A cura di Luca Pessina
Ormai divenuti un nome di prima grandezza nel panorama death metal statunitense, i The Faceless stanno cercando di scalare posizioni il più rapidamente possibile anche in Europa, con gli album finalmente distribuiti anche da queste parti e con tour sempre più frequenti. Headliner nel Vecchio Continente per la prima volta, i nostri hanno confezionato un pacchetto con altre due band molto note della Sumerian Records – i Born Of Osiris e i Veil Of Maya – più i francesi Gorod, formazione da loro molto apprezzata. E il pubblico, almeno in quel di Londra, ha risposto alla grande, riempiendo l’Underworld quasi al limite del sold out in un lunedì sera.
GOROD
A differenza dei loro colleghi americani, i Gorod non godono di eccessiva popolarità fra i metal kid locali. Del resto, il pubblico di stasera è particolarmente giovane e per lo più cresciuto con l’ondata metal/death-core, quindi non molto familiare con il techno-death dei francesi. Tuttavia, alla band bastano pochi minuti per irretire almeno parte degli astanti. Del resto, il sound dei nostri non è poi anni luce distante da quello degli headliner e, inoltre, la performance si svolge all’insegna di suoni estremamente nitidi e potenti, che esaltano la magnifica preparazione tecnica del quintetto. Senza concedersi pause, i Gorod offrono dunque una prova di mezzora che mette in risalto tutte le loro migliori caratteristiche: immediatezza, musicalità e, appunto, grande perizia strumentale. Ci avevano già molto ben impressionato la scorsa estate, quando erano calati a Londra con i Cattle Decapitation, ma questa sera l’impatto è ancor più felice. Se riusciranno a catturare questa esuberanza nei loro prossimi lavori in studio, potremo effettivamente iniziare a parlare di una grande band.
VEIL OF MAYA
Quando i Veil Of Maya calcano il palco, sembra quasi di assistere allo show degli headliner. Sì, perchè, a quanto pare, la maggior parte dei presenti questa sera è qui per loro. La sala è gremita e il livello di umidità inizia a salire vertiginosamente. La band, in questo senso, ci mette poi del suo, invitando continuamente il pubblico a dar vita a circle pit et similia, cosa che porta le prime file a venir letteralmente schiacciate contro il piccolo palco dell’Underworld. Comunque, la performance del quartetto americano non passa inosservata nemmeno sul lato prettamente musicale: anche se il basso a sette corde di Danny Hauser non si sente affatto, i nostri danno prova di essere una band affiatata e con già una buona esperienza in materia di concerti. La presenza scenica è piuttosto notevole e, grazie a un grosso lavoro ai pedali, il leader Marc Okubo riesce con la sua chitarra a replicare assai fedelmente le trame dei dischi, soprattutto quando queste si lanciano in territori sincopati alla Meshuggah. La folla, come accennato, apprezza moltissimo e tributa ai nostri gli applausi più sentiti della serata. Facile prevedere un prossimo tour da headliner per questi ragazzi.
BORN OF OSIRIS
Tutto sommato, il pubblico dimostra di gradire allo stesso modo anche lo show dei Born Of Osiris, che si presentano on stage su un intro tamarrissimo e aprono le danze con un impatto fragoroso, frutto di chitarre pompate a dovere e di una batteria triggerata minuziosamente. A livello di suoni, almeno dal vivo, il gruppo di Chicago ci ricorda i Fear Factory dei tempi d’oro. Ma solo sotto questo punto di vista. Sì, perchè la musica, per la verità, finisce ben presto per annoiarci. Come scritto in sede di recensione, i Born Of Osiris sono pian piano migliorati nel songwriting, tanto che non esitiamo a definire il recente “The Discovery” un buon album. In concerto, però, la band punta molto sulle sue tracce più groovy e dirette, che sono poi quelle maggiormente debitrici del Meshuggah sound. Lo show, di conseguenza, in breve tempo si trasforma in una rassegna del riff più sghembo e derivativo, che non concede spazio a sorprese e variazioni. Dopo pochi minuti ci risulta perciò quasi impossibile distinguere le varie tracce e, pur riconoscendo ai nostri un certo affiatamento, non vediamo l’ora che giunga il turno dei The Faceless…
THE FACELESS
Quasi superfluo sottolineare come i The Faceless possano vantare una classe e una creatività superiori a quelle dei loro connazionali che li hanno preceduti. Rispetto a quello dei Born Of Osiris, il concerto del gruppo californiano è decisamente di un altro livello. Siamo di fronte a una realtà sì altrettanto giovane, ma di superiore caratura, che non a caso viene sempre più spesso citata da mostri sacri come Suffocation, Cynic o Meshuggah in sede di intervista o quando si tratta di scegliere le band di supporto per un tour. Il quintetto è costantemente on the road praticamente da quando “Planetary Duality” è stato pubblicato, quindi non stupisce vederlo rodato alla perfezione. I nostri ci mettono parecchio a preparare il palco e a ultimare il sound-check, ma quando iniziano non ce n’è davvero per nessuno. La fedeltà nei confronti delle registrazioni in studio è estrema (anche per quanto riguarda le voci pulite), ma naturalmente i nostri interpretano il tutto con un piglio più aggressivo e disinvolto, che rende il materiale ben più tagliente rispetto a quanto udibile su CD. “Planetary Duality” viene riproposto praticamente per intero e, assieme a una traccia dal debut – “An Autopsy” – trova spazio anche la nuova “The Eidolon Reality”, disponibile online da qualche tempo in versione demo. Il brano segna una ulteriore maturazione nel sound del quintetto, che pare volersi spostare su territori ancora più prog e ariosi, per un risultato finale non troppo distante dai recenti Obscura. Impossibile dire quanto il pezzo sia rappresentativo del prossimo album, ma chi ama il progressive in chiave estrema farà certamente bene a tenere d’occhio le mosse dei nostri. Il concerto si chiude con la rocciosa “The Ancient Covenant”, che ci dà modo di apprezzare nuovamente la sicurezza e l’affiatamento della formazione, che in un locale dalle dimensioni ridotte sembra proprio riuscire a dare il meglio. Già visti live in alcuni festival, i The Faceless avevano infatti sì convinto, ma non esaltato. I grossi palchi, d’altronde, mal si prestano ad ospitare band dall’alto tasso tecnico, che devono limitare i movimenti per riuscire a suonare accuratamente i brani. In un club, invece, il gruppo si esibisce a stretto contatto con il pubblico, fa “muro” e sprigiona una carica davvero importante. Sarà un piacere rivederlo in simili circostanze quando il prossimo full-length verrà rilasciato.