13-14/06/2025 - TEIFLJAGD 2025

Pubblicato il 21/06/2025 da

Report di Denis Bonetti
Fotografie dai canali ufficiali del festival (di Sunnyshotmedown)

Nell’infinito universo di piccoli festival metal in Europa, si sta facendo notare il Teifljagd, giunto alla sua terza edizione: ospitata in un suggestivo castello in alta Austria, la piccola manifestazione, probabilmente incoraggiata dai risultati ottenuti, si è trasformata quest’anno per la prima volta in un evento di due giorni, con un totale di tredici band che si sono alternate su un unico palco.
Incuriositi dalla location e da un paio di nomi particolari difficili da vedere live sia dalle nostre parti che in generale, nonostante la distanza notevole dal nord Italia lo scorso weekend abbiamo deciso di recarci al Burg Piberstein, a Nord di Linz e piuttosto vicino al confine con la Repubblica Ceca, per verificare di persona la bontà del festival.
Arrivati in location a metà pomeriggio del venerdì, il Burg Piberstein si mostra come un vero castello del tredicesimo secolo nel cui cortile principale, sotto una tettoia, è stato ricavato un palco attrezzato per eventi vari. Sono inoltre presenti due punti bar, uno interno e uno esterno, i bagni della struttura (più qualche chimico) e un paio di food truck all’esterno delle mura, oltre ad un ampio spazio merch e un paio di venditori di CD e manufatti artigianali.
Il tempo è buono (soleggiato ma non caldissimo), il paesaggio attorno al castello e nella piccola zona campeggio è incantevole e tutto prefigura una due giorni di relax e metallo, vista anche la possibilità di sedersi sull’erba e panchine sia all’interno del castello che al di fuori.

 

Venerdì 13 Giugno

Puntuali alle 18, ad aprire le danze sono i GLARE OF THE SUN, gruppo che ammettiamo di aver ignorato finora nonostante un contratto Lifeforce e una carriera decennale, con tre album negli ultimi anni.
L’ultimo “Tal”, è un bell’esempio di melodic doom misto a post-metal che si muove tra gli Anathema del medio periodo, gli Shores Of Null, i Cult Of Luna più melodici e lineari, certi Tiamat e gli Isis.
Con il cortile del Burg ancora illuminato dal sole, fa un certo effetto sentire musica così malinconica e rabbiosa ma la band austriaca riesce a creare una bella atmosfera che virtualmente scaccia la bella stagione, almeno per una quarantina di minuti. Musicalmente piuttosto vari, i nostri alternano parti più classicamente doom inglesi ad altre più varie, infilando voci pulite, growl e stacchi nella maniera migliore. Prima bella sorpresa.

Dopo di loro, tocca agli HORNS OF DOMINATION, formazione di Norimberga che ci ricordavamo qualche anno fa nel catalogo della Sepulchral Voice. Da quel momento, ovvero il disco “Where Voices Leave No Echo”, non è successo più nulla di rilevante e siamo un po’ curiosi di vedere quindi come il loro death/black furibondo e cavernoso possa rendere dal vivo.
I tre, pittati di tutto punto e con gli usuali ammennicoli da palco (croci, catene e teschi) non ci mettono molto a far capire le loro intenzioni e il pubblico presente nell’area, per ora un centinaio di persone disposte in modo irregolare, sembra apprezzare. Rispetto alla massa di band dello stesso tipo che si muovono attorno ad etichette come Vàn, Terratur e la citata Sepulchral Voice, i nostri mantengono un suono decisamente più thrash vecchia scuola e l’approccio alla voce è piuttosto originale. I pezzi, almeno dal vivo, si assomigliano un po’ tutti e respirano solo con degli stacchi più doom, ma abbiamo apprezzato.
Ai più magari il nome DRENGSKAPUR potrebbe non dire moltissimo, ma il duo berlinese formato da Wintergrimm e Hiverfroid rimane una solida realtà attiva nell’underground tedesco. Il loro suono classico ma infarcito di atmosfera che ricorda Drudkh, Wodensthrone e Burzum si è dimostrato adeguato anche su un palco, dove i nostri si esibiscono con una formazione a tre. Attivi da più di un ventennio, con una discografia piuttosto ampia, i Drengskapur hanno riportato nel cortile del Burg sonorità piuttosto nostalgiche ma efficaci. Siamo di fronte ad una band forse operaia, ma sempre piacevole.


E’ ormai sera e dopo aver cenato e bevuto a prezzi più che accettabili, è ora dei norvegesi SLAGMAUR, formazione che abbiamo sempre un po’ faticato a masticare, almeno su disco. Celebri per la loro teatralità sul palco, dove si esibiscono con mantelli e maschere particolari (caproni, maiali ed altre creature mostruose), non ci avevano mai musicalmente colpito per una proposta sì particolare, ma non del tutto centrata.
Quello che sentiamo dal palco del Teifljagd è un black metal dai risvolti industriali che insiste quasi sempre sui tempi medi e utilizza una voce urlata ma allo stesso piena di effetti e recitata. Le influenze strettamente musicali sono tante: dal grandeur sinfonico dei Dimmu Borgir di “Death Cult Armageddon” ai Troll dei dischi più moderni, dall’approccio dei Mysticum alle marzialità dei Rammstein.
Purtroppo però – forse per una loro scelta dei suoni, forse per la situazione – tutto ciò che sentiamo è una quantità di frequenze basse esagerata, su cui spunta la batteria e, non particolarmente distinguibile, la voce di Dr. Von Hellreich. Il risultato è nel complesso purtroppo molto monotono, sicuramente non ravvivato da una interazione con il pubblico quasi inesistente. Ne approfittiamo per farci un giretto e a quell’ora, nel Burg, sono presenti secondo noi alcune centinaia di persone che permettono una buonissima vivibilità dell’evento.
Torniamo in zona palco quando si sta preparando Erik Gärdefors, ovvero GRIFT, che in questo periodo sta facendo capolino in vari festival ed eventi sia in versione elettrica con una band vera e propria (come al recente Fortress Fest dove ha portato sul palco “Syner”) o in quella completamente acustica, come qui al Teifljagd. Quando Erik è da solo, accompagnato solo dalla chitarra e da qualche esile base (spesso semplici suoni notturni), dà sfogo alla poetica notturna dei Grift in maniera eccellente, muovendosi qua e là con disinvoltura nella propria discografia. Quello che sentiamo è un neofolk molto notturno, riflessivo, musicalmente scarno non molto lontano dalla tradizione di Ulver, Haavard ed Empyrium.
Le composizioni di “Dolt Land” sono a nostro avviso le più adeguate per questo tipo di show che, in quel del Teifljagd, hanno sfruttato appieno la location e l’orario. Ormai  sono le 23 e in un setting di palco con candele e poche luci, il nostro riesce ad incantare nel modo giusto i presenti.

Sabato 14 Giugno

Alle 15 in punto, in una nuova giornata di sole non eccessivamente calda, aprono i tirolesi JESAJAH con il loro black metal abbastanza classico che mostra diverse influenze death metal.
A dir la verità, pur apprezzando la convinzione dei nostri e il look decisamente old-school col corpsepaint, non conoscendo le versioni da studio dei brani rimaniamo un po’ perplessi davanti a momenti che si avvicinano di più agli Asphyx che al black metal nordico, intervallati con altri che invece hanno più di uno spunto black. La prova in sé non è malvagia, anzi, ma andrebbero risolte secondo noi alcune dissonanze che creano delle aspettative.
Dopo di loro tocca agli HEIDNIR, anche loro austriaci: siamo nuovamente di fronte ad una band dall’estetica prepotentemente black metal ma stavolta ciò che sentiamo si abbina perfettamente. Il loro suono è un black metal abbastanza melodico e vario, sostenuto da trame di chitarra notevoli. Niente di particolarmente originale, ma i pezzi che abbiamo sentito sono risultati un buonissimo mix di epicità, violenza e melodia. Ci hanno incuriosito: adesso andremo a studiarci le composizioni da studio.

Sono ormai le 17 abbondanti quando tocca ai VALBORG. Guardandoci attorno, è chiaro come l’affluenza sia maggiore del giorno precedente – potremmo ipotizzare circa quattrocento persone – e non siamo probabilmente i soli ad attendere gli strambi tedeschi sotto Prophecy.
Per quel che ci riguarda, sono la prima vera sorpresa del festival per molti motivi: prima di tutto, eravamo veramente curiosi di capire come una band con un suono così particolare fosse su un palco e poi volevamo anche verificare se una proposta così ‘artistica’ piacesse o meno. Il death/doom urlatissimo e asimmetrico dei Valborg, pieno di influenze che escono dai territori prettamente metal e accompagnato da un’estetica futurista e spesso coloratissima, è su palco invece molto più essenziale.
I suoni sono ancora più secchi, la struttura del trio è sorretta dal suono del basso e quello che ci troviamo davanti è un death/doom dalle soluzioni particolari che, suonato così marzialmente, ricorda Godflesh, i dimenticati Totenmond e acquista persino una venatura sludge metal per la pesantezza e l’abrasività con cui è scandito. Molto belle le prestazioni individuali, dalle due voci di Jan Buckard e Christian Kolf, oltre che alla prova di batteria di Florian Toyka.
Siamo poco prima di ora di cena e tocca ai tedeschi MORAST, creatura molto particolare appena ritornata su Vàn con la loro proposta di soffocante blackened doom affine a pochi altri nomi (The Ruins Of Beveratst su tutti). Avevano periò attirato la nostra attenzione, ma non ci avevano convinto del tutto per la monoliticità intrinseca della musica a lungo termine.
Sul palco del Burg invece ci hanno stupito: ci vogliono pochi minuti per osservare che, prima di tutto, il gruppo ha un’attitudine rock’n’roll notevole (una delle poche a manifestarlo, durante la due giorni) e che le prove individuali sono eccellenti, a partite dal basso tenuto in evidenza nel mix insieme alla batteria. Voce e chitarra fanno il resto e un’ondata di malessere inonda il cortile del castello.
Marci, disperati, aggressivi, i Morast ricreano al meglio le atmosfere di “Fentanyl” e “Il Nostro Silenzio” aggiungendo quell’elemento dinamico che mancava. Incredibile performance, la migliore per noi.

Quasi alle otto di sera tocca all’unica band italiana presente nel bill, i PONTE DEL DIAVOLO che ora sembrano in trance agonistica e si stanno muovendo molto bene a livello europeo, sulla scorta del successo del disco e in attesa di un seguito.
Abbiamo visto i nostri diverse volte nell’ultimo anno ed eravamo curiosi di vederli di fronte ad un pubblico un po’ diverso. Con nostra sorpresa, la risposta dell’audience mitteleuropea è stata più che soddisfacente, con alcuni fan assiepati nelle prime file che conoscevano già i pezzi.
Riguardo ai nostri, c’è poco di nuovo da dire se non che il loro ibrido di doom, black metal e post-punk funziona sempre meglio, grazie anche all’idea dei due bassi, alla teatralità della cantante Elena/Erba del Diavolo ma anche semplicemente all’efficacia di brani come “Demone” o “Covenant”.
Sorretti da suoni perfetti (come quasi tutte le altre esibizioni della due giorni) i Ponte Del Diavolo hanno lasciato il segno.
Ormai è buio quando tocca agli EREB ALTOR, mai domi e sempre sul mercato con un nuovo disco o parte di un nuovo tour.
Chi scrive non segue più assiduamente gli svedesi da qualche anno – anche solo per il cronico affollamento del mercato che tutti conosciamo – ma la loro formula di viking/pagan black metal debitrice dei Bathory ci è sempre garbata, e l’esibizione di stasera lo conferma con una buona parte dei presenti realmente coinvolta e partecipe.
Dotati di una buona presenza di palco, dovuta anche all’esperienza, gli Ereb Altor hanno convinto tutti anche con la loro simpatia e l’affabilità verso il pubblico. Non saranno più fondamentali su disco, ammesso che lo siano mai stati, ma è una band che fa sempre piacere seguire.

Lo slot da headliner del secondo giorno è lasciato ai LUCIFER’S CHILD, greci doc che hanno militato nel tempo in svariate formazioni anche piuttosto celebri.
Li avevamo visti poco prima della pandemia, quando promuovevano “The Order”, il disco che li aveva fatti notare un po’ a tutti; nel frattempo è uscito un nuovo “The Illuminant” che non sposta le coordinate più di tanto dal bel death/black melodico che li posiziona abbastanza vicini a Rotting Christ, Yoth Iria o dei Septic Flesh non così pompati.
Quello che sentiamo è perfettamente in linea: voci ficcanti ma anche narrative e capibili, in pieno stile ellenico, ripartenze improvvise e stacchi epici. Il pubblico del Burg sembra apprezzare e la serata giunge al termine nella maniera migliore. Resterebbe l’esibizione del progetto neofolk Dyvina, ma le molteplici ore di guida che ci aspettano la mattina dopo ci convincono a rientrare prima della loro prova.
Qualche considerazione conclusiva: il Teifljagd ha messo in piedi un gran bel ‘piccolo’ festival basato su una location meravigliosa con servizi più che adeguati per le circa quattrocento persone presenti; notevole anche la cura nella selezione delle band, tutte almeno adeguate al contesto con l’inclusione di sonorità acustiche e neofolk (giustamente posizionate in chiusura al buio); da sottolineare anche orari rispettati, buona comunicazione verso il pubblico e tante altre piccole attenzioni che dovrebbero esserci negli eventi metal che non fanno i grandi numeri.
Assolutamente promosso, anche solo per un weekend di relax con la nostra musica.

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