01/06/2011 - SYSTEM OF A DOWN – Reunion Show @ Arena Fiera Milano - Rho (MI)

Pubblicato il 09/06/2011 da

Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Alessandro Corno, Gennaro Dileo, Marco Gallarati, Matteo Cereda e Maurizio ‘Morrizz’ Borghi
Foto a cura di Francesco Castaldo

Arena Fiera Milano, Rho: l’attesa per i System Of A Down è finalmente terminata e noi di Metalitalia.com eravamo in loco a documentare l’Evento – almeno per affluenza di pubblico e resa economica – dell’estate metallica e non!

Fin dal momento dell’apertura dei cancelli – avvenuta poco dopo l’orario stabilito, ovvero le 11.30 – la gente ha cominciato a sciamare all’interno dello spazio cementato (un parcheggio a tutti gli effetti) dapprima in maniera frenetica e poi rallentando di ritmo. Consci che il tutto esaurito lo si è visto solo in serata al momento dell’esibizione della band armeno-americana, tutta la venue, addetti ai lavori e pubblico, ha pacificamente atteso l’inizio dei concerti, previsto a metà pomeriggio probabilmente per facilitare l’accesso e la sistemazione delle tante persone previste.Qualche informazione sulla location: come già detto, si tratta di un enorme parcheggio all’aperto riadattato, circondato da svariati stand gastronomici e di bevande e un po’ meno da stand di tematica musicale. Il palco è molto grande e ci sono degli schermi di media grandezza che permettono la visione dello show anche a chi è nelle retrovie, dato che in effetti, pur essendo abbastanza larga, la zona riservata al pubblico si sviluppa prevalentemente per la lunghezza. E’ stata transennata una zona moshpit, a cui si accede per precedenza e con un braccialetto, comunque non esageratamente ampia in modo da rendere ideale la visibilità anche a chi è fuori dal pit. Il tempo nuvoloso e la conseguente mancanza di Sole, che avrebbe reso il suolo simile ad una bistecchiera, ha reso l’arena tutto sommato adatta alla situazione, ma non possiamo fare a meno di sottolineare la grave assenza di fontanelle o rubinetti dove potersi lavare le mani, rinfrescarsi o evitare di spendere ogni volta 1,50 Euro per mezzo litro di acqua…

Eccovi dunque il resoconto di una lunga giornata/serata all’insegna del divertimento e della musica alternative metal. Si è partiti alle 16.30 con l’apertura affidata ai punk-hardcorers di Pittsburgh Anti-Flag!

 

ANTI-FLAG

Il difficile compito di aprire le danze spetta agli Anti-Flag, storica band punk-hardcore proveniente dalla Pennsylvania. Il colpo d’occhio dell’Arena è già imponente e la band statunitense ha l’opportunità di esibirsi davanti ad un pubblico di tutto rispetto. Il chitarrista-cantante Justin Sane fiuta il colpaccio e si dimostra animale da palco coinvolgendo alla grande la platea. L’inizio in verità non è dei migliori, complice una resa sonora a dir poco imbarazzante sulle prime due canzoni; poi con una miglior equalizzazione dei suoni la band inizia a carburare e perlomeno in termini di grinta, rabbia e sudore se ne vedono delle belle. Nella fase centrale, pezzi quali i recenti “Sodom, Gomorrah, Washington D.C.”, “Turncoat”, “This Is The End” e “Die For The Government” dimostrano di avere il giusto appeal per la resa dal vivo, nonostante la prestazione tecnica non impeccabile del quartetto statunitense. Quando nel finale viene presentato un pezzo più datato quale “Power To The Peaceful”, il successo è garantito, anche perchè l’altro leader nonchè membro fondatore Pat Thetic decide di suonare la batteria in mezzo al pubblico! Gli Anti-Flag non hanno colpito per una prestazione pulita dal punto di vista esecutivo, ma sul fronte energia e coinvolgimento sono riusciti a centrare il bersaglio pieno! (Matteo Cereda)

VOLBEAT

Sebbene non si tratti di una band particolarmente pubblicizzata qui in Italia, in molti la conoscono e altrettanti la aspettano oggi. I Volbeat, capitanati dal tatuatissimo cantante-chitarrista Michael Poulsen, ci mettono poco a scaldare gli animi e a scuotere la platea. Basta l’accoppiata iniziale composta da “The Human Instrument” e la spettacolare “Guitar Gangsters & Cadillac Blood” ad accontentare i fan del gruppo e a far notare anche ai più distratti il particolare sound della formazione danese. Il suo mix tra metal, hard rock, punk, country e rockabilly è tra le proposte più originali del momento e lo show difatti è un susseguirsi di brani stilisticamente vari, come la thrashy “Who They Are”, la più country-rockabilleggiante e divertente “Sad Man Tongue” (non a caso dedicata a Johnny Cash) e il semi-lento “Fallen”, che Michael dedica al padre. Buona la sua prova vocale e anche quella strumentale del gruppo, anche se i suoni non sono molto nitidi e tendono ad uniformare parecchio i brani, limitando così la versatilità di sound menzionata sopra. Poche e brevissime le pause tra un pezzo e l’altro, nelle quali è ovviamente il frontman a tenere banco grazie alla sua attitudine simpatica e molto “alla mano”. Dopo la spassosissima cover anni sessanta di Dusty Springfield, “I Only Wanna Be With You”, il finale è lasciato a “Pool Of Booze, Booze, Booza”, chiusa con un inatteso accenno a “Raining Blood” degli Slayer, che ovviamente infiamma il pubblico. Anche con una setlist ridotta e senza pezzi forti come “16 Dollars”, “A Moment Forever” o “The Garden’s Tale”, pollice alzato per i Volbeat, gruppo che quest’oggi quadagna sicuramente molti nuovi fan e si conferma come una delle migliori e più poliedriche realtà in ambito metal e affini. (Alessandro Corno)

SICK OF IT ALL

Con i Sick Of It All arriviamo ai duri e puri dell’hardcore newyorchese, aventi l’arduo compito di coinvolgere un’audience che pare non essere esattamente ferrata sull’argomento. I ragazzi-ormai-cresciuti ovviamente non temono l’impatto con un pubblico non lì per loro e partono in quarta scaraventando “Death And Jail” addosso alle prime file. Diciamo che ci é voluto un po’ di tempo ed un po’ di setlist affinchè il pit si sia smosso per bene, però con il proseguire dei minuti i fratelli Koller e compari sono stati in grado di trascinare i presenti in poghi di media misura, culminati nell’esecuzione di “Scratch The Surface”, che ha portato ad un wall-of-death un po’ da principianti, soprattutto nella preparazione. Quest’ultimo è stato addirittura replicato nella seconda parte di platea, dove la gente fino allora era parsa piuttosto spenta e disinteressata. Lasciateci concludere dicendo che dispiace essere solamente al terzo gruppo in programma e vedere parecchia gente già in condizioni pietose od estreme. Diciamo noi: aspettate almeno di godervi i System Of A Down, poi collassate! Prestazione discreta dei SOIA, insufficiente del pubblico…ed ora palla a Danzig! (Marco Gallarati)

DANZIG

Dalle tenebre più profonde riemerge Glenn Danzig, carismatica figura di culto degli anni ’80, prima con i Misfits e successivamente con la sua band omonima, che con i primi due capitoli ci ha regalato due perle di hard rock oscuro. Purtroppo in questa occasione il pubblico attende soltanto l’esibizione dei SOAD e le torbide ballate proposte dal frontman americano non vengono affatto apprezzate dalla gran parte dei presenti. Inoltre si sono aggiunti alcuni problemi tecnici alla chitarra, sommati al fatto che la voce del buon Glenn in alcuni frangenti ha subito pesanti cali di tono. Lo show è durato soltanto quaranta minuti, anche se rimarchiamo che alcuni episodi, quali la torbida “How The Gods Kill”, le ritmiche cadenzate della meravigliosa “Her Black Wings” e l’accattivante “Hammer Of The Gods”, hanno fatto venire la pelle d’oca. Ancora una volta, però, ci tocca rimarcare come la stolta mentalità nazional-popolare italiana abbia preso il sopravvento, dato che per tutta la durata del set il palco è stato bersagliato di bottigliette di plastica e avanzi di cibo non identificati, scatenando la giusta ira del frontman. Spetta all’immortale “Mother” chiudere la breve performance e non ci stupiamo affatto che Danzig abbia abbandonato il palco senza ringraziare nessuno, lasciandoci un pesante senso di amaro in bocca a causa della stupidità di certi elementi. Da rivedere in un contesto più consono. (Gennaro Dileo)

 

Ci scusiamo per le poche foto disponibili per i Danzig, ma il loro tourmanager, pochi secondi dopo l’inizio del concerto, ha svuotato l’areafotografi facendo chiaramente capire che la band non desiderava esser fotografata.

SYSTEM OF A DOWN

Ci sbilanciamo: l’Evento dell’estate metal (o alternative metal), sbaragliando tutti i pronostici e salvo rovesciamenti improbabili, è la reunion dei System Of A Down. La formazione armeno-americana ha azzeccato tutto. Se i Korn, perdendo un pezzo alla volta, hanno continuato imperterriti un ciclo album/tour sempre remunerativo ma con risultati discutibili, i System si sono fermati al momento giusto, si sono svagati, se la sono presa comoda e hanno fatto salire il contatore dell’attesa rientrando in gioco nel momento più idoneo. Ed eccoci nell’Arena Fiera di Rho, con 40000 (!!!) spettatori in fila tra i mixer, con un live che sbaraglierà, ci scommettiamo, Gods, Sonisphere e i tanto sbandierati Big Four, soprattutto in fatto di rilevanza mediatica e richiamo di pubblico. Nessuno se l’aspettava e nessuno sa spiegarselo razionalmente, ma il successo a cui abbiamo assistito è, in una parola, indiscutibile. La condizione climatica è rimasta perfetta per l’intera esibizione dei SOAD – così come per tutto il resto della giornata – e l’esaltazione del pubbico ha coronato e appagato anni di vuoto. Il pubblico “nu metal” è ancora forte e appassionato, non c’è che dire, e lo show lo costruisce con passione implacabile. Unito, bisogna dirlo, ad una pletora di ragazzini che con il metal c’entrano come i cavoli a merenda. Per come ce li ricordiamo poi, i quattro non ci sembrano nemmeno così fuori forma: come da copione non si guardano in faccia, non si sprecano nel dialogo col pubblico, non si muovono più di tanto dal metro quadro a ciascuno assegnato, imbroccano anche qualche stecca. Serj Tankian sembra un cameriere con quella sua linda camicetta e Daron Malakian un pittore sfatto sotto il suo cappellino pretenzioso. Sono imperfetti sì, ma in una densissima scaletta di 90 minuti, che abbraccia praticamente tutti i classici del gruppo, dando largo spazio anche ai pezzi meno ovvi, accontentano praticamente tutti i fan presenti, pur offrendo il minimo sindacale. Com’è possibile, vi chiederete? Gran repertorio, di sicuro: nei quattro album in studio la band ha fatto poche inutilità e – scusate ma dobbiamo ripeterci – ha saputo dosarsi ottimamente. Un pubblico poco esigente e molto entusiasta fa il resto. La performance non soffre di alcun cedimento e, senza alcuna interruzione, alle 23.00 precise lo spettacolo volge al termine con un’infuocata “Sugar”, che spreme le ultime gocce di sudore dal pubblico, senza alcun encore ma con un elevatissimo numero di pezzi nel sacco. Diamo a Cesare quel che è di Cesare: anche chi scrive si è trovato a cantare a memoria ogni singolo pezzo, a volte anche senza ricordarne con precisione il titolo. Trovarci davanti a un evento così travolgente, inoltre, ci ha riempito di gioia, così come trovare i volti sorridenti di (quasi) tutti che si incamminano verso l’uscita. Bravi System Of A Down quindi, avete vinto in maniera spettacolare, e vi siete guadagnati anche un posticino nell’almanacco del metal italiano. (Maurizio ‘Morrizz’ Borghi)