Introduzione a cura di Giovanni Mascherpa
Report a cura di Giovanni Mascherpa e Davide Romagnoli
Nell’underground più impenetrabile, in quella scena che rifiuta con sdegno qualsiasi vetrina mediatica e si mostra nella sua purezza soltanto in centri sociali, locali periferici, circuiti frequentati da poche manciate di persone, una proposta come quella dei Tempest è diventata presto leggenda. “Passages” si è trasformato in poco tempo in una piccola icona del post-core, un concentrato di psicosi scabrosamente umane, schizofrenie rappresentanti il modo estremo di vivere e interpretare l’hardcore, facendovi affiorare un’umanità fierissima, che si trova spesso ad affogare nell’oscurità e, per esorcizzarla e acquietarsi, necessita di inoltrarsi nel dolore ed essere temprata da tutte le sconcezze, i malesseri, le sofferenze che il lato buio del proprio Io e dell’ambiente che lo circondano emana. Ora i Tempest hanno deciso di uscire dal letargo della loro Vancouver e di scardinare nuovamente le nostre certezze con un altro proiettile dolorosissimo, chiamato semplicemente “Tempest” (almeno per ora: i ragazzi non hanno chiarito se, come si legge sulla loro pagina Bandcamp, questo sarà il titolo definitivo). In prossimità della sua uscita ufficiale, il quintetto ha attraversato l’Atlantico e si è impegnato in un tour europeo comprensivo di due tappe italiane: quella milanese è la prima (la seconda a Padova il giorno successivo) ed è anche l’occasione di acquistare l’introvabile vinile di “Passages” e una versione grezza del nuovo disco, in un’edizione limitata di cento copie in formato cassetta, concepita apposta per il tour. La cornice è quella del Ligera, in piena Via Padova a Milano, in una veste oltremodo spartana: si suona direttamente sul pavimento del locale, senza utilizzare il piccolo palco, né l’impianto audio del sotterraneo adibito a sala concerti: la musica in uscita dagli amplificatori non è sottoposta ad alcuna modifica, ad alcun riordino né levigatura, ed è esclusa anche l’amplificazione della batteria. Un concerto spoglio, un inno al DIY più radicale, nel quale i Tempest sono accompagnati dagli immancabili Storm{O}, sempre più lanciati nello scenario hardcore evoluto nostrano, e i wwounds, formati da membri di Holy e La Crisi, a una delle prime apparizioni fuori dalla sala prove. Non troviamo la stessa fiumana di gente intervenuta l’anno passato per i Tragedy; i Tempest devono ancora formarsi un diffuso e fedele seguito e l’età media è clamorosamente bassa, con la maggior parte dei presenti nettamente sotto i trent’anni. Un prezzo a dir poco popolare (cinque euro) inviterebbe ad un’affluenza massiccia, invece alla fine saranno una quarantina gli individui che varcheranno la soglia del Ligera. Chi ha voluto trascorrere il suo sabato sera in quest’angolo spesso temuto e vilipeso di Milano, vi garantiamo che in questo caso non avuto motivo di pentirsene.
WWOUNDS
I wwounds, tra le compagini partecipanti alla serata, sono la formazione più legata all’hardcore vecchia maniera. I rivoltamenti imprevedibili e le convulsioni sbigottenti dei gruppi che seguiranno a loro non interessano, preferiscono riproporre qualcosa che ricordi la scena italiana degli Anni ’80 e riprenda, al massimo, qualche stilema delle band di appartenenza di alcuni componenti. Indigesti, Negazione, Raw Power sono i chiari riferimenti del quartetto, che in linea col suo spirito punk non pensa a combinare null’altro che suonare con la massima concentrazione ed energia possibili, non concedendo alcun appiglio ad altri motivi di intrattenimento. Ascoltare un gruppo che non si conosce e dalla proposta per sua natura molto concitata senza l’ausilio di un impianto audio ben gestito, come se stessimo assistendo a una sessione in sala prove, non è l’ideale per dare un giudizio esaustivo sull’operato della band: le prime composizioni concepite dai wwounds sono un esplicito omaggio all’età dell’oro dell’hardcore italiano, quando anarchismo, sperimentazione e idealismo facevano tremare la scena punk europea. In neanche venti minuti di esibizione la band vomita una concisa sequela di schegge sonore dalla durata tendente all’infinitesimale, con chitarre stridenti e tritatutto, batteria al limite del grind, voce perennemente urlata. Per ora va bene così, in attesa di capire dove andrà a parare il progetto.
(Giovanni Mascherpa)
STORM{O}
A parte il fastidio che si accompagna a dover cercare la parentesi graffa quando si nomina il loro nome su una tastiera di qualunque apparecchio informatico, tutto quanto è legato a questo nome è un qualcosa di pressochè positivo. Oltre l’ormai più che esaltato lavoro “Sospesi Nel Vuoto Bruceremo In Un Attimo E Il Cerchio Sarà Chiuso” e le ormai innumerevoli date di contorno a questo disco, poco rimane da aggiungere alla formazione di Feltre. Le esibizioni sono sempre dei macigni di lucidità e rabbia scandite da passione e buona esecuzione e in questa data al Ligera nulla è da meno. Poche sono le considerazioni contingenti che si potrebbero addurre in questo caso: i volumi sono solamente quelli degli amplificatori, le botte sul rullo e cassa sono solo basate sulla potenza di Gabriele e quanto di voce si riesce a captare è merito delle corde vocali straziate di Luca. Anche la defezione dietro il basso non sembra far mancare nulla alla botta sonora: l’amico della band, Jeffry, in poche settimane è riuscito ad imparare le parti di Federico, temporaneamente assente, e a presentare addirittura un nuovo brano, che uscirà presto nel nuovo album. Che dire? Suoni secchi come le scudisciate sulla schiena per i militi trasgressivi della Legione Straniera, riverberi da Cappella Sistina e parti vocali di cui non si riesce a riconoscere nemmeno un vocabolo italiano per i volumi da paresi auricolare contraddistinguono una mezzora di puro hardcore underground. Brutale onestà e grande cuore.
(Davide Romagnoli)
TEMPEST
Anche il nome Tempest – per par condicio – non è esente da difficoltà: almeno quello che si riferisce ai brutali hardcorer canadesi e non alla famigerata band britannica prog-rock anni ’70 e nemmeno alla black metal band floridiana, menchemeno alla speed power band teutonica e neanche ai conterranei canadesi heavy metal. Su Metal Archives sono ‘soltanto’ nove i gruppi con questo nome che, ad onor del vero, non brilla certo per particolare fantasia. Questi ragazzi però sono in giro dal 2007 e sono già allo scoglio del terzo album, successore della sberla monolitica che era “Solace” del 2012, e possono essere considerati una piccola band di culto quando si parla di crust/post-metal/hardcorepunk West Coast, e loro stessi si etichettano come ‘musica miserabile per persone miserabili’ oppure ‘out of control Kanada sound’. Parlare di line-check in situazioni come questa potrebbe sembrare un eufemismo, ma molti sono i minuti di settaggio amplificatori e, in realtà, quando i Tempest iniziano a picchiare le prime note sembra che qualcosa sia cambiato. Il quintetto di Vancouver sfodera una compattezza sonora invidiabile ai migliori edit in griglia di ProTools e parte all’attacco in maniera poderosa e letale. Il nuovissimo album omonimo viene sfoderato con classe e maligna botta sonora post-hardcore di una violenza immane, che difficilmente si poteva prevedere dai miti ragazzi della British Columbia. Ancora esaltati dai territori europei e incredibilmente esaltati dalla cornice di culto della serata, i Tempest si lasciano andare ad una mezzora da mietitrebbie inferocite e lasciano stupefatti i presenti. Le influenze principali sono probabilmente, a parte il disagio sociale (pur essendo fieri del loro paese, come scherzano i canadesi al bancone del bar a fine serata), i conterranei Buried Inside, i Tragedy e probabilmente gli stessi Converge, ma tutte si radunano in una miscela compatta di urla brutali e ritmiche serrate e veloci come i treni-proiettili giapponesi. Anche qui: underground vero, incontaminato, puro e inequivocabilmente entusiasmante.
(Davide Romagnoli)