Avendo da sempre un seguito piuttosto nutrito e fedele in Gran Bretagna, i The Black Dahlia Murder per supportare la loro ultima fatica, “Ritual”, hanno deciso di intraprendere il tour più esteso e capillare che li abbia sinora visti protagonisti da queste parti. Tre settimane dedicate esclusivamente alla Terra d’Albione e zone limitrofe (prevista una manciata di date anche in Francia), con concerti fissati per lo più in piccoli club e in luoghi dove band internazionali non sono solite passare spesso. D’altronde, i live sono ormai l’ultimo vero mezzo a disposizione di una band per costruirsi e consolidare una base di fan, così come sono l’unica fonte di guadagno accettabile, visto che il mercato discografico è da tempo saturo e il downloading sta uccidendo le vendite dei CD. Ad accompagnare i Nostri, due formazioni in netta ascesa: i “true” metaller statunitensi Skeletonwitch, freschi autori del fortunato “Forever Abomination”, e i nostrani Fleshgod Apocalypse, perennemente in on the road dalla pubblicazione dell’ultimo “Agony”. Metalitalia.com ha assistito alla seconda data del tour, che ha avuto luogo nel “solito” Underworld di Londra…
FLESHGOD APOCALYPSE
Nonostante il “pacchetto” abbia suonato proprio qui già la sera prima (di norma i TBDM si esibiscono in locali ben più capienti, quindi ecco il perchè della “doppia” data), l’Underworld si conferma prossimo al sold out già a pochi minuti dall’esibizione dei Fleshgod Apocalypse, la cui entrata sul palco viene annunciata da una intro orchestrale. Il gruppo nostrano si esibisce quindi davanti a una sala già piuttosto piena e trepidante, cornice ideale per accogliere quel sound bombastico che è ora diventato marchio di fabbrica dei ragazzi. Con soltanto mezzora a disposizione, il quintetto decide ovviamente di bruciare le tappe e si lancia in un set serratissimo, nel quale i brani vengono snocciolati in rapida successione. “The Hypocrisy” apre le danze e, fra le altre, viene seguita da “In Honour Of Reason” e “The Egoism”. L’impatto è notevole, sia perchè l’affiatamento tra i musicisti è ormai su livelli superbi – data la grossa esperienza live maturata negli ultimi tempi – sia perchè in questo contesto le chitarre tornano a essere tra le principali protagoniste, facendo dimenticare quel mixaggio un po’ severo di “Agony”. Su tutto, comunque, si staglia la straordinaria performance di Francesco Paoli alla batteria: preciso, veloce e, soprattutto, potente come pochi in questo campo. Insomma, lo show dei Fleshgod Apocalypse, alla fine dei conti, si rivela estremamente godibile, anche per coloro che non hanno apprezzato granchè la svolta sinfonica dell’ultima fatica. Il desiderio di rimanere a seguire le prossime mosse del quintetto rimane perciò intatto, a maggior ragione dopo questo concerto.
SKELETONWITCH
Dal “symphonic” death metal dei Fleshgod Apocalypse al retro-classic-thrash spruzzato di black degli Skeletonwitch il passo non è brevissimo, ma il pubblico dimostra di avere a cuore anche il sound di questo gruppo americano, che, dopo una buona gavetta, sta finalmente riuscendo a togliersi ampie soddisfazioni, soprattutto in chiave live. Si vede che la formazione è molto rodata e che sul palco è abituata a caricare a testa bassa, senza temere niente e nessuno. Con un set di 45 minuti, il quintetto ha modo di presentare tutte le “hit” della propria discografia: viene dato spazio soprattutto alle tracce più thrasheggianti, ideali per essere eseguite dal vivo, sulle quali i Nostri ostentano appunto un’attitudine “no compromise” e “metal” sino al midollo. Il pubblico è per una discreta parte composto da giovani ragazzi reduci del trend metal/death-core, tuttavia il responso che gli Skeletonwitch – metallari tutto birra, barba, sudore e borchie – riescono ad ottenere ha del sorprendente: gli astanti non smettono un secondo di incitarli e su pezzi come “The Horrifying Force (The Desire To Kill)”, “Beyond The Permafrost” e “Choke Upon Betrayal” si arriva persino a un bel pogo. Senza dubbio, gli Skeletonwitch acquistano in sede live diverse marce in più rispetto allo studio: non che i loro album siano poco convincenti, ma quando li si ascolta si ha spesso l’impressione che manchi qualcosina o che, tutto sommato, la proposta non sia esattamente tra quelle da tramandare ai posteri, almeno per personalità. Sulle assi di un palco, invece, ai Nostri non manca nulla: tiro, simpatia, schiettezza. Vederli esibirsi è sempre un piacere.
THE BLACK DAHLIA MURDER
Ai The Black Dahlia Murder potremmo applicare più o meno lo stesso discorso appena fatto per gli Skeletonwitch: i Nostri in studio non hanno mai confezionato un capolavoro, ma sono una live band notevolissima, che in degli show forsennati riesce ad abbinare impatto e precisione come poche altre. Dal punto di vista tecnico, è impossibile non notare l’estrema accuratezza di Shannon Lucas dietro le pelli, che continua a confermarsi uno dei nuovi migliori batteristi in circolazione, grazie a un mix di potenza e fantasia che in certe progressioni lascia sbigottiti. Sotto il profilo del coinvolgimento, va poi ovviamente citato il frontman Trevor Strnad, che in pratica si rende protagonista di uno spettacolo dentro lo spettacolo con i suoi discorsi e preamboli grotteschi, abbinati a un modo di muoversi sul palco che ricorda sempre più quello di un Barney Greenway rivisto in chiave più folle e spiritosa. La melodic death metal band americana tuttavia non è solo tecnica e macchiette: ricollegandoci al discorso iniziale, il materiale sotto certi aspetti non fa esattamente gridare al miracolo, ma è per lo più ben composto e in grado di acquistare dal vivo un impatto ragguardevole. Certo, forse 70 minuti sono un po’ troppi per una proposta di questo genere, che, tutto sommato, ruota sempre attorno alla stessa formula compositiva, ciò nonostante i Nostri sono bravi a inserire soltanto i pezzi più efficaci e famosi nella setlist e, quindi, ad evitare cali di tensione troppo evidenti. Tra una “Everything Went Black”, una “A Vulgar Picture” e una “Carbonized In Cruciform” lo show scorre perciò rapido e divertente, accolto da un pubblico che pare letteralmente stravedere per il gruppo. Si sprecano circle pit e soprattutto stage diving, ma è il generale entusiasmo con cui i presenti sembrano pendere dalle labbra della band a lasciare di stucco. Almeno questa sera, i The Black Dahlia Murder sembrano a tutti gli effetti dei “metal god” in quel di Londra. Amore incondizionato, ripagato da Strnad e soci con una prova intensa e assolutamente professionale.