Report di Federico Orano
Photo di Stephan Johansson, RockArt, Josephin Larsson, Maria Johansson fornite dallo Sweden Rock Festival
Un’altra edizione dello Sweden Rock è appena alle spalle, la trentunesima per un festival cresciuto nel tempo e diventato ormai un’assoluta garanzia di qualità.
Anche stavolta possiamo affermare che quella che si è appena conclusa è stata un’ulteriore edizione grandiosa e ricca di emozioni: quattro giorni colmi di band spettacolari, svoltisi grazie un’organizzazione come sempre impeccabile.
La cittadina di Solvensborg, solamente settemila abitanti, situata nel sud della Svezia (a circa novanta minuti in auto da Malmo) si trasforma, nel primo weekend di Giugno, in una piccola metropoli di rocker e metallari: spazi enormi dedicati a parcheggi e al camping, ed una zona concerti che è una piccola cittadina ricca di ogni comfort.
Tantissimi gli stand dove poter mangiare e bere (nettamente oltre i cento, se contiamo anche la zona limitrofa agli ingressi del festival e attorno ai vari campeggi!), diversi anche i negozi dove poter acquistare merch ufficiale di ogni tipo (calzini, ciabatte, costumi, t-shirt varie, felpe, giubbotti, berretti – tutto rigorosamente griffato Sweden Rock) e numerose anche le tende che offrono dischi, toppe e vestiario tra i più vari.
Anche i bagni sono numerosi e disposti in punti strategici dove, nonostante le circa cinquantamila presenze, la fila è sempre scorrevole.
Nei cinque palchi sui quali si suddividono le performance delle band, il sound non ha praticamente mai avuto problemi; se proprio dovessimo cercare l’unico neo, a volte i volumi sono risultati troppo bassi, almeno per i nostri standard. Nessuna esibizione è saltata, tutto è andato liscio e alla perfezione, gli orari spaccano il minuto e nell’area vip, per chi acquista l’ingresso limitato (e ovviamente più oneroso), si trovano posti dove potersi rilassare e un palco dove ogni sera parte l’afterparty.
Se il timore è che il costo della vita in Svezia sia eccessivamente alto, ciò è assolutamente vero, ma se pensiamo che comunque una birra da mezzo litro si paga circa 8.50 euro, poco cambia rispetto a certi eventi qui da noi (non ultimo quello dei Metallica a Milano). Il meteo è stato ancora clemente; meno sole rispetto allo scorso anno, ma per fortuna pioggia molto rara, un po’ persistente solamente durante la serata conclusiva di sabato.
Tutto questo lo abbiamo vissuto a partire da Mercoledì 5 Giugno quando, carichissimi nonostante le pochissime ore di sonno, ci siamo recati a ritirare gli ingressi pronti ad iniziare una nuova, incredibile esperienza. A voi il racconto!
MERCOLEDI’ 5 GIUGNO
La giornata di partenza di mercoledì 5 Giugno era già una delle più ghiotte di tutto l’evento, ed il motivo lo si può intuire fin dalla partenza, con uno degli show più attesi, ovvero il ritorno dei grandi TALISMAN, messi subito in partenza per rompere il ghiaccio come si deve.
Il pubblico è già bello folto sotto il palco in attesa di Jeff Scott Soto e compagni che vogliono onorare la memoria del grande bassista Marcel Jacob (che ci ha lasciati ormai nel lontano 2009), leader e autentico motore del gruppo, ma più in generale un assoluto protagonista di tutta la scena melodic hard rock svedese. “Break Your Chains” apre le danze con un impatto notevole, e saranno molti i brani pescati dall’omonimo, primo album pubblicato dalla band, un disco rimasto nel cuore di molti. Vicino a noi un fan svedese ci racconta di averli visti proprio nel 1990 in un piccolo club durante la presentazione di quel disco!
Pur senza Marcel, la formazione dei Talisman ha un talento davvero fuori dal comune e lo dimostra tenendo il palco con gran classe e mostrando una tecnica individuale notevole: “Dangerous” è un altro pezzo ricco di adrenalina e per la prima volta nella sua storia la band suona dal vivo il brano “Humanimal”.
Il pubblico è già tantissimo e canta a squarciagola in particolare verso il finale con l’irresistibile “I’ll Be Waiting”, con il suo ritornello altamente melodico, e con la rocciosa “Standin’ On Fire”. Potevamo desiderare una partenza migliore? Certo che no, i Talisman hanno aperto la via nel migliore dei modi alla trentunesima edizione dello Sweden Rock Festival!
I DREAM EVIL stanno per tornare in pista dopo ben sette anni dal loro ultimo disco in studio, intitolato “Six”, e qui allo Sweden Rock sono pronti a togliersi la ruggine di dosso scatenando il proprio heavy-power metal dall’impatto possente.
Negli anni e fin dal grandioso debutto “Dragonslayer” (correva l’anno 2002) la band del noto produttore Fredrik Nordström ha composto alcuni inni capaci di esplodere e coinvolgere i fan di questa musica: e infatti bastano le note di pezzi come “Chasing The Dragon”, Crusaders’ Anthem” e “Immortal” per far partire l’headbanging generale, con i suddetti brani che dal vivo trovano ancor più un terreno fertile per esplodere con tutta la propria potenza.
Ad aprire lo show ci pensa però il pezzo presentato pochi giorni prima, presente nel prossimo disco della band in uscita il 26 Luglio, “Metal Gods”, che dimostra come la band non abbia perso l’energia di un tempo.
La voce di Niklas Isfeldt è una furia anche dal vivo e si esalta prima sulla lenta “Losing You”, stupenda ballata che non ci aspettavamo, e poi su “The Chosen Ones” invocata da tutti i presenti e con rocciosa “The Book Of Heavy Metal (March Of The Metallians)”. Metal classico al suo massimo splendore, con i Dream Evil!
Nessuna pausa, nel giro di pochi minuti nello stage principale suonano i grandi RIOT V, band leggendaria che ancora stavolta è riuscita a stupire, pubblicando quello che per molti è già il disco dell’anno: parliamo di “Means Streets”, lavoro dato alle luci solamente poche settimane fa.
Sappiamo bene come il gruppo newyorchese sia al top anche in sede live, ma ci sorprende comunque la partenza con la classica “Fight Or Fall”, brano che fa subito agitare i presenti ed estratto dallo storico “Thundersteel”, disco leggendario dal quale verranno recuperati anche altri diversi episodi.
La scaletta presenta molti pezzi dai dischi storici della band, ed ovviamente un paio di nuove composizioni, entrambe con un buon impatto in particolare la sgargiante “Feel The Fire”.
Ma è con i pezzi storici come “Johnny’s Back” e “Bloodstreets” che il pubblico perde la testa: Todd Michael Hall è incredibile al microfono, ma tutta la band è una macchina rodata alla perfezione. Suoni potenti, riff e assoli precisi; non si può chiedere di meglio ad un concerto metal.
Un brindisi – ovviamente con tequila – al compianto Mark Reale, per poi chiudere con un gran terzetto costruito sull’immancabile “Swords and Tequila”, la rockeggiante “Magic Maker”, dell’era DiMeo alla voce, e infine l’insuperabile inno “Thundersteel”. Chapeau!
La crescita dei RIVAL SONS è una parabola che continua a salire e non ha intenzione di iniziare la propria fase discendente: la band americana, disco dopo disco, continua a comporre ottimi esempi di hard rock dalle tinte blues che appassionano gli ascoltatori di queste sonorità, ottenendo un successo che ormai li porta ad avere un ruolo di punta anche all’interno di bill importanti come quello dello Sweden Rock.
Dal vivo il gruppo californiano mantiene le promesse e colpisce con maestria: tanta energia esce dalle chitarre di Scott Holiday, e poi la voce altamente espressiva, insieme con la forte personalità del cantante Jay Buchanan, si destreggiano bene nei vari registri che lo tengono impegnato.
“Mirrors” e “Nobody Wants To Die” sono subito brani che coinvolgono l’audience, poi si corre sui riff più vivaci e graffianti della bella ed immancabile “Electric Man”. C’è tempo per la più intima “Feral Roots”, passando per l’elaborata “Darkside” e chiudendo con l’elettrizzante “Secret”; il gruppo non si annoia un attimo, tanto che alcune volte si lancia in momenti strumentali a mo’ di jam session.
Una prestazione che ricorderemo a lungo, quella dei Rival Sons, che hanno dato la sensazione di suonare con il cuore, mettendoci sentimento e non a caso il feeling che si è creato con il pubblico è stato notevole.
MICHAEL SCHENKER GROUP è pronto a colpire con il suo heavy metal classico sull’altro palco principale: scopriamo subito che a prendersi cura delle voci è lo storico Robin McAuley, autore di una buona prestazione.
Il gruppo in generale è carico, e svolge con estrema professionalità il suo compito; in particolare lui ovviamente, il leader Michael Schenker, che subito delizia le nostre orecchie con la splendida strumentale “Into The Arena”.
Tanti pezzi storici come “Cry for the Nations” e “On And On” trovano rapidamente il consenso del pubblico, il talentuoso chitarrista tedesco non mostra i segni dell’età e prende il palco con estrema personalità, con le sue dita capaci di viaggiare rapide senza sbagliare un colpo. Tra gli estratti più recenti, solamente la mediocre “Emergency”, mentre dall’era UFO non poteva mancare qualche hit come “Lights Out” e la leggendaria “Doctor Doctor”.
Non ci si può aspettare di meglio da un musicista navigato come Schenker, che anche stavolta non ha deluso le attese e ha messo in piedi, assieme alla sua band, un concerto degno del nome che porta!
Il tour d’addio della cult band americana CIRITH UNGOL passa anche per la Svezia e lo fa proprio in questo festival: relegati nel palco più piccolo (ma almeno coperto, viste le temperature che cominciano a scendere in quel di Solvensborg) l’epic metal band fatica forse un po’ in partenza ad avere dei suoni puliti, e a farne le spese è soprattutto il leader e cantante Tim Baker.
Pian piano le cose si sistemano e anche se lo scenario di pubblico non è colmo, a differenza di come lo abbiamo visto lo scorso anno in alcune occasioni, i fan dei Cirith si fanno sentire eccome e si esaltano sui riff evocativi ed incisivi suonati.
Ne esce uno show compatto di un’ora esatta ricco di potenza: “I’m Alive” è un pezzo spettacolare per dare il via alle danze e proseguire – tra le altre – con le possenti “Blood & Iron”, con “Chaos Descends” vera e propria manna dal cielo. Baker è un frontman capace di tenere sul pezzo i presenti (che altrimenti comincerebbero forse a mostrare qualche segno di cedimento, dopo oltre dieci ore di musica).
Siamo solo alla prima giornata, ma possiamo inchinarci alla maestosa “Black Machine” ed esaltarci sulle note conclusive della massacrante “Join The Legion”.
Ci sono band che pur restando ancorate soprattutto al loro passato, riescono ancora ad appassionare e a ricevere un forte rispetto da tutti i fan del genere: i TYKETTO ad esempio, sono tra questi: per certi versi vivono ancora grazie ai due capolavori pubblicati a inizio anni Novanta – “Don’t Come Easy” e “Strength In Numbers” – ma che troviamo spesso in giro per l’Europa a suonare, con tanti appassionati presenti a cantare le grandi canzoni scritte e interpretate dall’ottimo cantante Danny Vaughn.
Anche stavolta lo show dei Tyketto è da incorniciare: nessuna sbavatura, una passione che si fa sentire e arriva ad ognuno dei presenti, tutti impegnati a cantare sulle linee vocali magiche di brani come “Burning Down Inside”, “Wings” e “Sail Away”. Siamo nello stage Blaklader, il quarto in ordine di importanza, ma mai come con loro i suoni sono stati magnifici – quasi come ascoltare in cuffia un loro disco.
Danny è un intrattenitore pazzesco, peccato solo che si dilunghi anche un po’ troppo e nel finale si accorge che c’è spazio per solamente un ultimo pezzo: viene così tagliata la favolosa ballata “Standing Alone”, che dispiacere! Unico neo di uno show favoloso, tra i migliori dell’intero festival e che si chiude con l’immancabile inno rock “Forever Young”.
Possiamo tornare verso casa, consapevoli di aver vissuto una prima giornata davvero straordinaria!
GIOVEDI’ 6 GIUGNO
Si scorgono alcune occhiaie tra gli occhi dei presenti – e forse anche nei musicisti sul palco – quando puntualissimi alle 12.30 i PRIMAL FEAR iniziano il loro show. Non li vedevamo da alcuni anni (sicuramente da prima della pandemia), e la sensazione è che l’assenza del motore al basso Mat Sinner si faccia sentire.
Troviamo una band perfetta nell’esecuzione, ma forse un pelino spenta e fiacca rispetto al passato: i brani funzionano, lo sappiamo, persino quelli più recenti presi dal nuovo “Code Red”, in particolare “The World On Fire”, ma non basta.
Anche Ralf alla voce nonostante una prova impeccabile non sembra strafare – insomma lo abbiamo ascoltato in versioni molto più esplosive – inoltre una doppia cassa troppo invadente copre un po’ troppo gli altri strumenti.
La partenza con “Chainbreaker” è come sempre ottima e le massicce “Metal Is Forever” e “The End Is Near” esaltano come poche, ma in generale la band porta a casa il compito in maniera ultra-professionale ma senza mai metterci qualcosa in più, e come detto, la mancanza del leader emotivo e della personalità di Sinner si fa sentire eccome nonostante la spettacolare “Final Embrace” che chiude lo show con i fuochi d’artificio.
Si rimane in terra teutonica giusto il tempo di una birretta e di una breve camminata per il cambio palco; ad aspettarci ci sono gli IRON SAVIOR orfani del chitarrista Joachim Küstner – assente per problemi personali, ma sostituito dal collega Jan Bertram dei Paragon.
Il quartetto tedesco fa uno show diretto e compatto, estraendo brani da tutta la discografia della band ormai quasi trentennale: Piet Sielck dopo i problemi di salute che lo hanno tenuto in ospedale per diverso tempo lo scorso anno, forse non ha più la voce graffiante e poderosa di un tempo, ma svolge con carica e cuore il suo ruolo più che degnamente.
E non si può non rispettare il lavoro di un vero e puro musicista come lui che ha fatto la storia del power-heavy tedesco. Spiccano la storica “Starlight” e la quadrata “Souleater”, ma anche i brani recenti funzionano bene dal vivo, lo dimostra l’inno metallico “In The Realm of Heavy Metal”.
La spettacolare power song “Coming Home”, opener del secondo disco della band (“Unification” anno 1999) colpisce con decisione, ed il finale esalta con “Heavy Metal Never Dies”, con tutti i presenti a cantare, e infine “Atlantis Falling” pescata dal debutto. Nessun effetto strano, nessun costume attirafan, si bada al sodo con gli Iron Savior! Massimo rispetto.
L’impatto violento di KERRY KING esplode con decisione dal Rock Stage: luci rosse che riprendono il suo logo, e fuoco e fiamme fatti detonatore dal palco ottengono un effetto scenico d’impatto.
I suoni sono puliti e colpiscono con il cantato aggressivo di Mark Asegueda, mentre le chitarre di King viaggiano presentando i brani nuovi, che spesso hanno un forte impatto, come “Toxic”. Si va spediti e senza soste, la formazione sembra ben coesa e il drumming di Paul Bostaph è furioso e lascia il segno.
Il tatuato chitarrista americano costruisce riff continui durante gli estratti dal disco uscito a suo nome e intitolato “From Hell I Rise”, ma anche ben tre cover prese dagli Slayer come “Disciple”, “Raining Blood” e “Black Magic”: quest’ultima fa scatenare un gran pogo tra le prime file, con tanto di headbanging assicurato con la firma sonora lasciata da Kerry King e la sua band.
Il power metal moderno, spensierato e ricco di un forte impatto live prende il sopravvento con i GLORYHAMMER ed il loro approccio fantasy futuristico.
Tanta gente si è riversata davanti al palco Sweden Stage, davvero colmo per vivere le avventure iper-galattiche della band di casa che si presenta coi soliti abiti stile cosplay.
Un power metal spensierato – pure troppo, ad essere sinceri – viaggia su brani canticchiabili a volte un po’ scontati: i suoni sono buoni, la band è carica ed il cantante Angus McFife II, pur non essendo un fuoriclasse, svolge più che bene il suo compito e fa cantare durante un simpatico siparietto i classici coretti da stadio ai presenti. Ovviamente aiutati da un bel po’ di campionature (cori, tastiere), trovano spazio brani vecchi e recenti come “The Land Of Unicorns”, la martellante “Masters Of The Galaxy” e l’irresistibile “Angus McFife” con il suo coro che si lascia cantare anche senza volerlo.
Le note moderne di “Hootsforce” non convincono del tutto ma la power song “The Unicorn Invasion of Dundee” mette tutti d’accordo. Sembra che non solo gli unicorni si siano divertiti durante lo show dei Gloryhammer.
Sentivamo davvero il bisogno di un impatto power-heavy teutonico, visto che dopo Primal Fear e Iron Savior la nostra fame di metallo è ancora presente!
I MYSTIC PROPHECY generano una dose di potenza elevata pur restando dentro i confini del metallo classico, e sembrano essere molto apprezzati in Svezia visto i molti presenti sotto al palco.
Dal canto suo, lo show del gruppo teutonico è stato esemplare; pur senza avere le carte per giocarsela coi piani alti della scena, ai Mystic Prophecy non mancano pezzi massicci che sono perfetti da sparare dal vivo, con chitarre che costruiscono una barriera sonora dirompente ed implacabile e melodie vocali dirette e semplici ma ovviamente efficaci. Lo show è compatto, con canzoni come “Metal Division” che apre lo show e poi “Unholy Hell”, “We Kill! You Die!” e cosi via fino alle conclusive “Ravenlord”, “Eye To Eye” e “Metal Brigade” che si scagliano sull’audience obbligando i presenti ad agitare la testa, anche se il basso suonato dalla grintosa Joey Roxx suona decisamente troppo triggerato e rimbomba disturbando un po’.
Possenti come dei carri armati che non si voltano mai indietro, forse un po’ troppo lineari, ma certamente stracolmi di potenza.
Si è discusso molto sugli W.A.S.P. dopo la tournée che lo scorso anno ha attraversato l’Europa, annullando però le uniche due date italiane.
Playback e grossi problemi di salute per Blackie Lawless: voci fondate o no? Quel che è certo è che il gruppo americano si rifà sotto con qualche apparizione estiva e poi un lungo tour annunciato per l’autunno. In Svezia lo show della band è breve e compatto, non esente da sbavature, forse, se si cerca la perfezione a tutti i costi, ma certamente ricco di sentimento.
Lawless, appena rientrato in gioco da un’operazione alla schiena, racconta di essere stato da un dottore in Spagna che gli aveva altamente sconsigliato di suonare, vietandogli di procedere con il tour, ma lui evidentemente se ne è fregato ed è qui per i suoi fan: certo, deve cantare appoggiato su uno sgabello e i suoi movimenti sono minimi ma la sua prestazione vocale è decisamente sopra le righe.
C’è poco da fare, quando partono certi pezzi, l’energia che arriva è elettrizzante, e parliamo ovviamente di “Wild Child”, “Animal (Fuck Like a Beast)”, “I Wanna Be Somebody” e “L.O.V.E. Machine”, ma abbiamo apprezzato molto gli estratti da un disco bellissimo come “The Crimson Idol”, qui omaggiato con l’intensa “The Idol” e “Chainsaw Charlie (Murders in the New Morgue)”.
Degna di nota anche “Miss You”, che non veniva riproposta dal vivo da alcuni anni. Un live intenso per i W.A.S.P. Che ci hanno sorpreso in positivo!
Solo lo Sweden Rock è riuscito a portare in Europa la leggendaria band AOR statunitense che risponde al nome di JOURNEY.
Era da anni che la formazione di San Francisco non solcava l’Atlantico per dare sfoggio di classe nel Vecchio Continente, ma stavolta sembra intenzionata dopo lunghi tour in casa, a lasciare il segno anche da noi, con un minitour di quattro date in Scandinavia tocca anche Sölvesborg, ed in autunno diversi appuntamenti sono già annunciati nel Regno Unito.
Che emozione ritrovare Jonathan Cain e Neal Schon suonare i grandi classici con Arnel Pineda, splendida voce capace quasi di eguagliare il cantante per autonomasia in questo genere, l’indimenticabile Steve Perry. I Journey sono dei maestri rodati che non sbagliano un colpo, e la loro scaletta è un condensato di hit sparate una dopo l’altra.
Lo show sarebbe potuto durare ancora molto di più, e siamo certi che tutti sarebbero rimasti li incollati ad osservare questi cinque musicisti leggendari che partono con la classe raffinata di “Only The Young” prima di passare all’intensa “Stone In Love”. Sulle note di “Lights” si viene proiettati negli States tra i colori delle grandi metropoli (San Francisco, in questo caso) e la voce celestiale di Arnel ancor più galvanizzato dalla presenza nelle prime file di una comunità filippina pronta a supportarlo.
Con “Send Her My Love” partono le prime lacrime di emozione, sentimenti intensi che rimangono costanti con la sentita “Who’s Crying Now”. Il pubblico canta ed è partecipe anche sulle note maggiormente rockeggianti di “Chain Reaction” e “Lovin’, Touchin’, Squeezin’”.
Jonathan Cain prende posto al pianoforte regalando alcuni momenti di magia ed intonando finalmente le note della favolosa “Open Arms” e in rapida successione l’altra lenta leggendaria della band, “Faithfully”. C’è spazio anche per un lungo assolo di chitarra da parte di Neal Schon prima di partire con altri grandi classici, come “Wheel In The Sky”, “Separate Ways (Worlds Apart)” e poi durante l’encore “Any Way You Want It” e la favolosa “Don’t Stop Believin’”. Che meraviglia poter assistere ad uno show spettacolare come quello messo in piedi dai Journey. Tutto ciò è solo allo Sweden Rock!
VENERDI’ 7 GIUGNO
Se il buongiorno si vede dal mattino, allora partire alle 12.30 sul palco principale con una band che ha scritto la storia del melodic hard rock scandinavo non è per niente male.
Armati di birretta – anche per onorare la giornata abbastanza soleggiata – ci dirigiamo davanti allo scenario dove apriranno la giornata i mitici TREAT. Un’ora di ottima musica durante la quale si sono potute concentrare tutte le hit di una carriera lunga, partendo dai dischi degli anni Ottanta e finendo con le cose più recenti, con uno sguardo particolare al fortunato lavoro che li ha rimessi in pista qualche anno fa, “Coup The Grace”, dal quale si parte con “Skies Of Mongolia”, un lusso non da tutti), mentre storiche “Rev It Up”, “Soul Surbivor” e la rocciosa “Ready for the Taking” sono pura estasi.
Qualche ruga in viso per il cantante Robert Ernlund ma ancora tanto entusiasmo ed una prestazione ricca di adrenalina, così come i suoi compagni avventura, alla batteria l’instancabile Jamie Borger (già visto con i Talisman) ed il chitarrista Anders ‘Gary’ Wikström .
Nel finale, le favolose “Conspiracy” e “World Of Promises” formano un’accoppiata da far sobbalzare tutti i presenti. Che partenza!
L’attesa era elevata per vedere all’opera la sensazionale band melodic hard rock che è esplosa tre anni fa con un debutto favoloso come “Kids In A Ghost Town”: parliamo dei NESTOR, freschi del nuovo “Teenage Rebel”, che dimostrano di possedere un impatto live importante.
Pezzi melodici, certo, ma suonati divinamente da un gruppo che in patria è già lanciatissimo, e lo dimostra il fatto che il pubblico corre numeroso quasi come se a suonare fossero degli headliner.
Per sessanta minuti tutti cantano e applaudono la performance di Marcus e soci che, pescando dalle loro due release, riescono a dar vita già ora ad una setlist molto ricca. Fin dalla partenza con l’adrenalina “We Come Alive”, opener del nuovo album e perfetta in sede live, e subito dopo con quello che è già un classico “Kids In A Ghost Town”, passando per “Perfect 10 (Eyes Like Demi Moore)”, pezzo che è un tributo alla scena ottantiana, ma è tutto il repertorio dei Nestor a rendere omaggio al decennio più leggendario per l’hard rock!
Salgono sul palco delle cheerleader dell’hockey durante “Victorius”, pezzo contagioso che mostra – come avvenuto anche nel videoclip realizzato – la connessione della band con quello che è lo sport nazionale svedese. Se con la lenta “It Ain’t Me” si può trovare il momento perfetto per abbracciare e limonare la propria ragazza, si torna ad inserire un po’ di verve con “On The Run” e l’accattivante “1989” che esplode coadiuvata dal ritorno delle cheerleader sul palco per un gran finale.
I Nestor anche in sede live dimostrano di possedere tutte le carte per poter esplodere. Speriamo di vederli presto anche da noi!
La furia sonora dei BATTLE BEAST è pronta a scatenarsi sui presenti.
E quando Noora, la valchiria nordica, sale sul palco l’energia raggiunge livelli elevatissimi. I brani della band scandinava poi sono perfetti per essere detonati in sede live: “Circus Of Dooom” title-track dell’ultimo lavoro in studio apre le danze con la giusta cafonaggine. Riff decisi, arrangiamenti moderni e l’ugola portentosa della bionda cantante sono ingredienti perfetti per l’impatto sonoro del gruppo appena rientrato da una lunga tournée tra Nord e Sud America.
La ballabile “Familiar Hell” è tutta da cantare, mentre la diretta “Straight To The Heart” non fa prigionieri e si scatena sulla folla. “Eye Of The Storm” è un’altra hit ricca di adrenalina e lo show continua senza pause, con Noora scatenata e costantemente applaudita e incitata dai presenti. “Master Of Illusion”, “King For A Day” e “Beyond The Burning Skies” segnano un tumultuoso finale che sigilla una performance pazzesca. “Diesci” direbbe Borghese!
Neppure il tempo di tirare il fiato che dall’altro palco principale salgono i leggendari HEAVY LOAD: parliamo della storia dell’heavy metal, una cult band che dalla Svezia negli anni Ottanta ha scritto alcuni dischi che hanno fatto la storia.
Bello ritrovarli dopo la pubblicazione lo scorso anno del bel “Riders Of The Ancient Storm” dal quale vengono pescati alcuni estratti che dal vivo dimostrano la bontà di queste composizioni. I fratelli Wahlquist mostrano certamente i segni dell’età, ma reggono bene il palco, in particolare Styrbjörn che, seduto nella sua batteria, canta diversi brani con enorme efficacia.
Un po’ più in difficoltà Ragne che comunque si destreggia bene tra chitarra e voce: “Heavy Metal Angels (In Metal and Leather)” e “Singing Swords” aprono lo show come meglio non si può e le recenti “We Rock The World” e soprattutto “Walhalla Warriors” funzionano eccome. Quando si torna sui brani storici, però, la magia si ricompone e con brani come “Bleeding Streets”, “The Guitar Is My Sword” e “Stronger Than Evil” le prime file iniziano a cantare a squarciagola.
Non uno show perfetto per energia, cantato e suoni, ma un concerto cult che i puristi hanno apprezzato eccome. Onore a queste leggende!
Perdiamo l’inizio dello show degli EVANESCENCE, perchè impegnati nel backstage nell’intervistare Marcus, bassista dei Nestor, ma arriviamo in tempo per constatare come molta gente sia attenta e presente ad osservare il gruppo americano, e come la stessa band sia molto professionale sia nei suoni che nell’esecuzione.
Amy Lee poi è un talento eccezionale, in grado con la sua voce di ammaliare, anche se sono forse un po’ troppe le canzoni lente presentate: è vero che la cantante americana è speciale e riesce a conquistare, ma a tratti lo show degli Evanescence è stato un pochino soporifero con brani come “My Heart Is Broken”, “The Change” in particolare, ma non sono mancati momenti più possenti come con le moderne “The End Of The Dream” e “Better Without You”.
Ovviamente con hit come “My Immortal” e “Bring Me to Life”, tenuti per il gran finale, tutti esplodono: si canta, si registra col telefonino e così via.
Gli Dei del metal, invece, si faranno trovare ancora una volta pronti davanti ad i loro devoti fan? Ma certo che sì!
I JUDAS PRIEST sono la band heavy per eccellenza e Halford e soci non sbagliano un colpo, neanche alla loro non più giovane età. Rispetto alla grandissima data di Milano di un paio di mesi fa, notiamo che il pubblico svedese sembra un po’ meno carico e l’atmosfera meno elettrica, ma a fare la differenza sono anche i tre giorni di un intenso festival che cominciano a pesare.
Il gruppo di Birmingham colpisce con brani storici come “Breaking The Law”, “You’ve Got Another Thing Comin’” e “Riding On The Wind” e ovviamente qualche pezzo recente che funziona in particolare – tipo “Panic Attack” messa in apertura.
Richie Faulkner è una macchina alle sei corde e alterna riff ad assoli, il tutto suonato alla perfezione, ma gli occhi cadono inevitabilmente su Rob, che con la sua personalità guida lo show.
Cala il simbolo dei Judas dall’alto come una croce da adorare, e sulle note di “Turbo Lover” e “Painkiller” non c’è che inchinarsi dinanzi a tanto metallo. Il bis arriva quasi subito, il tempo è poco e “Electric Eye” è il modo migliore per esaltare i tanti fan accorsi. Infine “Hell Bent For Leather” e “Living After Midnight” decretano la fine dello spettacolo – davvero un enorme spettacolo!
SABATO 8 GIUGNO
I progster polacchi RIVERSIDE hanno un approccio molto introspettivo e nell’ora a disposizione cercano di concentrare alcuni dei loro brani più rappresentativi dovendo anche stare attenti a non sforare con composizioni spesso dalla durata elevata.
Il sound che esce dalle casse è davvero pulito e tutti gli strumenti si sentono alla perfezione: probabilmente tra i gruppi che abbiamo visto all’opera nello stage Blaklader, i Riverside assieme ai Tyketto sono stati gli unici a poter vantare un suono davvero perfetto.
Il fatto di dover suonare all’una forse non aiuta a ricreare l’atmosfera perfetta per la musica sofisticata dei Nostri, ma il tutto gira che è un piacere sulle note di “#Addicted” e “ 02 Panic Room”.
Si crea così un’atmosfera di intimità anche se non sono molti, rispetto al solito, i presenti pronti ad immergersi nel talentuoso prog rock del gruppo polacco – e fanno male visto che quello dei Riverside è stato uno degli show più intensi e di classe dell’intera giornata (o forse dell’intero festival).
Musicisti notevoli e un feeling con il pubblico che si crea immediatamente, merito anche del frontman e bassista Duda, bravo a inserire qualche battuta interloquendo con la gente e del tastierista Lapaj sempre sorridente.
La classe dell’hard rock settantiano dei LUCIFER ha sempre quel flavour piacevole anche in festival importanti come lo Sweden Rock: il quartetto scandinavo ha sempre un suono pulito e con brani intensi riesce a colpire nel segno.
La brava cantante Johanna Sadonis viene accompagnata sul palco dal demonio in persona, e così la musica (a tratti) esoterica dei Nostri può iniziare.
La contemporaneità con i The Darkness forse non aiuta l’affluenza ma poco importa, il gruppo è carico: riff penetranti, una sessione ritmica decisa e la voce della brava cantante svedese costruiscono brani di impatto come “Fallen Angel”, che apre la setlist e “Crucifix (I Burn for You)”.
La band si muove bene sul palco, in particolare Johanna che trova pose sempre ricercate che ottengono l’effetto voluto. A volte a chi scrive sembra che manchi un po’ di varietà nel songwriting, ma tant’è: “California Son” e “Reaper On Your Heels” chiudono la scaletta, ed in attesa di beccarli in Italia nel loro tour autunnale che passerà per Milano, i Lucifer si confermano band valida anche dal vivo.
Hanno un bel seguito i BEAST IN BLACK quando si apprestano ad iniziare il loro show nel Rock Stage, uno dei due principali, lo stesso che i cugini Battle Beast hanno messo a ferro e fuoco ventiquattr’ore prima.
Ed è quasi inevitabile cadere in qualche paragone tra le due band (visto che i Beast In Black, ricordiamo, nascono da una costola dei Battle Beast con Anton Kabanen che lasciò la band in malo modo per fondare appunto i Beast In Black).
Ma andiamo con ordine: lo show dei Beast In Black è veramente ricco di adrenalina. Pezzi come “Hardcore”, “Beast in Black” e “Die By The Blade” hanno un bel tiro e il pubblico si diverte, canta e si agita.
Sorge solo qualche dubbio anche qui su varie campionature (non è presente un tastierista) utilizzate come per i Gloryhammer anche per i cori. Inoltre, non siamo del tutto soddisfatti della prestazione vocale del greco Yannis Papadopoulos: lui è un gran talento ma a tratti sembra quasi voglia imitare Noora cercando un approccio ruvido e aggressivo, a nostro avviso non propriamente il suo.
Meglio quando può volare su note più pulite e alte, perchè è proprio qui che da il suo meglio. Il sound è notevole ed il finale esplosivo con l’accoppiata “Cry Out For A Hero” e “End Of The World” è da effetti speciali. Un buon spettacolo ma… tornando al confronto tra cugini, i Battle Beast hanno decisamente vinto a mani basse.
In attesa di osservarlo nelle due date italiane previste per inizio luglio a Roma e Bassano del Grappa, BRUCE DICKINSON è in azione allo Sweden Rock.
Un’ora e un quarto di tempo non sono sufficienti per riproporre la setlist completa, ma lo sono per dimostrare a tutti ancora una volta di che pasta sia fatto lo storico e attuale cantante dei Maiden. E se i suoi recenti, lievi problemi di salute (che gli hanno fatto saltare una data pochi giorni prima) avevano preoccupato più di qualcuno, abbiamo subito tirato un sospiro di sollievo sia quando è salito sul palco sia dopo averlo sentito cantare.
Uno show superlativo per l’energia che riesce ancora a mettere sul palco alla sua età, ma anche per uno spettacolo coinvolgente a trecentosessanta gradi. I musicisti che lo accompagnano sono altamente preparati- sugli scudi in particolare il chitarrista Chris Declercq – ma è Bruce a fare la differenza, dandosi alle percussioni, sul pezzo “Resurrection Men”, alzando i decibel della sua voce e infine districandosi con il theremin, lo strumento che lavora sulle frequenze, mentre ci avviciniamo al finale.
Tra i momenti migliori, l’intensa “Tears Of The Dragon”, “Accident Of Birth” e la sognante “Chemical Wedding”. La conclusiva “Road To Hell” con la sua carica è la degna conclusione di uno dei concerti più riusciti della giornata.
Se c’è un gruppo che dal vivo ha sempre un impatto notevole, ecco, quelli sono gli HAMMERFALL. Li abbiamo visti tante volte dal vivo (anche al Metalitalia.com Festival qualche anno fa) e non hanno mai deluso.
Stavolta, in attesa del nuovo lavoro in studio previsto tra un paio di mesi, eccoli con uno show che ha visto diversi pezzi dal passato, seguendo un po’ la scaletta che lo scorso anno avevamo avuto modo di vedere al Riverside Festival in Svizzera.
Joacim Cans è sempre un ottimo frontman capace di tenere il campo – forse non un fenomeno forse alla voce, ma un professionista di primo livello – e i suoi compagni di avventura non sono da meno. Oscar alla chitarra mette giù una montagna di riff, conducendo i brani che hanno fatto la storia della band svedese, come “Heeding the Call”, pazzesco pezzo che apre lo show e la massiccia “Let The Hammerfall”.
Il feeling col numeroso pubblico è ottimo, segno dell’amore che gli svedesi nutrono per la band di Cans. Tra una “Bloodbound”, una “Hammer High” e una “Renegade”, trovano spazio anche due brani (già presentati con due videoclip) che faranno parte del prossimo disco in studio: “The End Justifies”, rapidissimo e i ngrado di ricordarci proprio “Heeding The Call”, e la più scontata “Hail To The King”, con però un ritornello bello tosto.
Non poteva mancare, visto l’evento, il brano “(We Make) Sweden Rock” – dove partecipa anche un coro composto da alcuni fan scelti attraverso un concorso – prima della solita “Hearts On Fire”. Non deludono i templari svedesi!
Non sono certo musicisti di primo pelo quelli che formano gli AVATARIUM ma la band sul palco ha una carica notevole. Spinti dalla voce, fedele a ciò che abbiamo sentito su disco, della brava Jennie-Ann Smith, che abbraccia anche la chitarra acustica in alcune situazioni, il rock settantiano, che trova influenze psichedeliche, doom e progressive può esplodere dalle casse. Uno show riuscito dove anche qui come successo con i Riverside si ha la sensazione che il pubblico segua la band creando un feeling perfetto.
Un’ora intensa e appassionante di grande musica, con il bravo chitarrista Marcus Jidell a dar sfoggio di tecnica alla chitarra, ma sempre in equilibrio senza andar sopra ai brani.
La splendida “Avatarium” apre lo show con sonorità dinamiche e atmosfere ricercate, passando per la raffinata “The Fire I Long For”, da ascoltare quasi ad occhi chiusi. “Girl With the Raven Mask” è un grande esempio di classe così come la conclusiva “Moonhorse”.
L’attesa era alta per gli Avatarium ma è stata ripagata anche oltre le aspettative. Sono tutti in visibilio per il gruppo svedese!
I grandi AVANTASIA di Tobias Sammet calcano ormai i palchi da diverso tempo, ma sappiamo bene come questo progetto sia basato sulla presenza dei tanti ospiti – soprattutto alla voce – che ne prendono parte. E a dire il vero siamo abbastanza consapevoli che l’accoppiata Michael Kiske e Jorn Lande sia anche insostituibile. Non è certo colpa di Tobias Sammet se entrambi non hanno potuto partecipare a queste date, ma dobbiamo prender atto che purtroppo – e nonostante l’indiscusso impegno messo sul palco – i sostituti, come ad esempio il grande Ronnie Atkins, non possono competere con gli originali.
Provare a rattoppare le parti di Kiske con la talentuossima Adrienne Cowan non è proprio il massimo anche dal punto di vista del carisma, Tommy Karevik (Kamelot, ex Seventh Wonder), incolpevole ma totalmente fuori ruolo, viene impiegato in un pezzo rock come “Dying For An Angel” (cantato originariamente da Klaus Meine degli Scorpions) e ne esce senza aggiungere molto.
Insomma, Tobias è un gran frontman, ma in questo show ha potuto contare su colleghi non del tutto adatti al livello che ci aspetta da una performance come quella che gli Avantasia ci hanno abituati almeno fino a qualche anno fa. Da segnalare la presenza della nostra Chiara Tricarico per i cori che, quando è stata invitata a scendere sul palco e duettare con Tobias, se l’è cavata più che bene.
Inoltre, visto che la data dello show coincideva con la scomparsa di Andre Matos, ci sarebbe piaciuto un omaggio ad un cantante che inizialmente ha dato molto anche a questo progetto. Uno show intenso ma qualitativamente sottotono, e dopo tante grandi performance peccato rimanere un po’ delusi proprio da quella conclusiva.