Report a cura di Andrea Intacchi
Thrash batte Trezzo sull’Adda per KO tecnico alla terza ripresa. All’interno di un Live Club stipato in ogni ordine di posti (o quasi), la diligenza metallica nord-americana si è abbattuta come un macigno sopra le teste dei numerosissimi presenti accorsi al locale milanese in occasione della seconda tappa italiana ad opera del terzetto Testament, Annihilator e Death Angel. Uno show fulmineo, pesante, ad alto tasso adrenalinico; un treno sonoro lungo più di tre ore per confermare il buono stato di forma di Osegueda e compagni, la voglia di spaccare ancora da parte di Jeff Waters e l’assoluta maestria della band guidata da Chuck Billy. Vedendo le facce e i corpi di coloro che, al termine della serata, escono lentamente dalle porte del Live, possiamo tranquillamente sottoscrivere come i tre pezzi da novanta abbiano fatto centro…anzi, un botto clamoroso!
DEATH ANGEL
Alle 20 esatte, manco fossimo in Svizzera, in un Live al limite del sold-out, fanno il loro ingresso i Death Angel, guidati da un Mark Osegueda caricato a molla e pronto, così come tutta la band, a sbattere in faccia ai numerosi fan, già abbastanza carichi, una quarantina di minuti di puro, genuino e micidiale thrash metal, senza ‘se’ e senza ‘ma’. L’apripista, utile a settare suoni e volumi ancora leggermente impastati, è affidata a “Father Of Lies”, direttamente dall’ultima loro fatica “The Evil Divide”. Supportati da una carriera più che trentennale, la band americana non deve dimostrare niente a nessuno e così bastano pochi minuti per conquistare i presenti, continuamente sollecitati dal singer di origini filippine il quale, in più di un’occasione – con tanto di bottiglia di Gin alla mano – chiede loro di trasmettere ancor più energia di quanto non stessero già facendo. E allora via con la doppietta “The Dream Calls For Blood” / “Claws In So Deep”, durante la quale lo stesso Osegueda e Rob Cavestany danno prova di saperci fare anche in chiave duetto vocale. ‘Probabilmente molti di voi sono reduci da una giornata di lavoro molto intensa, o magari addirittura di merda… Ma oggi finalmente è venerdì e possiamo fare un po’ di casino, possiamo scatenare un po’ di ultra-violenza!’: e sono proprio queste le parole del buon Mike che danno il via alle note della seminale, nonché trentennale, “The Ultra-Violence”. Si tratta tuttavia di un breve accenno: il riff letale di Cavestany lascia infatti il posto alla fulminea “Thrown To The Wolves”, ripresa una seconda volta proprio per aver una maggior e miglior risposta da parte del pubblico. Nel frattempo, anche le questioni foniche si assestano, giusto in tempo per un altro pezzo da novanta, anch’esso presente nell’album dedicato alla violenza senza limite: “Mistress Of Pain” sferza l’aria del Live con le sue linee armoniche a dir poco taglienti, prima di aprire un vortice ritmico riservato al moshpit più sfrenato. Nonostante il disappunto della platea, il tempo per i Death Angel (ed in parte per la voce stessa di Osegueda) giunge al termine: salutano tutti con la trascinante “The Moth”, promettendo un ritorno imminente su suolo italico. Primo round andato: le forze ci sostengono ancora. E ora sotto con gli Annihilator!
Setlist:
Father Of Lies
The Dream Calls For Blood
Claws In So Deep
The Ultra-Violence/Thrown To The Wolves
Mistress Of Pain
The Moth
ANNIHILATOR
Muoversi tra la folla, così da raggiungere il tanto agognato bancone e poter abbeverare una sostanza liquida ambrata e ‘luppolosa’, è impresa ardua. Alla fine ci si riesce, ma in quel mentre le luci si spengono e on stage appare la crestina di Jeff Waters, accompagnato dalla fedele Flying-V e dai tre compagni di merende, tra cui il nostro Fabio Alessandrini, seduto ormai da due anni dietro il drumkit della band guidata dal chitarrista-cantante canadese. Ora, nonostante le canoniche incertezze vocali di Waters, lo show messo in atto dagli Annihilator è stato di prim’ordine e già con l’opener “One To Kill”, tratta dall’ultimo “For The Demented”, il tasso di adrenalina sudorifera sale di livello, raggiungendo un primo picco di mobilitazione generale con la successiva “King Of The Kill”, scandita dagli astanti a suon di headbanging ed air-guitar dalle forme più stravaganti e iperattive. Ed è stato proprio questo continuo incedere e voler macinare riff su riff, senza dar la minima tregua, uno degli ingredienti vincenti emerso maggiormente durante questa specialissima serata tutta pane e thrash metal. Nonostante le setlist, di tutte e tre le band, fossero ormai collaudate e praticamente le medesime durante tutto il tour, l’impressione del classico ‘cartellino da timbrare’ non si è mai palesata (se non in sede di assoli… ma questa è un’altra storia che leggerete poi). Anzi, un senso di giovinezza spensierata è infatti risuonato tutt’intorno ai musicisti più che navigati, e soprattutto maturi, che si sono alternati sul palco; quasi a voler dare un calcio alla propria carta d’identità e riportare tutti a quegli anni ’80 in cui il thrash aveva cementato le proprie fondamenta. Tornando agli Annihilator, dopo la calorosa “Set The World On Fire”, un balzo indietro nel tempo ci porta, come’era prevedibile, all’album che ha fatto la storia del gruppo: “Alice in Hell”, che, come ricordato dallo stesso Waters in occasione del suo primo tour promozionale, era stato portato in giro per gli States proprio a supporto dei Testament, andando così a celebrare un sodalizio ‘thrashoso’ lungo trent’anni. Oltre alla maligna titletrack, per la quale il leader canadese chiede al pubblico di superare una curiosa prova – riuscire a lanciare i famosi dodici acuti ‘Alice in hell’ ad inizio di ogni strofa – viene proposta la roboante “Welcome To Your Death”. E mentre una massa unica di corpi ben aggrovigliati si fa spazio nel pit, dopo che Waters ci ha ricordato la pronuncia esatta del nome ‘Annihilator’, le note di “Phantasmagoria” fanno calare il sipario su questa ondata di thrash, ancora più ferale. Anche il secondo round è terminato: il collo inizia a dare leggeri segni di cedimento, ma non è questo il momento di mollare. Manca ancora un gruppo.
Setlist:
One To Kill
King Of The Kill
No Way Out
Set The World On Fire
W.T.Y.D.
Twisted Lobotomy
Alison Hell
Phantasmagoria
TESTAMENT
Forse scopriremo l’acqua calda, probabilmente diremo un’ovvietà. Tuttavia, dopo il concerto di venerdì sera, una cosa è certa: se vogliamo ancora parlare di Big4, allora i Testament debbono assolutamente farne parte. Obbligatoriamente. La mole di thrash tecnico, potente, avvolgente, martellante ed infinito scaricato dalla band di San Francisco merita più di una standing-ovation. E’ vero, spesso e volentieri i titoli e le etichette lasciano il tempo che trovano, ma l’ora e mezza tonante proposta dal combo capitanato da Chuck Billy è stata da infarto. E chiudiamo pure un occhio, seppur a fatica, di fronte alla stucchevolezza degli assoli sciorinati dai quattro mostri armati di chitarra, basso e batteria. Passi quello di Alex Skolnick, ma per il resto le prestazioni di Peterson, Hoglan e DiGiorgio sono state del tutto inutili e lunghe, giustificate solamente dall’assoluta necessità di recupero da parte del capo indiano Billy che, soprattutto nel finale, era visibilmente bisognoso di riprendere fiato. Ma a parte il doveroso dettaglio, i Testament hanno dimostrato per l’ennesima volta di poter spazzar via ogni alone di dubbio circa lo stato di forma del thrash metal. Avvolti in una scenografia maestosamente serpentesca, i Nostri abbattono il primo muro del suono con “Brotherhood Of The Snake”; ma è con la successiva “Rise Up” che i motori iniziano a surriscaldarsi sul serio. La ‘crowd’ che nel corso dei primi due act aveva interessato principalmente la parte più annessa alle transenne si diffonde in breve tempo sino a metà parterre, trasformandosi in unico vortice umano. Dominati dall’alto dalla piovra Gene Hoglan, Skolnick e compagni proseguono inesorabili la loro marcia di riff minacciosi, puntuali e tellurici, mentre il buon Chuck, tra una nota e l’altra, si diverte a ‘suonare’ la sua personalissima micro-chitarra. A conti fatti, quello proposto dai Testament è stato un vero e proprio greatest hits, saltando avanti e indietro nel tempo, ripronendo pezzi da anni dimenticati (come la sentitissima “Electric Crown”), assolute conferme distruttive, leggasi “Into The Pit”, sino ad autentici cori da stadio in occasione di “More Than Meets The Eye”. Sostenere i ritmi imposti da Hoglan e soci è assai impegnativo: a risentirne maggiormente, oltre a qualche fan che fugge nelle retrovie alla ricerca di spazi più areati, è lo stesso Billy che, in più di un occasione accusa dei leggeri cali vocali. C’è da dire, a sua parziale discolpa, che il volume generale della strumentazione è leggermente alto (in primis la macchina da guerra di Hoglan). Nel frattempo, i colpi inferti dalla band made in Bay Area continuano a mietere vittime e, dopo una rivitalizzata “Low”, è tempo di “Eyes Of Wrath”, l’unico estratto (ahinoi, soprattutto per chi scrive) da quella perla d’album chiamata “The Gathering”. Ed è qui che lo show vive il suo momento più altalenante: la tensione macinata grazie a brani come “First Strike Is Deadly” viene immediatamente smorzata dai solo a cui si faceva riferimento in precedenza, andando così a smontare la fiamma emotiva alimentata sino a quel momento. Ma anche gli assoli trovano finalmente il loro punto d’arrivo, lasciando il posto ad una serie di encore da urlo: oltre alle previste (come da scaletta) “The New Order” e “Practice What You Preach”, per la data milanese dal cilindro dei Testament viene estratta l’esplosiva “Disciples Of The Watch”, prima che “Over The Wall” dia l’ultima e definitiva mazzata in testa ad un pubblico ormai allo stremo delle forze. Capo tribù Chuck Billy sale alto sulle spie salutando e ringraziando tutti, mentre DiGiorgio sventola una bandiera tricolore riportante i nomi delle tre band assolute protagoniste di una serata a dir poco thrash e dall’autentico sapore Ottantiano!
Setlist:
Brotherhood Of The Snake
Rise Up
The Pale King
More Than Meets The Eye
Centuries Of Suffering
Alex Skolnick solo
Into The Pit
Low
Stronghold
Throne Of Thorns
Eric Peterson solo
Eyes Of Wrath
Gene Hoglan solo
First Strike Is Deadly
Steve DiGiorgio solo
Urotsukidoji
Souls Of Black
The New Order
Encore:
Practice What You Preach
Disciples Of The Watch
Over The Wall