of The Ocean”, prima di portare all’attenzione di tutti il nuovo album “Wolf God” con “Dawn Of Fire” e “Untamed”; durante queste la prima cosa che notiamo, oltre al nuovo look senza baffi e provvisto di basettoni del buon JB Christoffersson, è la cura maniacale che la band ripone in ogni passaggio, soprattutto alla luce del fatto che siamo di fronte ad una proposta apparentemente basilare come poche: voce, chitarra, basso e batteria, fine. Eppure, tra una “Steel Versus Steel”, una “Kingslayer” e una “Iron Will”, il risultato appare sempre perfettamente compatto, solido e ben amalgamato. Anche la conclusione a base di “Like The Oar Strikes The Water” e “Hammer Of The North” è bene o male quella che ci aspettavamo, e con sommo entusiasmo vogliamo nuovamente consigliare a chiunque non l’avesse fatto prima di cimentarsi in una bella full immersion della discografia dei Grand Magus, poiché parliamo di una band di serie A che continua sempre e comunque a rilanciare con classe la propria musica, arrivando persino a confermarsi come l’esibizione più coinvolgente dell’intera giornata.
Setlist:
I, the Jury
Sword Of the Ocean
Dawn Of Fire
Untamed
Steel Versus Steel
Ravens Guide Our Way
Kingslayer
Iron Will
Like the Oar Strikes the Water
Hammer of the North
BULLET FOR MY VALENTINE
Dopo una lunga pausa, siamo di nuovo pronti a farci insultare a causa del nostro bizzarro interessamento nei confronti del concerto degli spesso bistrattati Bullet For My Valentine. Come detto anche in occasione del report di Wacken, la motivazione per cui continuiamo a mostrare curiosità verso la band guidata da Matthew Tuck è legata strettamente alla nostra adolescenza, durante la quale l’album “Scream Aim Fire” e, in misura minore, il suo predecessore hanno comunque rappresentato una piccola parte della nostra crescita musicale, nonostante le immense critiche che noi stessi abbiamo rivolto a quanto fatto successivamente, fino al punto di perderli relativamente di vista. Questa rappresenta per noi l’occasione per poter vedere come si presenta la band al momento di proporre uno show da headliner su uno dei palchi più importanti d’Europa, malgrado la scaletta molto poco distante da quella udita nella precedente cornice: l’inizio è riservato a “Don’t Need You” e “Over It”, passando poi per “Your Betrayal” fino ad arrivare a “The Last Fight”, che ci fa sempre e comunque piacere sentire dal vivo. L’atmosfera quasi notturna giova decisamente allo show, come di consueto, ma i momenti più elevati vengono toccati in prossimità dei brani più veloci ed arrabbiati, in particolare al momento della title-track del sopracitato album a noi ancora in parte caro. La band sul palco funziona bene e non si può certo dire non sappia suonare o coinvolgere i presenti, anche se il problema continuano a essere le canzoni: alcune efficaci, abbinate però ad altre piuttosto sottotono. Tutto sommato però, al momento dell’headbanging finale su “Waking The Demon”, possiamo dire di aver assistito a novanta minuti di buona musica dotata anche di una discreta dose di grinta, anche se difficilmente ci capiterà mai di definirci fan della band in questione, che comunque dimostra di meritare certamente delle critiche, ma molte meno di quelle che capita ancora oggi di leggere in giro.
Setlist:
Don’t Need You
Over It
Your Betrayal
4 Words (To Choke Upon)
Worthless
The Last Fight
Venom
Suffocating Under Words of Sorrow (What Can I Do)
Piece of Me
Alone
Scream Aim Fire
You Want a Battle? (Here’s a War)
No Way Out
Tears Don’t Fall
Waking the Demon
DIMMU BORGIR
Volontariamente scegliamo di non dedicare troppe parole allo show dei norvegesi Dimmu Borgir, poiché alla fine le cose da dire risultano essere sempre bene o male le stesse: un’esibizione visivamente molto suggestiva ed interpretata con maestria e possanza da una formazione che ormai ha ben consolidato le proprie mura portanti, ma anche parecchio carente dal punto di vista dei brani selezionati, che inevitabilmente finiscono col provenire quasi esclusivamente dai lavori più recenti, con risultati abbastanza altalenanti e ben più di una sensazione di amaro a depositarsi sul nostro palato. Per carità, alcuni estratti ci piacciono e Shagrath continua ad essere il colosso che tutti conosciamo, in quanto a presenza on stage, e la sua figura continua a coinvolgerci, ma non è ammissibile che ogni volta gli unici momenti di vera ed effettiva esaltazione per noi debbano giungere negli attimi finali con l’accoppiata “Progenies Of The Great Apocalypse”, proveniente dall’ultimo grande album della band, e ovviamente quell’inno immortale di blasfemia che è ancora oggi “Mourning Palace”. Alla fine ha poco senso lamentarsi di quelli che sono oggi i Dimmu Borgir, dato che non rappresenta certo un segreto la loro natura attuale, ma ogni tanto anche a noi può essere concessi di esprimere delle preferenze; e ciò che oggigiorno la formazione norvegese tende a proporre ad ogni concerto, dopo un po’ tende a venirci a noia, anche perché di variazioni ce ne sono poche.
Con ciò si conclude non soltanto il festival corrente, ma anche la nostra intera estate metallica, cui seguirà un autunno inizialmente un po’ spoglio, ma che saprà riprendersi nelle battute finali del mese di ottobre. Per adesso, da Metalitalia.com è tutto, alla prossima!
Setlist:
The Unveiling
Interdimensional Summit
The Chosen Legacy
The Serpentine Offering
Gateways
Dimmu Borgir
Puritania
Ætheric
Council of Wolves and Snakes
Progenies of the Great Apocalypse
Mourning Palace