Report a cura di Andrea Intacchi
Scrivi maggio, leggi sole; scrivi sole, leggi caldo, troppo caldo; scrivi caldo, leggi birra; scrivi birra, anzi bevi birra, leggi Tankard. E sono stati propri i quattro trasher di Francoforte a recitare il ruolo di assoluti protagonisti nel corso della serata ad alto tasso alcolico, ma soprattutto ad altissimo livello sudorifero, svoltasi in quel del Campus Industry Music di Parma lo scorso 21 maggio; seconda delle tre date previste in terra italiana, tra Venezia e Roma, così da tracciare un perfetto fiume luppolato lungo la nostra penisola. Tankard che, come annunciato un paio di settimane fa, il prossimo 30 settembre rilasceranno la loro fatica numero diciotto intitolata “Pavlov’s Dawgs”, celebrando al meglio i quarant’anni di carriera. Ma torniamo a sabato scorso. Ad attenderci, oltre ad un’afa boccheggiante, fortunatamente attenuata (almeno inizialmente) dalla brezza condizionatrice del Campus, il buon Buffo, addetto al merch del quartetto teutonico, già in postazione con tanto di piedi all’aria. Mancano ancora diverse ore prima che i Tankard salgano sul palco ma le teste dei primissimi metallari accorsi sono già pronte a muoversi. ‘Gerre’ e compagni non saranno infatti gli unici ad esibirsi sul palco parmense: con loro un quartetto tricolore a firma Last Rebels, Explorer, Reverber e Game Over, tutti spediti e vogliosi di scaricare più energia possibile sugli astanti pervenuti presso la location emiliana. Sono le sette e mezza quando arrivano i primi richiami: le danze stanno per iniziare; si entra.
LAST REBELS
Si parlava di Lemmy con degli amici ed ecco i Last Rebels: con i dovuti paragoni del caso, la proposta del terzetto marchigiano prende a piene mani dal repertorio immarcescibile a firma Motörhead. Con tanto di Rickenbacker ed asta del microfono ben alzata, è il frontman Cius Mefisto a lanciare i primi strali in formato speed metal. I ritmi sono quelli tipici del genere, in cui, oltre ai riff griffati ‘teste di motore’, si possono riconoscere anche alcune linee targate Tank. Attitudine da rocker di strada quella del trio di Fermo, ideale aperitivo sonoro della serata, che scalda i motori e gli animi dei presenti sin dai primi brani. Il timbro roco, in modalità Kilmister, dello stesso Mefisto scandisce greve le liriche degli otto pezzi proposti durante lo show, estratti dai due dischi sinora prodotti dal gruppo. Dall’esordio “Bite Tonight” vengono infatti suonate “Metal Smoker”, “Sex, Drinks At Rock Cafè”, “Indian’s Reveng” (con tanto di coro tribale a metà del pezzo) e la stessa titletrack, mentre dal secondo album “Outlaw” i nostri ci propongono “Buffalo Brother”, Heavy Roller”, “Speed Metal Amphetamine” e la canzone omonima che dà il titolo al full-length. Grinta da vendere dunque per i Last Rebels: da una parte, come detto, la possanza del leader bassista, dall’altra compare Alex Ricciuletor, intento a schizzare riff su riff, al centro il giovane batterista Luca Chierici, intento a mantenere alta la tensione, e con essa pure la temperatura che, soprattutto nelle prime file, comincia ad assumere gradazioni ben al di sopra della media. Per la colonna vertebrale, il primo set in programma è stato un buonissimo allenamento: con i Last Rebels l’appuntamento è rimandato al termine della serata quando compariranno nel bel mezzo del pogo durante il concerto dei Tankard. Ma ora è tempo di refrigerarsi, gli Explorer sono pronti per la loro performance.
EXPLORER
Speed in tutti i sensi. Il concerto degli emiliani Explorer è una dose iperconcetrata di speed metal, senza tregua; dritti filati, aumentando ulteriormente il tasso adrenalinico del sabato parmense. E’ il chitarrista e vocalist Jack a prendere possesso immediato della scena di fronte ad un pubblico colto quasi alla sprovvista. Pronti via ed è la micidiale “Evil Of The Drugs” a rompere gli indugi, mettendo subito in risalto la carica energetica sprigionata dal quartetto di Reggio Emilia. Con essa, purtroppo, anche alcuni problemi di volume che vanno ad impattare proprio l’impianto vocale: grattacapo che si risolverà nel breve, tanto che nella successiva “Runaway From The Cross”, dedicata a tutti i ‘supporter’ della Chiesa, le cose vanno decisamente già meglio. Lo scapocciare inizia ad inserire il pilota automatico, come testimoniato da alcuni fan della band posti proprio a ridosso delle transenne; headbanging imperante, sostenuto dalla selvaggia “Hidden In The Dark” la quale, come spiegato dallo stesso Jack, “ha vinto una sorta di battaglia con un altro pezzo che, dopo una discussione con la band, è stato tagliato dalla setlist“. Poco importa, come già dimostrato in altre occasioni, gli Explorer sanno il fatto e loro e, con il piede pigiato costantemente sull’acceleratore, non mollano il colpo, tenendo l’ascoltatore ben allacciato a questa spirale di speed/thrash dalle tinte tricolore. Vortice che aggiunge un nuovo scossone con “Devil’s Revenge”, autentica bordata, contraddistinta da una schizzata raffica di riff sulla quale il tupa-tupa della batteria accresce inevitabilmente il grado di adrenalina. In una serata del genere non poteva ovviamente mancare un’omaggio in chiave metal alla birra e nemmeno gli Explorer si rifiutano di dare il proprio contributo: ecco dunque il basso di Maio ad introdurre “Love Beer” ad anticipare l’ultimo brano in scaletta, quella “Explorer” presente nel primo EP pubblicato dalla band nella quale si palesa l’intento di puro divertimento che li ha caratterizzati anche in questa occasione. Dall’Emilia si scende ora dritti nella capitale: sul palco, dopo una pausa rinfrescante, i Reverber stanno preparando le proprie armi.
REVERBER
A conti fatti, uno degli show più convincenti dell’intera serata. E i prodromi di una mezz’ora davvero infuocata si potevano già carpire nel vedere il bassista Emanuele Evangelisti incitare continuamente la folla mentre imbracciava il proprio strumento in attesa del via ufficiale. Thrash, solamente thrash, fottutamente thrash: la formula dei Reverber è tanto semplice quanto efficace. Come le sette stelle dell’Orsa Maggiore proteggevano Ken Shiro, così la stella teutonica dei Kreator campeggia tra il diluvio di riff rovesciato dalle chitarre di Marco Mitraja e Alessio Alessandretti, scatenando i primi ammassamenti corporali a centro pit. L’attenzione dei quattro amici romani è puntata principalmente sull’ultimo lavoro prodotto in studio: quel “Sect Of Faceless”, pubblicato due anni fa, dal quale vengono proposti cinque pezzi. Ed il primo assalto è firmato dall’opener “Gods Of Illusion” la quale, nonostante qualche inghippo tecnico, mette subito d’accordo la platea sugli intenti ‘omicidi’ dei Reverber: l’ugola dello stesso Mitraja, ricalcante (senza esagerazioni imitatorie) quella di Mille Petrozza, lacera l’aria sopra le teste di chi gli sta di fronte come una lama tagliente. Tensione che rimane costantemente alta, nonostante il termometro schizzi ormai con somma facilità verso il temutissimo picco. Poco importa: si gode e si scapoccia alla grande con “Nightmareland”, una delle migliori dell’intero pacchetto: diretta, ferale ma anche melodica e trascinante, rispecchiando a dovere le ultime direzioni stilistiche intraprese dal combo di Essen. Chiariamoci: vada per i richiami, vada per alcune soluzioni comuni, ma diamo ai Reverber ciò che si meritano, perché in tema di personalità e di presenza on stage, la band laziale ha dimostrato di avere tutte le carte in regola, riuscendo a catalizzare l’audience e ricevendo i meritati consensi. La valanga thrash dei Reverber chiude i battenti come aveva iniziato anzi, imprimendo ancor più energia grazie a “Kamikaze” che, come da titolo, spezza ogni freno, facendo letteralmente piazza pulita, o meglio sudata, visto il pogo venutosi nel frattempo a creare nelle prime file. Foto di gruppo panoramica e via, altra breve sosta refrigerante, in attesa dei Game Over.
GAME OVER
Insieme ai Reverber, il combo ferrarese ha seguito i Tankard lungo le tre date italiche e, come chi li ha preceduti, ha saputo trasmettere la giusta potenza sui presenti così da celebrare al meglio un nuovo passo verso la definitiva ripartenza dei concerti, assenti da troppo, troppo tempo. E allora, giusto per tirarci una prima mattonata sul cranio, i Game Over si presentano con la tempestiva “33 Park Street”, tellurica al punto giusto e ricca da passaggi più tecnici. La tenuta on stage è sicuramente uno dei punti forti della band romagnola che si muove a memoria, frutto di numerosi live e di tanto, tanto lavoro da parte di Renato ‘Reno’ Chiccoli e compagni, forti di quattro dischi all’attivo, hanno modo di poter scegliere tra i pezzi più efficaci in sede live. Ed allora ecco la corrosiva e megadethiana “Fix Your Brain”, sempre marchiata dall’alternanza continua di ritmi e melodie, riuscendo ad offrire un pacchetto completo delle capacità tecniche dei quattro musicisti. Nemmeno con i Game Over, come sottolineato, vi sono spazi per pensare e con “Another Dose Of Thrash” arriva in pieno volto, un’altra botta non indifferente, con quel riff insidioso e repentino che porta inevitabilmente a scuotere il kit testa-collo. Il telo che si staglia sullo sfondo sembra quasi un imperativo vista la carica emotiva trasferita da Renato e soci, sempre pronti a chiamare a sè la folla prima di lanciare un nuovo assalto firmato da “Last Before The End” e dalla misteriosa “Astral Matter”, anch’essa estratta dal buonissimo “Crimes Against Reality”, uno dei dischi migliori rilasciati dal quartetto italiano. La macchina ferrarese sciorina thrash da ogni poro, e quando parte la maligna “Masters Of Control” è di quelle che lascia il segno, con le luci strobo a fare da sostegno all’andamento martellante impostato dalla sezione ritmica guidata dallo stesso Chiccoli e dal batterista Anthony Dentone, sui quali si dilettano luciferini Luca Zironi e Alessandro Sansone (stupenda la t-shirt dei Carnivore indossata) a sfoggiare riff e assoli a iosa. E quand’anche la spedita “Neon Maniacs” mette tutti a tacere la sensazione è quella di aver assistito ad una prestazione professionale e convincente senza mezzi termini; Game Over appunto.
TANKARD
Buio, ed è sulle note di “El Condor Pasa” di Simon and Garfunkel che prende avvio la festa finale. Sì perché, comunque vada, un concerto dei Tankard ha sempre quel sapore folkloristico di allegria e sana felicità. Luci, ed eccoli i quattro di Francoforte, capitanati da un Andreas ‘Gerre’ Geremia in una dignitosissima forma fisica che troverà ulteriore testimonianza nella qualità vocali mostrate lungo tutto lo spettacolo. Alla sua sinistra il prode compagno di una vita Frank, alle pelli, un po’ in ombra, l’impiegato Olaf, e alla sua destra Andy, già in posizione per sparare la serie di riff che andranno a contrassegnare i vari pezzi previsti dalla scaletta. Set lineare che, pur non concedendo chissà quali varianti rispetto alle precedenti uscite, ripercorre una carriera costellata da diciassette album, per un totale, come detto ad inizio report, di quarant’anni di attività. Si comincia allora sulle note di “Rectifier”, il classico pezzo robusto che assesta i primi colpi al basso ventre. E nel pit si comincia genuinamente a pogare. Snocciolando “mille grazie” a go-go, con tanto di ‘erre’ teutonica, il nostro Andreas ci porta subito agli anni che furono e ad una sudorifera “The Morning After”, così giusto per gradire. L’atmosfera che si respira, ora caldissima, è quella old-school, con alcuni metallari che, saltata la transenna in modalità ‘olio Cuore’ si piazzano in primissima linea godendosi lo spettacolo; permangono, nota dolente per chi scrive, alcuni cellulari in bella vista che rimarranno attivi per l’intera (ribadiamo, intera) durata del concerto; quando rivedranno ciò che hanno filmato non è dato a sapersi.
Aggiungiamo un ‘chissenefrega’ e procediamo con Andy che si attorciglia su stesso pur di non fermarsi, con ‘Gerre’ che saltella e balla sul posto mentre aizza la folla a cantare i refrain di “Metal To Metal” e dell’arcigna e poderosa “Rapid Fire”. “Quest’anno sono quaranta” annuncia, mimando uno zoppicamento con tanto di mal di schiena ma, come recita una delle t-shirt della band, “Senile with style”, e allora via con “Die With A Beer In Your Hand”. Le teste al di qua del palco proseguono imperterrite con il movimento ridondante del perfetto headbanger professionista, ignaro della calura che ormai pervade ogni microspazio che divide un metallaro dall’altro. La voglia di divertirsi supera comunque anche il clima più torrido e l’occasione per dare vita all’ennesimo festeggiamento è proprio dietro l’angolo: reduci dalla gloriosa trasferta di Siviglia, i Tankard, tifosissimi dell’Eintracht di Francoforte (in primis Gerre e il famoso Buffo), celebrano la vittoria della compagine tedesca nella finale di Europa League cantando un’emozionante “We’re Coming Back”. Tra le hit proposte non poteva mancare uno dei pezzi più recenti dedicati alla madre birra e allora, come già avvenuto in passato, ecco la chiamata on stage di una ragazza: a Parma è il turno di una certa Lucrezia che “beve poco ma ora danza“, così sentenzia Gerre, dando il via con un balletto all’ormai classica “A Girl Called Cerveza”. Applausi, sorrisoni e più di un richiamo al capo delle divinità religiose accompagnano i Tankard fuori dalla scena i quali, come da copione, ritornano dopo pochi minuti tra i rintocchi di una campana funebre e tetra. E’ il tintinnio di una liturgia solenne che si chiama “R.I.B. (Rest In Beer)” ad anticipare un finale che non ha certo bisogno di ulteriori spiegazioni. Prima scatta la fulminea “Zombie Attack”, quindi, ‘intonata’ per modo di dire dal pubblico, l’eterna “Empty Tankard” a scandire ancora una volta il tempo immortale di una band che non si è mai presa troppo sul serio ma che ha sempre dato soddisfazioni, sia in studio che in sede live. Ed anche questa volta ne abbiamo avuto la conferma. Prost!
Setlist:
Rectifier
The Morning After
Metal To Metal
Rapid Fire (A Tyrant’s Elegy)
Acid Death
Die With a Beer In Your Hand
Rules For Fools
Time Warp
One Foot In The Grave
Chemical Invasion
Octane Warriors
We’re Coming Back
A Girl Called Cerveza
Encore:
R.I.B. (Rest in Beer)
Zombie Attack
(Empty) Tankard