Report di Sara Sostini
Foto di Benedetta Gaiani
Ci sono concerti perfettamente incorniciabili in una domenica sera milanese di fine gennaio, impregnata di nebbia densa e freddo umido: quello di Sylvaine, Ghostheart Nebula e Die Sünde rientra perfettamente in questa categoria.
Toni ora sognanti, ora atmosferici, ora aspri come nude rocce – ma tutti venati di una cupezza comune di fondo – rivestono per tutta la sera un Legend discretamente popolato. La musicista norvegese, al suo primo tour sul suolo italiano in promozione al recente “Nova”, si inserisce in quel crocevia tra melodie eteree e asperità stridenti che tanto successo ha avuto negli anni passati con band come Alcest o Les Discrets; a farle strada nelle tre date italiane (concluse proprio nella città milanese), due formazioni nostrane, dagli stili e proposte molto diverse ma non discordanti.
Purtroppo, è notizia recente il fatto che, proprio successivamente a quest’ultima data del tour, Sylvaine e i suoi compagni di band siano stati derubati, e questo non può che velare di amarezza generale le impressioni della serata, soprattutto, ovviamente, per i musicisti vittime del furto.
Ai DIE SÜNDE spetta il compito di impostare la serata su coordinate nere come la pece, e diciamo che il quintetto veneto, in quest’ambito, sa il fatto proprio: pur avendo all’attivo solo un paio di EP, i cinque musicisti sul palco si dimostrano adepti devoti della Church Of Ra (collettivo tra il mistico e il nichilista che fa capo agli Amenra), alternando rasoiate di matrice hardcore ad un post-black poco incline ad ammorbidimenti.
Coadiuvati anche da ottimi suoni e da una serie di visual in bianco e nero, a dare ancora più corpo all’atmosfera tormentata che cola fuori da “Strega” (unica traccia dell’omonima ultima uscita), i Nostri non si fanno intimorire dalle poche presenze nel locale (in verità, in aumento costante durante l’intera esibizione) e ‘addentano’ le assi del palco con una energia nera e urticante, con il cantante Michael Anthony Foti novello Colin H. Van Eeckhout (leader appunto della formazione belga autrice dei vari, e a modo proprio iconici, “Mass”) ad urlare ora di spalle, ora accovacciato per terra, ora in ginocchio, fiancheggiato dagli altri musicisti.
Sicuramente non hanno quell’aura magnetica da cultisti di dolorose introspezioni dei cugini belga (e forse, non ci tengono neanche), ma la mezz’oretta a disposizione non ci lascia delusi: auguriamo perciò ai Die Sünde una crescita, artistica e di carriera, sempre maggiore.
La nebbia comincia a stringere in una morsa ferrea la zona intorno al locale quando i GHOSTHEART NEBULA salgono sul palco, salutati con il calore di chi ‘gioca in casa’: i sei milanesi lo sanno bene, e tutto il concerto è infatti arricchito da quel pizzico di energia in più che si rifrange ad ondate tra chi sta sotto e sopra il palco.
Il doom melodico proposto ricorda tantissimo sia i Saturnus, soprattutto nei momenti dilatati addolciti da uno spoken word sussurrato di scuola Jensen, appunto, che Swallow The Sun o Borknagar per quel gusto deliziosamente malinconico eppure perfettamente in grado di scatenare cori e un contenuto fomento tra gli spettatori più affezionati; dal vivo poi l’intero set acquista ancora più corpo tanto nelle parti cadenzate, in cui l’intera formazione scapoccia a tempo come da manuale, sia in quelle più orecchiabili, in cui chitarre e sezione ritmica intrecciano con le voci pulite e in growl di Maurizio Caverzan e Lucia Amelia Emmanueli un bel gioco di architetture siderali – così come il concept alla base del gruppo, a base di nebulose e galassie in lentissima evoluzione.
Gli estratti dall’ultimo “Ascension” scivolano via nel calore generale, e i Ghostheart Nebula si congedano dal palco con un sorriso che dimostra come certa musica, pure riflessiva e malinconica, non richiede pose distanti ad ogni costo.
La nebbia ha orami avvolto Milano, e ci restituisce forse una cornice eccezionale per lo show di SYLVAINE, che si presenta sul palco con il passo etereo e scanzonato dei folletti, accompagnata per l’occasione da batterista e secondo chitarrista, e con la sola “Earthbound” avvince tutto il locale (muri compresi) con il proprio incantesimo.
Quella che ci circonda è una magia fatta di accordi sognanti, intrecci di voci nostalgiche e oniriche, screaming affilato come stalattiti: Kathrine Shepard ha fatto propri gli insegnamenti di casa Neige, reinterpretandoli con una sensibilità tutta nordica, in grado di dipingere scenari silvani (appunto) post-black, intimisti e meditativi senza però rendere eccessivamente rarefatta o sperimentale la musica, che invece presenta, come per esempio in “Fortapt” (uno dei quattro estratti dal recente “Nova”) passaggi quasi dream pop o comunque molto orecchiabili, forse più vicini, nelle intenzioni, a Eivør.
La biondissima cantautrice sta sul palco con genuino trasporto e allegria, condivisi anche dagli altri due musicisti, mai semplici ‘seconde spalle’ al servizio di una personalità più forte ma parte integrante e viva (seppur non spumeggiante, ma d’altronde la musica stessa non lo richiede) del set live. Lei si muove su “Abeyance” o “I Close My Eyes So I Can See” come un pixie dei boschi, scuotendo i lunghissimi capelli mentre suona la chitarra e saltellando, con leggiadria da una parte all’altra del palco nei momenti strumentali, sostenuta nei cori dal chitarrista; i lunghissimi ed emozionati ringraziamenti tra un brano e l’altro rafforzano l’impressione che Kathrine si stia godendo ogni momento del tour, fatiche e sforzi compresi, e davvero è impossibile non sorridere davanti a tanto trasporto.
Dopo un’ora abbondante di concerto sentiamo di preferire il ritmo sostenuto di “Mono No Aware” ai momenti più raccolti e contemplativi, ma è questione di gusti, ci rendiamo conto; c’è spazio per un paio di canzoni ancora, nell’encore (tra cui “Mørklagt”, altro estratto da “Atoms Aligned, Coming Undone“), ma Sylvaine sembra riluttante ad abbandonare il palco, regalando un’improvvisata (e crediamo, molto sentita: “ogni volta che canto questa canzone mi si chiude la gola dall’emozione, ma ve la propongo perchè magari risuonerà in qualcuno di voi con lo stesso grado di intensità“) cover di “Restless” dei 40 Watt Sun che ci sembra lasci qui e lì qualche occhio vagamente lucido.
La musicista chiama gli altri due compagni di palco per un ultimo giro di inchini, strette di mano al pubblico e sorrisi, a porre un bel sigillo fatato sul primo tour italiano dell’artista norvegese (purtroppo, come già citato nell’introduzione, funestato dal furto, che avverrà proprio durante la nottata successiva al concerto).
DIE SÜNDE
GHOSTHEART NEBULA
SYLVAINE