Articolo a cura di Andrea Raffaldini
Foto di Enrico Dal Boni
Tocca a Bologna ospitare l’ultima data del tour italiano dei The Darkness. Al nostro arrivo, con un discreto anticipo sull’orario d’inizio, l’Estragon è già pieno di fan desiderosi di vedere all’opera la formazione inglese. Gli show precedenti di Milano e Roma si sono rivelati un successo in termini di performance, motivo in più per aspettarsi da Justin Hawkins e compagni un concerto stellare. Compiuti tutti i proverbiali riti da concerto – saluti agli amici, presa di posizione con birra ghiacciata annessa – siamo pronti a gustarci lo show d’apertura degli italiani Rhyme.
RHYME
L’intensa attività live degli ultimi anni ha forgiato i Rhyme, che dal vivo sono una vera macchina da guerra. Il loro metal potente é basato su strofe rocciose e piene di rabbia e su ritornelli dove spicca il loro gusto melodico, ingredienti di una formula vincente. Il frontman Gabriele Gozzi ed il bassista Riccardo Canato pensano a scaldare la folla con la loro performance, mentre il chitarrista Matteo Magni appare più fermo e concentrato a macinare i suoi poderosi riff. “The Hangman”, “Brand New Jesus” e “Rise Again” sono schiacciasassi, heavy metal dal sound attuale che viene manifestamente apprezzato dal foltissimo pubblico. Con “Step Aside” e “Party Night” i Rhyme chiudono lo spettacolo confermandosi una delle formazioni italiane più scafate ed incisive dal vivo. La scelta di affiancare i Rhyme ai The Darkness si conferma molto azzeccata, perché questo concerto ha saputo infiammare i presenti, preparando un facile ingresso ai rocker inglesi.
Dopo una breve pausa, le note di “The Boys Are Back In Town” dei Thin Lizzy preannunciano l’ingresso dei The Darkness. Con una mossa coreografica, i quattro musicisti inglesi si piantano di fronte al pubblico, tenendosi per mano, immobili. Chiuso il siparietto, i The Darkness ingranano la quinta marcia con “Every Inch Of You”. Il groove, la botta e l’elettricità che scorre sono quelle di sempre, non importa se Hawkins e soci si esibiscono in grandi arene o in stretti club, loro danno sempre il massimo, senza risparmiare energie, quasi come se fosse il concerto della vita: questa è la loro forza. Justin, con i suoi baffetti pirateschi da Jack Sparrow, sfoggia una tutina nera aderente ed aperta sul petto in stile Freddie Mercury anni Settanta mentre “Black Shuck” fa saltare la folla a ritmo di chitarra. Un breve inconveniente tecnico alla sei corde di Dan Hawkins mette in pausa lo show per qualche minuto, mentre il fratello Justin cerca di intrattenere il pubblico. Sostituito il cavo della chitarra, il concerto riprende con l’incalzante “Growing On Me”. Sul palco gli inglesi appaiono compatti, un tutt’uno per energia ed immagine, perché, oltre al frontman, il fido Dan è una sicurezza ed il bassista Frankie Poullain, con il suo look bizzarro e la sua verve, si dimostra un pozzo di adrenalina. Il rock che fonde AC/DC e Queen esplode nei cavalli di battaglia, dalla dirompente “One Way Ticket” alla più romantica “Love Is Only A Feeling”, che scatena vampate di testosterone nelle coppiette presenti. Immancabile la frizzante cover dei Radiohead, “Street Spirit (Fade Out)”; Hawkins spinge la voce con i suoi proverbiali acuti che lo hanno reso famoso. “I Believe In A Little Thing Called Love” e l’encore “Love On The Rocks With No Ice” chiudono un concerto intenso: il pubblico soddisfatto si avvia lentamente fuori dall’Estragon, non prima del secondo giro di birre condito da vari scambi di impressioni. Giudizio unanime, i The Darkness hanno confermato tutta la loro classe, ci sono tutti i presupposti perché gli inglesi riescano a ritornare ai livelli degli anni d’oro.