Report di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Foto di Simona Luchini
Venerdì sera di un giorno festivo, qual migliore opzione per raggiungere il Live Music Club e partecipare all’evento metalcore del mese (soprattutto dopo l’autoeliminazione degli As I Lay Dying dagli orizzonti)?
I The Ghost Inside celebrano vent’anni di carriera insieme all’uscita del nuovo disco “Searching For Solace”, uscito ad aprile di quest’anno. Siamo vicini alla fine di questo lungo tour europeo in cui la band di El Segundo, California, è accompagnata dagli affamati Boundaries, band metalcore rampante dal Connecticut, e dai Gideon, formazione che suona un hardcore imbastardito e piantato nel groove.
Ecco come è andata.
I BOUNDARIES suonano in un ambiente ancora freddo e particolarmente ostile – quello in cui alle 19,30 il Live è ancora poco frequentato e lo spazio tra prime file e coloro che assistono al concerto in maniera ‘non attiva’ appare enorme.
La band del Connecticut è stata osannata da molti per l’ultimo “Death Is Little More” e sembra sul punto di entrare nel giro che conta, ma anche stasera a nostro parere manca il fattore distintivo, qualcosa di personale che riesca ad elevarli dalla massa.
Il loro set è teso, rabbioso e la complessità dei pezzi è resa in scioltezza e senza sbavature, ma colpisce più il batterista che canta le parti melodiche che i brani veri e propri. Suonano duro, suonano bene ma servirebbe qualche “Easily Erased” – la canzone con più risposta dal pubblico, che chiude il set – in più.
Il cambio palco è dedicato a musica country e Limp Bizkit, a sottolineare un cambio di tono davvero drastico che vedrà i GIDEON come protagonisti al limite del surreale.
La formazione dell’Alabama ha frequentato pochissimo i palchi europei e si esibisce per la prima volta in Italia da band praticamente fuori dai radar, così l’impatto dell’ignoranza sudista che si sta per abbattere sui presenti è del tutto inaspettato: la band suona e si presenta come un melting pot tra heavy hardcore e nu metal – influenza calcata nell’ultimo “More Power. More Pain.”, che si prende gran parte della scaletta – con un’estetica country davvero spinta.
I nostri saranno gli unici ad utilizzare lo schermo proiettando immagini di monster truck, poligoni di tiro, Nascar, la cottura di una mega bistecca e, udite udite, l’autocarrosauro reso noto nell’episodio de “I Simpson”(!).
L’ignoranza totale si abbina perfettamente ad una controparte musicale in cui il frontman Daniel McWhorter, con tanto di stivali e cappello da cowboy, alterna urla a parti rappate, su groove spessissimi che evocano Bury Your Dead e Kublai Khan con uno stile unico e molto molto calcato, che può essere preso sul serio o meno ma si riflette indubbiamente sull’entusiasmo e la partecipazione di un’intera platea che, realisticamente, per gran parte non li ha mai nemmeno ascoltati.
Un concerto incredibile di una band che sa il fatto suo, e che vorremmo rivedere immediatamente.
Chiusa la folle parentesi bifolca, il locale si risveglia molto più caldo e popolato fino all’altezza del mixer, pronto a quello che è facilmente il concerto metalcore più atteso di novembre.
I THE GHOST INSIDE sono molto amati anche dalle nostre parti, uniti a doppio filo con la narrativa di rivalsa che nessuno può ignorare dopo il tragico incidente stradale del tour del 2015. I TGI però non sono solo una band che si è rialzata, hanno anche dimostrato di saper esprimersi ad alti livelli con un disco ottimo (il self-titled del 2020) e un seguito valido ad aprile 2024, rendendoli tutt’oggi attuali e rilevanti.
Così i presenti li accolgono da eroi sulle note della punitiva “Death Grip”, per seguirli ogni secondo durante un set di settanta minuti che ripercorre la storia della formazione: a guidare lo spettacolo è sicuramente Jonathan Vigil, che con giacca e cappellino ipnotizza il pubblico con una prova di grandissima confidenza ed esperienza, non sbagliando praticamente nulla e facendo sembrare tutto facile come bere un bicchier d’acqua.
La sua versatilità riesce a dar vita ai testi della band trasmettendo un senso di urgenza ed emozione in grado di colpire un pubblico particolarmente ricettivo, lo si capisce dal pogo e dalla partecipazione al primo grande coro della serata, quello di “The Great Unknown”.
Stasera si celebra anche il compleanno del frontman, quindi il pubblico non si lascia scappare l’occasione per un accorato canto di auguri, accolto con stupore e gratitudine sincera, che spezza per un momento la grande serietà e professionalità che i musicisti hanno sul palco. Lo show è talmente perfetto nei suoni e nell’esecuzione – dalle backing vocals, alle luci, alla prova dei musicisti, tra i quali un fenomenale Andrew Tkaczyk che suona la batteria con una sola gamba – che questi momenti restituiscono una parentesi di umanità quasi necessaria, valicando la semplice performance.
La scaletta approfondisce con sei estratti l’ultimo “Searching For Solace” lasciando al disco omonimo della band solo “Aftermath” e “Pressure Point”, ma va detto che i nuovi brani, soprattutto “Light Years” e “Wash It Away” oltre all’opener, non sfigurano affatto.
Nessun tipo di sbavatura in un concerto che non delude le aspettative, trovando il culmine nel ritornello pieno di speranza di “Engine 45”, che andrà ripetersi in maniera sentita amplificando forza, speranza e resilienza, i simboli che il gruppo incarna fieramente.
BOUNDARIES
GIDEON
THE GHOST INSIDE